Avevamo detto fin dall’inizio che questo giornale non sarebbe stato politicamente corretto e abbiamo mantenuto la promessa fatta i nostri lettori. Non ci interessa rassicurare ma riflettere e far riflettere, anche e soprattutto su quei temi considerati dei veri e propri tabù. Proprio oggi, non potevamo esimerci dal farlo.
Dirsi le cose come stanno è un’operazione quasi se non sempre assai scomoda, perché ci costringe a fare i conti con noi stessi e a metterci metaforicamente davanti ad uno specchio . Quegli stessi conti che per tante ragioni tendiamo per lo più a rinviare e/o a rimuovere, come si usa dire in gergo psicoanalitico.
E allora, oggi che ricorre il settantesimo anniversario della Giornata della Memoria, è bene raccontarci le cose per come sono e non per come ci piacerebbe che fossero.
Ormai quasi settant’ anni (curioso che il settantesimo anniversario della commemorazione della Shoa coincida con i quasi settant’anni dalla “Naqba”, cioè dalla tragedia, come i palestinesi definiscono la cacciata dalla loro terra da parte di Israele) di occupazione neocoloniale della Palestina perpetrata con metodi brutali e violenti e di politiche razziste che in nulla o quasi differiscono da quelle perpetrate dai bianchi boeri nel Sudafrica dell’apartheid, hanno contribuito a ridurre ad una sorta di scontato e demagogico rituale quella che dovrebbe invece essere un’occasione di riflessione per tutti sulla tragedia vissuta non solo dal popolo ebraico ma da tutti i popoli colpiti a suo tempo dalla ferocia nazifascista – quello russo in primis con i suoi ventisei milioni di morti di cui la metà civili – e su tutti i genocidi commessi nella storia passata e recente.
Ma Israele si è macchiato di un crimine ancora più grande: quello di utilizzare l’immane tragedia dell’Olocausto come alibi per perpetrare la sua politica imperialista, neocoloniale e razzista, per coprire i crimini di guerra commessi nel nome del suo diritto all’ “autodifesa”. Una speculazione politica assolutamente imperdonabile e inaccettabile che getta una luce sinistra sullo stato di Israele e offende, questa sì, la memoria dei milioni di ebrei che sono stati barbaramente trucidati nei lager nazisti.
La vera forza di Israele non risiede quindi nella sua potenza militare (che è quella degli USA) ma nel credito inestinguibile che ha contratto con il mondo occidentale e in particolare con l’Europa, o meglio, con la cattiva coscienza europea. E’ questo senso di colpa scientemente alimentato, questo debito/credito inestinguibile che consente a Israele di fare il bello e il cattivo tempo e di agire indisturbato.
E’ giunta l’ora di separare la tragedia dell’Olocausto dalla questione israelo-palestinese e dallo stato di Israele che è a tutti gli effetti una potenza militare e imperialista che impone con il terrore il suo “ordine” politico-militare nell’area mediorientale. Se non si farà questo non si potranno mai creare le condizioni per una possibile soluzione politica della questione e Israele, insieme agli USA, all’Europa, alla gran parte del mondo occidentale (non solo geograficamente parlando…) e ai loro alleati, continueranno a speculare politicamente e ideologicamente sul dramma che colpì anche (e non solo…) il popolo ebraico.