Riceviamo e volentieri pubblichiamo:
Nel seguente dialogo, il cantautore Marco Chiavistrelli, da decenni impegnato nel sociale, spesso accanto a molti dei nomi più validi del panorama musicale italiano, si esprime su alcune delle tematiche che gli stanno più a cuore. Da tempo, infatti, il suo ispirato talento è al servizio di nobili ideali, per i diritti di tutti, e soprattutto sociali, oltre che per un mondo libero da discriminazioni, ed invece equosolidale, ambientalista, pacifista. Artista poliedrico, completo, le sue sonorità variano dal folk al rock, dal blues al gospel, ai ritmi mediterranei. Particolarmente sensibile al mondo delle carceri, sovraffollate soprattutto di emarginati, Marco Chiavistrelli ha dedicato numerose canzoni a detenuti: ad esempio, a Carmelo Musumeci, uno dei pochi ad essere usciti da un ergastolo ostativo, che ha conseguito tre Lauree, e non ha dimenticato i suoi compagni di sventura: aiutarli è la sua missione di vita; a Ramona Cortese, una detenuta inerme e con molte problematiche, trovata impiccata in circostanze oscure; ad Alfredo Cospito, anarchico al 41 bis ed in situazione ostativa (solo di recente Corte Costituzionale e Cassazione hanno riconosciuto non debba avere l’ergastolo), per atti dimostrativi contro rappresentanti del potere: una figura che ricorda quella del Bombarolo di un altro cantastorie, il celeberrimo, l’anarchico, pacifico e poetico, Fabrizio De Andrè, che lo definiva “Se non del tutto giusto, quasi niente sbagliato”, soprattutto rispetto ad un certo potere che non si metteva in discussione.
Alfredo Cospito aveva sostenuto uno degli scioperi della fame più lunghi della storia, circa sei mesi, contro il 41 bis ed in generale il carcere ostativo, sostenendo di attuarlo non solo per lui, ma anche per gli altri. Sciopero interrotto solo dalla possibilità di non essere più condannato all’ergastolo. Nell’intervista, Marco Chiavistrelli si concentra su una delle sue più recenti canzoni, la Ballata di Francesco Di Dio, ispirata alla storia vera di un detenuto siciliano, un tempo strumentalizzato dalla Stidda per la sua tossicodipendenza, che lo aveva utilizzato in uno scontro con giovanissimi di Cosa Nostra, che a loro volta avrebbero potuto ucciderlo; Francesco era morto, nel 2020, in circostanze dolorose ed oscure in una cella del carcere di Opera: una canzone da brividi, dalla bellezza struggente e convincente, nel suo ripercorrere, come in un film, la tragica vicenda di Francesco, indotto a deviare per circostanze sociali sfavorevolissime, e poi, senza riguardi per la Costituzione italiana, vittima di un carcere disumano: gli erano stati negati perfino gli arresti ospedalieri, in un centro esterno al carcere, che la direzione del carcere aveva il potere di stabilire. Mai la stessa direzione del carcere aveva chiarito, dopo la morte, i segni inquietanti sul corpo (arrossamenti, lividi) in modo inequivocabile, data la distruzione della videosorveglianza, con la motivazione che fosse stata richiesta in ritardo, ma è documentato che fosse stata correttamente richiesta entro i tre mesi previsti dalle normative. Viene efficacemente chiarito quanto il caso di Francesco Di Dio sia uno dei più dolorosi di una questione più generale, quello della detenzione senza attenuazioni, ostativa, che è stata difesa trasversalmente da un sistema di potere che, inizialmente, poteva avere varato queste misure quasi di guerra di fronte al culmine degli attacchi alle istituzioni del 1992, ma che successivamente pare non essere interessato ad uscire da misure di emergenza, oltre il periodo di piena emergenza, nei fatti rafforzando solo i propri poteri, oltre misura. Ricordiamo che la Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, si era detta “orgogliosa del carcere ostativo”, mentre vari dirigenti del PD hanno espresso la posizione che non si debba toccare il 41 bis, strumento di ostatività, nonostante alcune singole posizioni di non indifferenza assoluta verso i detenuti (alcuni parlamentari