«Non giudicate, per non essere giudicati; perché col giudizio con cui giudicate sarete giudicati, e con la misura con la quale misurate sarete misurati. Perché osservi la pagliuzza nell’occhio del tuo fratello, mentre non ti accorgi della trave che hai nel tuo occhio? O come potrai dire al tuo fratello: permetti che tolga la pagliuzza dal tuo occhio, mentre nell’occhio tuo c’è la trave? Ipocrita, togli prima la trave dal tuo occhio e poi ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall’occhio del tuo fratello.»
(Vangelo secondo Matteo 7,1-5 (CEI))
“Stimo che il numero di neonati soli che sono stati trovati morti lungo le strade e nei castelli ha raggiunto 10000. Ho ordinato che fossero sepolti nei campi e una sola tomba conteneva più di 270 corpi … Tutti i neonati avevano meno di un anno dato che quelli più vecchi erano stati fatti prigionieri. I contadini sopravvissuti vagano in gruppi, lamentando la loro sfortuna.” Così scriveva un ufficiale polacco intorno alla metà del XVII secolo riguardo ai massacri perpetrati dai Tatari durante la rivolta di Chmel’nyc’kyj che infuriò nella parte orientale dell’Ucraina. Gli sfortunati neonati non erano ebrei, ma figli di contadini in questo caso, anche se la stessa rivolta colpì duramente la popolazione ebraica. Non giudichiamo? Gli stessi Tatari oggi sono quelli che più di un commentatore ha ritenuto di dover richiamare alla memoria in quanto (povere) vittime della pulizia etnica di Stalin in Crimea.
Si è parlato di pogrom per l’attacco di Hamas ai kibbutz, qualcuno ha paragonato Hamas all’Isis, figlio di padre occidentale e madre araba in funzione anti-sciti/anti-alawiti. Bel paradosso che poi si dica che l’Iran sarebbe dietro gli attacchi. Poi qualche sconsiderato ignorante ha anche tirato in ballo il nazismo, ma questo è un paragone poco sensato per due motivi: saremmo tutti più o meno nazisti come popoli perché tutti abbiamo scheletri nell’armadio, i Tatari ammazza-neonati come gli italiani che buttavano l’iprite sugli etiopi (senza contare la successiva repressione di Graziani, fatti che sono stati considerati da molti storici atti genocidari). In secondo luogo, nazismo e Islam sonocompletamente opposti, il fatto che Hamas diffonda i Protocolli dei Savi di Sion ed altre amenità, non può prescindere dall’essere l’Islam universale e il nazismo fondato su un razzismo rigidamente scientista. I paragoni storici non sono cose per chiacchere da bar portano sempre ad assurdità.
Articoli come quello di Marco d’Egidio su Huffington Post [1] contribuiscono solo alla confusione. Tralascio l’antiamericanismo perché le affermazioni sono molto banali: come si può semplicemente credere oggi che “L’antiamericanismo,…, è particolarmente vivo anche in Europa, che dell’America si è sempre sentita un po’ succube, nonostante il più lungo periodo di pace della sua storia reso possibile dalla Liberazione dal nazifascismo, dal piano Marshall e poi dalla vittoria “fredda” della democrazia liberale a guida yankee contro il totalitarismo sovietico”. Ma veramente stiamo ancora a pensare che il piano Marshall o il totalitarismo sovietico abbiano ancora a che fare con quanto è successo? E poi gli americani non hanno Wounded Knee? Non hanno il Ku Klux Clan? Il Vietnam? Hiroshima? Non giudichiamo per favore.
Piuttosto come commentare: “l’antisemitismo è questo: un pregiudizio razzista per agitare contro un capro espiatorio innocente i peggiori istinti e le più radicate frustrazioni delle folle. Neppure la condanna storica della Shoah ha estirpato il cancro dell’antisemitismo dalla società occidentale, così come il fondamentalismo islamista nel suo delirio assolutistico ha fatto della caccia all’ebreo e al cristiano i due lugubri pilastri della propria strategia del terrore.”
