Chi ha seguito lunedì 9 ottobre la trasmissione Otto e Mezzo su La7 ha avuto la (piacevole) sorpresa di assistere all’esordio televisivo dell’ex diplomatica Elena Basile – recentemente assurta agli “onori” della cronaca per le sue posizioni controcorrente su temi di politica internazionale – affiancata per l’occasione da un parterre de rois composto da Marco Travaglio, dall’impenetrabile sfinge Caracciolo e da Floris, anguillesco come d’abitudine. L’unico a sembrare fuori contesto era il giornalista Beppe Severgnini, e non solo perché in precario videocollegamento da casa sua. Alle pacate e convincenti argomentazioni dell’ambasciatrice – che, oltre a padroneggiare a meraviglia la lingua italiana, ha il raro dono della sintesi – l’editorialista del Corriere ha opposto un allucinato balbettio, riassumibile nello slogan: come in Ucraina anche in Palestina c’è un aggressore e un aggredito – e la vittima è, ça va sans dire, Israele. Che quello di sabato mattina sia stato un attacco cruento e inaspettato è innegabile, visti gli esiti, ma qualificarlo sic et simpliciter come un’aggressione equivale a etichettare indistintamente Hitler, Catone Uticense e Primo Levi come suicidi, parificare Breivik, Bruto e la biblica Giuditta in quanto assassini di esseri umani o sostenere che lo stupro etnico era un’abitudine dei soldati sovietici durante la Seconda Guerra Mondiale.
In sostanza ci si focalizza su condotta ed evento (o su una pluralità di condotte ed eventi) nudi e crudi, disinteressandosi totalmente degli antefatti e del vissuto dei protagonisti: in tal modo si fornisce una ricostruzione degli avvenimenti che, se non scopertamente falsa, è perlomeno tendenziosa e inattendibile.
Che questo sia peraltro il modus operandi di politica e giornalismo mainstream è sotto gli occhi di chiunque li tenga aperti: spiegazioni-che-non-spiegano-nulla e banalizzazioni manichee sono oggigiorno la regola, in Occidente, mentre qualsiasi tentativo di approfondimento ovvero di comparazione è bollato come intelligenza con il nemico. Il passato è sottoposto a rigida censura, i dati di fatto e persino il significato delle parole vengono sistematicamente stravolti: così si riconosce ad Israele un illimitato “diritto all’autodifesa” che contempla la licenza di bombardare senza preavviso e gratuitamente stati sovrani (la Siria, il Libano, l’Iran) o indifese entità autonome, di ammazzare a piacimento civili e funzionari stranieri (gli scienziati iraniani, tanto per fare un esempio), di assegnare territori altrui ai propri cittadini scacciandone con la forza i legittimi residenti, di impedire agli abitanti di Gaza perennemente assediata l’esercizio dei diritti fondamentali alla vita, alla salute e alla libertà di circolazione; d’altra parte si imputa alla Russia un’aggressione “non provocata” per aver invaso un paese confinante che, subornato da USA e Alleanza Atlantica, discriminava i cittadini russofoni, martoriava quotidianamente la popolazione del Donbass separatista e si apprestava a puntare missili nucleari forniti e controllati dagli americani contro la Federazione. Questo ci garantiscono i media: che se i russi radono al suolo condomini riadattati a caserme e depositi di munizioni siamo di fronte a un crimine di guerra, se invece l’esercito israeliano polverizza un caseggiato e i suoi occupanti, bimbi compresi, è fatalità o colpa di chi ci viveva.
Intendiamoci: bisogna essere senza cuore per non provare compassione nei confronti dei civili israeliani massacrati e rapiti a centinaia sabato scorso (magari più per i giovani partecipanti al rave party poco prudentemente organizzato a qualche chilometro dalla frontiera sud e per gli ultimi kibbutzim rimasti che per eventuali caduti fra i prepotenti coloni incoraggiati da Netanyahu a rubare la terra altrui…), ma se non si è pronti a commiserare con la stessa partecipazione emotiva gli uomini, le donne e i bambini palestinesi sterminati al mercato, arsi vivi nelle moschee disintegrate dagli aerei, falciati ogni giorno che passa (e non da sabato scorso, ma da lustri!) dalle raffiche di mitra o semplicemente privati di un tetto e del sostentamento si è ipocriti, privi di coscienza e in malafede. Chi condanna senza remore il brutale assalto di sabato scorso dopo aver taciuto sull’ignominia dell’operazione Piombo Fuso, sul c.d. “incidente” della Freedom Flotilla (2010) e su un’infinità di altri crimini commessi dagli israeliani non merita alcun credito – questo senza contare che c’è oggettivamente un occupante (Israele) e un occupato (la Palestina), anche se nessuna delle due parti, visto che non siamo nel mondo delle fiabe, va esente da responsabilità.