del partito erano andati a trovare l’anarchico Alfredo Cospito, detenuto appunto in regime di 41 bis). Tuttavia, lo stesso governo Meloni, nel dicembre 2022, era stato costretto a varare una nuova legge, che abolisce l’ostatività obbligatoria in caso di non collaborazione con la giustizia, e, pur tra alti “paletti”, lascia ai magistrati di decidere caso per caso per possibili attenuazioni della pena: decisione obbligata, dopo che le più alte Corti d’Europa e d’Italia avevano stabilito la non equità e non costituzionalità dell’ostatività assoluta. In questi anni, quindi, qualcosa si è mosso, ma ancora molto c’è da fare, con una maggiore conoscenza: molti che sostengono “automaticamente” il 41 bis, spesso neanche ne conoscono aspetti non difendibili sul piano del principio di riabilitazione, sancito dall’articolo 27 della Costituzione italiana: ad esempio, che perfino il lavoro venga ostacolato, che i libri inviati da privati vengano sistematicamente bloccati ed altre privazioni ingiustificabili, che nulla hanno a che fare con l’impedire eventuali collegamenti deviati. Francesco Di Dio era stato 10 anni al 41 bis, cioè nella Massima Sicurezza, ed altri 20 in Alta Sicurezza 1, sempre in situazione ostativa. Una vicenda da non dimenticare, considerando anche che il livello di civiltà di un Paese, davvero, emerge anche dallo stato delle proprie prigioni… Prima di seguire il dialogo con Marco Chiavistrelli, ecco, il testo della canzone sulla straziante vicenda di Francesco Di Dio:
LA BALLATA DI FRANCESCO DI DIO
Mi chiamo Francesco e sono una persona
un giorno ho sbagliato ma anche Dio ti perdona,
un giorno l’ho ucciso chi mi stava sparando
18 anni solo picciotto per sbaglio.
Sì persi la strada tra droga e violenza
sembrava che il mondo non potesse farne senza,
crudele il destino di un mondo sparato
che vive un po’ ai margini quasi abbandonato.
Così persi libertà così persi umanità,
gettato nel vento in un carcere dentro
30 anni son tanti in isolamento.
E le onde scorrono nel golfo di Gela,
le zie mi accarezzano è dolce la sera,
ma il futuro mancava sotto il cielo impazzito,
mi dettero un’arma e il destino è servito.
Ma i boss appena presi divennero pentiti
avevano fuori uomini a difendere i loro amici,
e a noi disperati del crimine truppa
rimase la cella che il mondo avviluppa.
E gli anni passavano in carcere estremo
bollato di mafia trattato con veleno,
io solo un picciotto manovale ingenuo
c’è l’acqua pian piano dentro le tue vene.
Così persi la mia vita a 18 anni già finita,
ti penti davvero nel cuore lo senti
la legge ti incrina per lei non sei niente.
E il corpo non resiste il corpo si ammala,
il sangue non circola e si ferma brutale
e piangi disperato con tutti ti lamenti
rimedi soltanto sarcastici commenti.
Ma alla fine vince e ti aspetta la cancrena,
qualcuno si ravvede forse gli fai pena,
ti amputano il piede ma son piene le vene,
hai un morbo tremendo nel cuore va la rena.
C’è dal carcere all’ospedale,
lì la zia ti vuol mandare,
ma no il direttore risponde cattivo
forse non gli importa se sei morto o sei vivo.
E ha mille colori il golfo di Gela
ragazzi impazziti si sparano a sera,
e il tramonto si tinge di morte e di sangue
la mia vita in un attimo si spegne e poi piange.
E hai mille dolori hai mille pensieri
dimentichi presto i ricordi di ieri
e hai fatto 30 anni sai la fine dei tuoi giorni,
ergastolo ostativo indietro non torni.
E un giorno ti trovano morto nella cella
in quella bara aperta in quella tomba scoperta,
in quel loculo di metri povero e chiuso
la tua dolce zia non ti ha dato un saluto.
Son spariti video e riprese
lividi ovunque sul corpo steso,
pressione sul petto ti han soffocato
oh sembra proprio un omicidio mascherato.
Mi chiamo Francesco e vengo da Gela
se volete farlo dite una preghiera,
mi han preso a 18 anni una vita intera
i boss sono fuori io una vita in galera,
ma lo scriverò ovunque lo incido nel cielo
“qualcuno mi uccise questa è storia vera”
“qualcuno mi uccise questa è storia vera”.