Viene tirato in ballo l’antisemitismo, certo perché ormai sionismo e ebraismo sono identificati, ecco, il bel risultato ottenuto volutamente tanto dagli europei, che così difendendo Israele si sentono sollevati dal senso di colpa per il loro passato antisemita, quanto da Israele che rivendica un ruolo speciale nella storia, se non altro quello di aver riportato la diaspora in Palestina (almeno in parte), e naturalmente su questo scontro hanno ricamato anche i paesi arabi e musulmani che hanno tutto l’interesse a creare, vuoi per ragioni di propaganda vuoi per mantenere coerenti i popoli nei confini disegnati col righello da francesi e inglesi, nelle coscienze un nemico mai esistito: ma che improvvisamente si manifesta nella storia a partire dal 1948 (sebbene anche prima agli inizi non fu certo facile la convivenza tra i primi kibbutz e la popolazione araba).
Per l’ennesima volta ricordata la Shoah. E per l’ennesima volta si scontrano le due teorie dell’Olocausto, quella che lo afferma come fatto unico, e quella che lo ritiene una forma di genocidio che ha colpito gli ebrei europei in particolare. L’unicità è quella che viene sbandierata davanti al naso degli europei per farli vergognare, ad affermare il loro peccato originale per cui dovranno in qualche modo risarcire per sempre gli ebrei? No, non gli ebrei, Israele ovviamente, con cui l’ebraismo viene praticamente a coincidere (cosa che non è naturalmente vera come l’Islam non si può ridurre ai fondamentalisti).
Ma intanto i genocidi vengono a moltiplicarsi e a indebolire questa tesi, perché sì vogliono includere per fare un esempio noto gli Armeni (giustificabile), oltre a tutti gli altri popoli che possono reclamare di aver subìto almeno un pogrom (è da notare che non esiste una definizione univoca di genocidio per cui anche solo episodio, come il “massacro del prezzemolo” nella Repubblica Domenicana, o i vari massacri durante le recenti guerre balcaniche, sono o non sono genocidi secondo la definizione che viene data, tra questi è naturalmente anche l’Holodomor ucraino). Questa moltiplicazione è forse altrettanto deleteria di quella che privilegia il solo Olocausto, perché naturalmente viene usata come arma politica per chiedere risarcimenti morali (ma anche materiali) nella migliore delle ipotesi se non poi scatenare altra violenza, altri pogrom e altre guerre. Non solo ma l’estensione del termine genocidio a qualsiasi crimine di guerra o atto di barbarie, finisce per espandere talmente il concetto che annacqua le vere responsabilità individuali per attribuirli a nazioni, religioni con milioni di fedeli o interi continenti.
Per farla breve cosa c’entra tutto questo con il problema tra palestinesi e israeliani? Praticamente nulla. Sono pagliuzze gettate negli occhi di chi vorrebbe capire. L’articolo citato è solo un esempio tra i tanti, tutti noiosamente uguali dello stesso tenore.
Più interessante e più storico è il testo dell’articolo di David Meghnagi [2], teso a difendere i c.d. Patti di Abramo, che spiega come anche gli ebrei mediorientali hanno avuto la loro “nakba” negli anni della nascita di Israele (secondo quanto racconta ad esempio anche Masal Pas Bagdadi figlia di un ebreo siriano), in quel periodo gli ebrei sono diventati invisi ai musulmani e si sono spostati in gran parte in Israele. Certo non è che al nascente nazionalismo arabo venato dal socialismo nasseriano facesse piacere avere in casa coloro che presto sarebbero stati i loro nemici in diverse guerre. La pulizia etnica era forse inevitabile, il grande ruolo che gli ebrei hanno avuto in tutto il Medioriente è stato cancellato. Ma in quale misura questa è stata una vera “nakba”? In quale misura ha contato il fatto di andare verso una propria terra in qualche modo (nuovamente) promessa e col significato profondo di chiudere la diaspora? (Tanto che persino alcune frasi rituali cambiano a seconda se si è o no in Israele.)
Anche qui alcune affermazioni gratuite. Il già citato peccato originale: “L’esistenza di Israele è la condizione perché l’Europa nata dopo la catastrofe nazista, possa ancora dirsi tale.” Buttata lì, tanto per tornare a indurre il solito senso di colpa negli europei. Pure discutibile è credere che Hamas abbia scatenato la guerra con l’appoggio dell’Iran, il quale probabilmente ha molto poco a che fare con l’attacco in sé, e regge la candela per dimostrarsi difensore degli sciti e più in generale dell’Islam nella regione (proprio stasera ho letto tra i titoli “Hamas si aspetta di più da Hezbollah” guarda un po’).