I governi e la stampa del Vecchio Continente si disinteressano da anni della questione palestinese, un po’ perché il quotidiano stillicidio di vittime autoctone, la disperata e tuttavia stagnante situazione di Gaza e il proliferare come funghi velenosi delle colonie “non fanno notizia”, ma soprattutto per evitare di inimicarsi il rancoroso alleato-padrone israeliano, che agisce legibus solutus. Quello iniziato sabato scorso è soltanto l’ultimo episodio di una sanguinosa e interminabile contesa e avrebbe potuto e dovuto, superata l’emozione iniziale, offrire spunti per una ponderata ancorché tardiva riflessione. Ma non è avvenuto niente di tutto ciò: si è preferito prendere una comoda scorciatoia, colpevolizzando un contendente per assolvere l’altro (si osservi che nella stragrande maggioranza dei resoconti giornalistici solamente agli ebrei è riconosciuta la dignità di “assassinati”, mentre gli abitanti della Palestina vengono “neutralizzati”, abbattuti o, al limite, muoiono). I media europei hanno rilanciato notizie orrorifiche (la decapitazione di quaranta bambini ebrei, quasi un remake del presunto scempio dei neonati a Kuwait City) senza porsi domande sulla loro veridicità, la politica ha proiettato la bandiera di Israele sulle facciate dei palazzi pubblici rinunciando sin da subito – esattamente come in Ucraina – a un possibile ruolo di mediazione fra le parti.
Quest’impostazione partigiana, mendace e antistorica non ammette alcun distinguo: per aver detto le cose come stanno l’egiziano Zaki è stato retrocesso in un battibaleno da eroe democratico a fiancheggiatore di Hamas, mentre la Basile è stata aggredita verbalmente da un propagandista (Cazzullo) con le bave alla bocca. Per l’ennesima volta mi chiedo: come si spiega la corrività “cadaverica” di uomini di stato e grandi firme al punto di vista di Washington e Tel Aviv? Non mi riferisco, infatti, al telespettatore medio imbonito e privo di strumenti d’indagine nè a qualche anziana scrittrice che dà per certi crimini su cui converrebbe investigare (e, guarda caso, sul fosforo che scende dal cielo resta muta…), bensì a politici con interi staff al loro servizio e a intellettuali che, quando si tratta di affrontare questioni meno spinose, sono in grado di formulare analisi complesse. Mercoledi scorso, sempre a Otto e Mezzo, la Basile ha rivolto a Mieli una domanda cui l’illustre ospite non ha saputo (o voluto) rispondere: possibile che un raffinato conoscitore del passato, aperto al dibattito e al confronto quando conduce la sua trasmissione su RAI Storia, si presti poi a diffondere – parlando di Ucraina e Medio Oriente – tesi rozze e parziali? Di convertiti a un atlantismo acritico, d’altronde, ne scopriamo ogni giorno a bizzeffe: penso, fra i tanti, a certi ex attivisti 5Stelle che, partiti da posizioni terzomondiste e di opposizione al militarismo della NATO, si sono prodotti sotto Draghi in una spericolata inversione a U (Dibba fa storia a sè, ma la sua coerenza è purtroppo una luminosa eccezione).
Un mix di cinico opportunismo, mancanza di rispetto per se stessi e ritrosia a rientrare nell’ombra dopo aver gustato le luci della ribalta è il probabile movente della quasi totalità delle conversioni; tuttavia personaggi come Craxi e Andreotti – non ascrivibili alla categoria delle “anime belle” – seppero portare avanti, decenni orsono, coraggiose politiche di equidistanza che, improntate com’erano alla cura degli interessi nazionali, potevano collidere con quelli americani e israeliani. Oggi questo non succede più nè in Italia nè nel resto dell’Europa Occidentale annessa alla NATO – prova ne sia l’umiliazione inflitta alla Germania, che nemmeno ha osato protestare per il sabotaggio “amico” del gasdotto North Stream (bechi e bastonadi si dice dalle mie parti…). È solo una questione di inadeguatezza (peraltro palese!) della classe politica europea contemporanea o c’è dell’altro? La frequente comparsa sulla scena di “tecnici” apolidi avvalora l’ipotesi dell’eterodirezione, ma esaminando l’operato dei politici c.d. di professione abbiamo la forte impressione che anch’essi eseguano ordini. Chiedersi se lo facciano convinti di essere nel giusto (alcuni forse sì: gli stolti e i fanatici), per gretto tornaconto personale o perchè costretti può sembrare ozioso, ma tocca tener conto che dopo la fine del Trentennio Glorioso gli equilibri internazionali sono mutati: svanita la minaccia del blocco sovietico, gli Stati Uniti si sono visti (e seguitano a vedersi) come i padroni del mondo e hanno preso a trattare i paesi europei non più come alleati preziosi, cui era conveniente concedere margini di autonomia, ma come servitori da cui ci si aspetta cieca obbedienza (chi sgarra è passibile di punizione: si veda il trattamento riservato anni fa dagli USA alla tedesca Volkswagen).
Il fatto che nonostante la loro arroganza (e in parte proprio a causa di essa) gli statunitensi incontrino fuori dall’Europa una crescente resistenza alle loro pretese di primazia è potenzialmente un’ottima notizia, ma il completo asservimento delle nostre classi dirigenti rischia di fare delle nazioni del vecchio continente le prime, impotenti vittime di uno scontro che si annuncia durissimo ed è già in corso.
Presto o tardi la solidarietà agli aggressori si paga; mentre scrivo queste ultime righe la portaerei G. Ford naviga minacciosa verso Oriente.
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