Canzone che si può ascoltare, completata da un espressivo video, collegandosi al seguente link in You Tube: https://www.youtube.com/watch?v=m_sNQ1zSp0Y
1) Premetto che sei autore di musica e testo di una canzone particolarmente bella e struggente: La ballata di Francesco Di Dio sulla vicenda intensamente drammatica di un giovane prima strumentalizzato da un sodalizio mafioso, la Stidda, anche perché tossicodipendente, poi vittima di un sistema carcerario disumano. Quali sono gli aspetti di questa storia che ti hanno più colpito?
Ho scritto la canzone di getto, leggendo alcuni articoli, tra i quali il tuo. Mi ha colpito subito la trasparenza con cui si vedeva l’ineluttabilità di una storia dove, accanto ad alcuni errori personali anche gravi, si notava la preparazione, quasi un’autostrada veicolante, verso un orizzonte di carcere. Acque paludose come ambito dove striscia la mafia, che funge da modello culturale in assenza clamorosa dello Stato, dello sviluppo, della società funzionante. Giovani, piccoli uomini armati, usati dai boss, soltanto manovali del crimine mafioso, spesso con problemi di droga, allo sbaraglio, al macero, al macello… a chiunque va comunicato questo messaggio: vieni macellato come un animale, a 18 anni sei già all’ergastolo senza fine. Fai decenni di 41 bis e sicurezza speciale, evirato di ogni istinto umano e culturale, annullato nella tua umanità e curiosità, separato da tutto e tutti, e dove? In una tomba sarcofago murario di 3 metri per 2, dove passi 22 ore e mezzo al giorno per anni e anni, in solitudine claustrofobica. Pochi minuti d’aria con 2 persone in un cubicolo verticale cementizio di pochi metri, con rete acciaiosa sopra. Stroncato nel corpo e nella mente, demolito come membra, ucciso come psiche. Poi le malattie e il rifiuto di darti cure e della pietà stessa. E dopo 30 anni di questo inferno democratico magari vieni ucciso perché hai preso coscienza dei tuoi diritti umani e ti sei iscritto ad associazioni che lavorano sul carcere e quindi disturbi. Troppo. Impossibile non scriverci una canzone che renda giustizia a una vittima della tortura di Stato. Ho scritto un brano folk di pura denuncia ritmata, sulla scia dei grandi cantautori folk di protesta, un brano asciutto, scheletrico, volutamente scarno che cercasse il racconto drammatico. Spero di esserci riuscito.
2) Il drammatico vissuto di Francesco Di Dio ha certamente un significato che va oltre l’aspetto individuale, è una vicenda emblematica, altamente simbolica. Con la canzone al riguardo, quali sono i messaggi che più hai voluto trasmettere, per comprendere di più certe vicende e magari cambiare le cose?
Ho voluto trasmettere l’universalità, l’aspetto sociale della cosa, la provenienza di cause economiche, ecosistemiche nel metterla in moto. Francesco mostra all’inizio da giovanissimo il sentimento umano certo, quasi biblico, di perdersi, di smarrire la strada e di finire punito senza pietà, altro che rieducazione, cura, seconda opportunità. Ci sono le assenze di sbocchi positivi all’esistere e le mancanze di alternative alla cultura mafiosa che fa da cardine nel vuoto dello sviluppo, le trame del demonio-mafia che spinge, sorregge in assenza dello Stato, vivo e protagonista, il vuoto assoluto della società civile, le connivenze anzi col castello mafioso. Ti dico due cifre da far leggere a chi parla di delinquenti come mele marce e genie cattive, dna quasi devianti a livello personale e soggettivo, senza cause esterne, frutto di casualità sociale: il 90% dei carcerati proviene da quei 6 milioni scarsi di esseri umani che vivono sotto la soglia di povertà. Significa che di 55.000 detenuti 50.000 sono poverissimi. Significa che gli altri 60 milioni di individui producono 5000 detenuti. Significa che se hai un quartiere povero di mille persone, 10 finiscono in carcere. Mentre un quartiere ricco o almeno non povero di 10.000 persone sforna un detenuto. Significa che in carcere ci sono 1000 laureati, il 2% ma sono il 20% nella società, altro che indole soggettiva, dovrebbero essere 10.000 se ogni ceto fosse equamente e casualmente rappresentato. Che ci sono 8000 diplomati, il 15% ma nella società sono il 60%, dovrebbero essere il quadruplo, 32.000 in galera, se le cause del delinquere fossero soggettive. Significa che i meridionali sono il 23% degli italiani ma il 42% dei carcerati. Non c’entra la provenienza geografica ma la maggiore povertà. Che gli stranieri, i profughi gettati per strada, sono l’8% della popolazione ma il 35% dei carcerati, non perché neri, ma sempre perché spinti ai margini e poveri in canna. Significa che il 90% dei carcerati era disoccupato prima dell’entrata. Naturalmente in questo scenario si capisce che i reati delle classi più abbienti che a loro modo delinquono eccome, truffa finanziaria, esportazione di capitali, corruzione, grandi traffici illegali, grande evasione fiscale, offesa all’ambiente, assenza di misure