“Chi vive in un’isola, deve farsi amico il mare” recita il proverbio arabo citato dall’autore. Tutto molto ragionevole, per carità. Vogliamo tutti la pace, vogliamo che Israele diventi quell’isola circondata dal mare arabo facendosi amica questo mare. Certamente sarebbero una buona cosa i Patti di Abramo nella misura in cui questi significhino un reale riconoscimento reciproco. Applaudiamo all’idea! Ma…
Ma ecco che le pagliuzze nell’occhio di chi afferma i diritti dei palestinesi, diventano la trave dal lato opposto: non c’è nessun accenno in questi e molti altri articoli ad una soluzione per il popolo palestinese, anzi non c’è nemmeno il popolo palestinese, ci sono Hamas (che deve essere distrutta), gli arabi, i paesi arabi, l’Islam e gli islamisti, l’Iran, e poi l’Europa, gli Stati Uniti, la Russia, la Cina, l’Arabia Saudita “& C.” (buoni e cattivi), l’Olocausto, i genocidi, l’Ucraina, gli Uighuri e perché no anche il Diavolo. Lo scontro di civiltà che è auspicato dai fondamentalisti e teorizzato dai conservatori occidentali diventa l’ordine del discorso, mentre il problema palestinese sparisce, quando l’occupazione dei territori e l’insediamento dei coloni in Cisgiordania (che non ho sentito praticamente mai citare da nessuno), o la chiusura di due milioni di persone in un ghetto, diventa trasparente e quando l’antisionismo, diventa l’antisemitismo, perché gli interessi di bottega prevalgono su quelli di chi soffre. Chi ha perso tutto? Chi ha subito la vera “nakba” sono stati purtroppo i palestinesi perché non hanno avuto nulla, tanto meno una terra in cambio, solo dolore e morte.
“Israele ha il diritto di difendersi”; parole vuote. Se ne sono accorti da tempo all’ONU ed è singolare che se ne siano accorti persino Borrell e gli americani, ma i timidi accenni a quel popolo palestinese che, si precisa, non è Hamas, sono troppo vaghi, troppe volte sono stati traditi e troppe volte sono stati ributtati fuori dalla storia. È paradossale che, se si dovesse davvero tornare a parlare sul serio della soluzione dei “due stati”, il merito sarebbe di Hamas alla fine!
Ma com’è possibile tornare a parlare della soluzione dei “due stati” se i pezzi che avrebbero dovuto formarne uno dei due sono un ghetto, e forse tra poco un ammasso di rovine con annesso cimitero, e un labirinto pullulante di coloni ortodossi? L’invocato ritorno alla soluzione dei “due stati” (da qualcuno, non certo da tutti) rischia di trasformarsi nell’ennesimo nulla di fatto, che perpetuerà la guerra, sia essa fredda o calda, ma non porterà nessuna soluzione. Questi morti potrebbero non essere gli ultimi, ma solo l’inizio di una lunga serie di altri massacri.
“Per la saggezza ebraica, grande è chi riesce a trasformare il nemico in un amico.” Ha scritto Meghnagi, ma, se la saggezza è quella degli epigoni di Salomone, come potrà mai farlo se ha una trave nell’occhio?
C’è da aggiungere che la stessa trave nell’occhio l’hanno anche molti governi occidentali e dei paesi arabi che hanno evitato come la peste il problema palestinese negli ultimi venti anni, permettendo ai governi israeliani di mancare in “saggezza” ed esagerare in colonie, vessazioni e atteggiamenti razzisti, fino a finanziare i fondamentalisti (Hamas inclusa), nella speranza di andare in pensione senza dover affrontare la propria cecità. L’ipocrisia non può ergersi a giudice.
[1] Cinque pregiudizi contro Israele e una domanda su di noi, Marco D’Egidio, Huffington Post 23 ottobre 2023
[2] E l’esilio doloroso divenne un esodo, David Meghnagi, Il Foglio, 23 ottobre 2023