di sicurezza sul lavoro, tanto per fare alcuni esempi, non vengono quasi mai perseguiti, o finiscono nelle mani abili e spregiudicate di costosissimi avvocati che rimediano sempre sentenze favorevoli o prescrizioni. I ricchi poi non vanno in custodia cautelare, i poveri sì. Significa poi che in Italia il 35% è in carcere per droga, ma in Europa solo il 15%. Qui si punisce lì si cura. I poveri e poverissimi, gli analfabeti, chi ha studiato poco, gli emarginati, i tossicodipendenti, i piccoli spacciatori di marijuana, i fragili dal punto di vista psichiatrico, finiscono in prigione. La mia canzone vuol far capire che l’emarginazione, la mancanza di modelli positivi, della scuola formante, porta al crimine, la maggior parte poi si tratta di piccoli reati, per bisogno, per non cultura, per mancanza di alternative sociali.
- Più volte ti sei dedicato ad intense canzoni per il rispetto dello Stato di Diritto verso i detenuti e per percorsi di giustizia riparativa; ricordo, tra le varie, anche quelle su Carmelo Musumeci, che ha conseguito tre Lauree in un percorso di evoluzione, e per l’anarchico Alfredo Cospito, la cui pesantissima situazione detentiva aveva fatto scalpore. Quanta parte ha la denuncia sociale, in tutto ciò? Molte volte, dietro certe situazioni, ci sono poteri non sempre con “le carte in regola…”
Con Carmelo Musumeci facciamo un incontro tra musica e parole. Ho scritto alcune canzoni sulle sue storie, come Canzone per un ergastolano, Nino e Maria Luce, l’incontro si chiama Autostrade per il carcere, ovvero il destino già segnato che da miseria, ignoranza culturale, emarginazione sociale, disastro economico, porta al carcere. Che poi si reitera al 70% di recidiva, 20% soltanto dove si svolgono misure alternative e rieducative. Per Cospito ho scritto una canzone che poi è una invettiva contro il 41 bis. La denuncia sociale è fondamentale, pensa al caldo torrido ormai di ogni estate col riscaldamento climatico: le prigioni divengono gironi infernali dove veri dannati scoppiano di dolore, di tragedia, di sofferenza. Il sovraffollamento è bestiale, lo spazio calpestabile drammaticamente piccolissimo, le attività extra cella pochissime, la doccia se c’è e non è guasta si fa raramente, le celle anguste paiono squallidi allevamenti di animali umani. Lo stato somministra dolore senza pietà, senza ragione logica, per puro senso sadico, pensa alle inferriate, alle sbarre, al cemento ovunque, cose che si surriscaldano in modo bestiale, a universi senza verde, a docce poche o che non fanno, a ventilatori completamente assenti. Pensa a come resistiamo con fatica noi al nuovo caldo del riscaldamento climatico, loro, i detenuti, come faranno? In quell’universo barbaro di ferro, fuoco sole e cemento, di corpi addossati e sporchi, maleodoranti, che finiscono per odiarsi per la propria presenza ingombrante per l’altro. Pensa quanta violenza si genera! Pensa a scendere dalle brande a turno perché non c’è spazio calpestabile, all’orrore sadico di questa ristrettezza. Pensa che in un Paese che permetteva la tortura, una delle più repellenti era il toast: mettere il disgraziato tra due pareti di ferro o di cemento e lasciarlo cuocere al sole tropicale. Ormai siamo anche noi ai tropici e nelle celle del 41 bis, degli isolamenti, o nei tuguri dove si ammassano i detenuti nelle celle comuni, l’effetto toast è garantito: in democrazia proclamata. Occorre cambiare al più presto, svuotare le carceri dai reati minori, dando sanzioni amministrative (l’85% in Germania), pene alternative, fondate sulla rieducazione, e per i reati gravi, a una ricerca ufficiale di stato non più del 15%, dare comunque ambienti umani e cifre di rieducazione pur nella privazione della libertà individuale. In Europa, assistenti, psicologi, educatori, animatori, medici, allenatori allo sport e al lavoro, infermieri, psichiatri sono molto numerosi in carcere, in Italia hanno percentuali comiche, il personale è praticamente tutto, perlopiù, di guardia e repressione. Guardie, sbarre, cemento claustrofobico e detenuti poveri, polli da allevamento. Siamo rimasti al carcere orrido dei secoli passati, indietro di un secolo. Lo Stato reprime, opprime, somministra dolore, e nella storia di Francesco c’è poi l’assurdo dei boss mafiosi che si pentono e escono di prigione, ma che hanno soldi e truppe per difendere i parenti e se stessi dopo il pentimento. Mentre i picciotti, i manovalini della mafia che non hanno soldi, potere, informazioni, non possono pentirsi e fanno 30 anni di galera tra 41 bis e isolamento, e alla fine vengono probabilmente uccisi come Francesco che aveva preso coscienza dei suoi diritti, ed è finito ammazzato nell’ora di pranzo, con lividi e tracce di soffocamento causato, con le riprese delle telecamere che sono misteriosamente scomparse. Verrebbe da dire la vendetta dello Stato e la giustizia di classe, su base economica. Esce chi ha soldi, soffre chi non li ha.
- Che accoglienza hanno trovato, solitamente, le tue canzoni per i detenuti, sul caso di Francesco Di Dio e non solo? Quanto è consapevole la società civile su certe scottanti tematiche?
Purtroppo non c’è una grande sensibilità sui problemi della sofferenza in carcere, pensa che il Pd che dice di rifarsi alla Costituzione e alla storia di diritti del movimento operaio e democratico, difende in modo proclamato il 41 bis, cioè la tortura di stato, la tomba muraria, il sarcofago per 22 ore al giorno. Una ignominia. L’ode alla claustrofobia democratica. E in genere si parla che “quello se l’è cercata”, che il crimine è soggettivo, che “vanno in carcere ed escono subito” (io ho trovato tutti casi che si fanno tutta la pena e durissima). Ci saranno errori in tal senso ma il grosso delle pene è inferto in modo bestiale e disumano in condizioni esistenziali e spaziali tremende, non a caso la Corte Europea ci sanziona di continuo per carceri sovraffollate, solo repressive con componenti di tortura oggettiva. Sì, ci sono belle realtà di sensibilizzazione, e un’opinione pubblica in rete che apprezza moltissimo le mie canzoni. Ma ci sono masse di persone che non sanno nulla del carcere e di come ci si vive. Per gli ignavi voglio raccontare una storiella tratta dai testi ufficiali di sociologia: nella Scozia degli anni passati si poteva fare un esperimento sociale così, impensabile oggi. Due gemellini identici, non li distingui, abbandonati alla nascita. Si dà in adozione uno ad una famiglia ricca e borghese, l’altro ad una famiglia sottoproletaria ed emarginata. A 15 anni si osservano. Il primo è il fiorente rampollo della borghesia, bravo a scuola, con belle frequentazioni, fa corsi, attività, belle amicizie. Per lui un orizzonte di successo scolastico e prosperità. Il secondo lo si trova già fallito a livello scolastico, già buttato sulla strada, poverissimo, già preda di ambienti marginali e di frequentazioni pericolose. Per lui un orizzonte fosco, col carcere come presenza inquietante in prospettiva, e un’esistenza emarginata.
- Da anni il tuo lavoro artistico, sempre a favore degli ultimi, per un mondo più equo e solidale, ambientalista, pacifista, ti ha visto impegnato accanto a grandi gruppi e famosi artisti, tra cui Francesco De Gregori, Franco Battiato, gli Area, Edoardo Bennato, Alan Sorrenti ed altri. Quali di queste esperienze sono state più significative e perché?
Vengo dagli anni ‘70, da un’attività concertistica e musicale straordinaria: in quel periodo, ho pure cantato con Guccini, Venditti, Gaslini, Tony Esposito, Napoli Centrale e tantissimi altri, quella stagione ha visto presenze di massa, movimenti sugli scudi, ricordo il festival di Licola davanti a 50.000 persone, fantastico, cantai mezz’ora. Palazzetti dello sport pieni, teatri bellissimi. Una tournèe con gli Area, una con Giorgio Gaslini, il Teatro Operaio… Poi ebbi incomprensioni col manager che mi proponeva e tutti i contatti andarono perduti. Così, dopo un periodo di pausa, ricominciai quasi da capo nei decenni successivi, con un genere personale di liberazione profonda e ricerca della libertà interiore specialmente rompendo i condizionamenti degli altri, dei valori dominanti, delle menti che tolgono spazio ad altre menti. E poi ancora, specie nel nuovo secolo, una ripresa di ispirazione e contatti coi temi immensi ed eterni del razzismo, dei migranti, dell’Africa, della madre terra snaturata e aggredita, della violenza sulla donna e in genere dell’oppressione di tutte le nostre componenti più sensibili delicate e profonde, e poi il carcere, la lotta agli imperialismi violenti di ogni colore. Qui ho cantato con tutte le nuove leve della canzone impegnata, ad es. ho aperto un concerto ai Nomadi. Ho cantato per 10 anni in Piazza Alimonda il 20 luglio per ricordare Carlo Giuliani e i massacri del G8 e un mio pezzo compare in una compilation coi Subsonica, i Modena City Ramblers, i 99 Posse. Sono orgoglioso poi di aver scritto La Cooperativa vapordotti una canzone memoria su una piccola cooperativa quasi estinta dall’amianto, 18 su 20 operai deceduti per mesotelioma da asbesto e 2 malati. Dimenticati e scomodi, invitati a nascondersi da morti e da malati, perché ricordano, nella verde toscana e nella geotermia green, la presenza di 12.000 tonnellate di amianto e di ingombranti morti da dimenticare. Ho dato voce a questo dramma, ne vado davvero fiero, e cantato spesso con uno dei due sopravvissuti sul palco a cantare con me, un po’ in tutta Italia. Davanti ai dirigenti Enel e alle istituzioni chiedevo la parola e poi invece tiravo fuori la chitarra e cantavo, con gli operai che dopo insorgevano. Ho scritto tante, tantissime canzoni su questi temi sociali collegato a movimenti, onlus, associazioni, comitati di base, comunità sociali, centri per migranti come quello di Don Biancalani a Vicofaro-Pistoia dove ho cantato 4 volte, associazioni culturali che lavorano sul carcere.
6) Puoi esporci alcuni dei tuoi progetti futuri e soprattutto quale sia il senso che li accomuna?
Sto mettendo molto materiale sul carcere su Spotify con la Radici records che mi segue. Temi, l’ergastolo ostativo, una ragazza, Ramona, uccisa in carcere e altre storie anche poetiche di caduta e resurrezione. Poi un cd con Giusi Campioni per la quale ho scritto una canzone per il figlio Matteo Iozzi, bullizzato nella vita e fatto morire tra insipienza e brutale superficialità in una comunità della Papa Giovanni XXIII dove cercava di dimagrire. In progetto qualcosa sulla Sindrome di alienazione parentale, con Umberto Baccolo e Elisa Torresin di Nessuno tocchi Caino, ovvero su quella tendenza, una sorta di controrivoluzione, a togliere i bambini alle madri in situazione di separazione, tacendo sulla violenza e irresponsabilità dei padri a monte. E poi desidero continuare a cantare, scrivere, postare video sempre sulla violenza contro gli ultimi e sulla tendenza umana a costruire sfruttamenti, oppressioni, umiliazioni, repressioni, disuguaglianze e ingiustizie, a generare razzismi e emarginazioni. Ho scritto nell’ultimo periodo, anche molte canzoni, quasi buffo a dirsi, contattato appositamente da persone che volevano non morisse una storia di violenza o di ingiustizia. Si potrebbero quasi dire canzoni su richiesta. Mi piacerebbe certamente tornare ad avere una visibilità maggiore, anche se mi rendo conto di far un genere per certi versi scomodo, anche se ho molte canzoni come dire esistenziali e di stampo puramente personale e poetico. Penso che fino a che ci saranno situazioni di ingiustizia ci sarà una mia canzone a denunciarne la disumanità e anche a svelare, sotto il segno di razionalizzazioni di comodo, il segno e gli interessi particolari di qualche potere concretissimo e affamato di autoaffermazione. Sì, scriverò sempre canzoni di denuncia, non posso farne a meno, è più forte di me. Un mio amico mi dice da sempre “faresti successo a scrivere canzoni normali”. Ma le mie canzoni sono normali, denunciano normalmente le normali ingiustizie e carognate del nostro mondo…normale.
Introduzione e quesiti di Antonella Ricciardi, intervista ultimata nel luglio 2023
Fonte foto: Il Riformista (da Google)