Vi sono testi che svelano l’innaturalità del neoliberismo. Il testo di Erasmo da Rotterdam La guerra piace a chi non la conosce è eterno nella sua verità. Ancora una volta il pensiero filosofico si palesa nella sua “verità”, esso coglie l’eterno nella storia. Il filosofo rinascimentale con le sue riflessioni sulla guerra e sulla natura umana coglie nella brevità del suo testo la contraddizione tra la natura umana e la guerra. Quest’ultima è l’effetto di circostanze ambientali che si sono strutturate fino ad “apparirci connaturate alla natura umana”.
Si tratta di un malinteso ideologico. Le oligarchie usano tale abitudine consolidata per giustificare le guerre. La normalizzazione della guerra nel nostro tempo si è consolidata secondo la logica del frattale, c’è guerra nel micro ovvero nella vita quotidiana come nel macro. I conflitti sono l’esplicitazione e lo svelamento della normalità della guerra quotidiana velata con la retorica della pace. Si afferma la pace, ma si persegue la guerra in ogni gesto e in ogni comportamento banale dell’esistenza. Il totalitarismo aziendalistico è preparazione alla guerra nella forma della competizione e dell’accaparramento dei beni. Regna ed impera la separazione. Ogni comunità dev’essere sciolta, in quanto fonte di resistenza allo stato di guerra. La bestia selvatica del mercato, come la definiva Hegel, esige identità e relazioni liquide, ogni corpo e anima dev’essere interiormente separato dall’altro, in modo che la logica del conflitto penetri in ogni azione, parola e desiderio e faccia apparire “normali” le guerre tra nazioni e blocchi contrapposti.
Rileggere il testo di Erasmo da Rotterdam significa guardare la verità terribile in cui siamo e comprendere che essa non è la verità ma manipolazione. Il filosofo olandese per dimostrare la natura etica dell’essere umano si sofferma sulla sua struttura anatomica. Nulla lascia presupporre che egli sia finalisticamente costruito per la l’attività bellica. La fragilità palese della struttura anatomica dimostra piuttosto la sua natura comunitaria e l’indole mite. L’uomo ha la voce con cui poter comunicare e condividere soluzioni comunitarie. La voce diventa capacità di ridere e piangere con cui vivere “pienamente le relazioni”. Il riso e il pianto come il bacio e l’abbraccio sono ponti verso l’altro:
“Solo l’uomo è stato messo al mondo nudo, debole, indifeso, dotato di tenere membra e di pelle sottile. Nel suo corpo nulla sembra essere stato pensato per la battaglia o per la violenza. Per non dire che gli altri animali, quasi appena nati, sono in grado di provvedere alla propria sopravvivenza: solo l’uomo è stato concepito in modo da dipendere a lungo dal sostegno dei genitori. Quando nasce, non sa parlare, non sa camminare e non sa procurarsi il cibo. Sa solo chiedere aiuto con i vagiti, sicché se ne deduce che è il solo animale nato esclusivamente per l’amicizia, che si fonda e si rinsalda a partire dai servigi reciproci. La natura ha voluto che l’uomo non le fosse debitore della vita: ha preferito che egli dovesse la vita alla benevolenza, affinché comprendesse di essere stato concepito per provare gratitudine e per sentirsi legato agli altri uomini. Dunque gli ha dato un aspetto non tremendo e orribile, come alle altre bestie, ma mite e placido, che dimostra a prima vista l’inclinazione all’amore e all’amicizia. Gli ha dato uno sguardo rassicurante, che è specchio della sua anima. Gli ha dato braccia per abbracciare e labbra per baciare, affinché con il bacio gli uomini, per così dire, si congiungessero gli uni con gli altri anche attraverso l’animo. L’uomo soltanto può ridere, segno di vivacità, e può piangere, segno di clemenza e di misericordia. E ha avuto in dono una voce diversa da quella degli altri animali, non minacciosa e feroce, ma amichevole e pacata. Non contenta di ciò, infine, la natura ha attribuito all’uomo la parola e la ragione, che più di ogni altra cosa ha il potere di suscitare e accrescere la benevolenza e di evitare che gli uomini usino la violenza. La natura ha instillato nell’animo umano l’odio per la solitudine e il desiderio di socializzare; ha piantato nel suo cuore i semi dell’amicizia. Ha fatto in modo che egli preferisse sempre ciò che è anche benefico[1]”.
Solo chi la guerra non la pratica, o si può aggiungere è malvagio per “predisposizione ideologica”, può volere la guerra e sostenerla. I guerrafondai del nostro tempo che inneggiano e sostengono la guerra per ambizione personale o per ideologia negano la natura umana. Per Erasmo da Rotterdam solo chi non pratica la guerra e non vi è direttamente coinvolto può farsi artefice di essa. La sua pericolosità e potenzialità distruttiva è aumentata in modo esponenziale con gli anni e nei secoli, per cui l’affermazione del filosofo è oggi più vera che mai.
Misticismo del male ed emancipazione
Il filosofo rinascimentale conosce gli effetti della polvere da sparo sui corpi, noi conosciamo gli effetti dell’atomica, ciò malgrado vi sono assertori della guerra. Il terrifico del nostro tempo è in coloro che nella loro ignoranza emotiva e razionale giocano con il destino dell’umanità e occupano posizioni apicali. Il monito di Erasmo da Rotterdam ci parla oggi più di ieri:
“Questo adagio è tra i più eleganti e conosciuti: «La guerra piace a chi non la conosce». Scrive Vegezio nel libro III dell’Arte militare: «Non fidarti, se la recluta smania per combattere: è avido di combattimento chi non ha mai impugnato le armi». Ma è un detto che citava già Pindaro: «La guerra piace a chi non la conosce; il veterano trema, quando la vede arrivare». Ci sono esperienze, nella vicenda umana, di cui non si comprende quanto siano pericolose e nocive, se non dopo averle toccate con mano: La consuetudine con un amico potente è dolce per chi non sa di che si tratta: chi la conosce, la teme[2]”.
La guerra non esaurisce il loro ciclo distruttivo con essa. Gli effetti sono peggiori della stessa guerra. Essa non si chiude con i trattati di pace, ma le sue ferite continuano a versare sangue e a preparare conflitti. La seconda guerra mondiale fu preparata dal patto di Versailles. Dopo la guerra in Ucraina ingiustizie e violenze saranno l’humus che prepareranno altre guerre ed inutili stragi. La guerra è la sorgente del male, i cui cattivi frutti attraversano la storia:
“Dalla sorgente della guerra scaturisce un’immensa caterva di ladri, rapinatori, sacrileghi, assassini. E, ciò che è ancor peggio, questa pestilenza non rimane entro i propri confini: ben presto vien fuori dall’angolo di mondo in cui si è prodotta e invade come un contagio le regioni confinanti, finché in breve termine non trascina nel vortice e nella tempesta anche le regioni più lontane, o per via delle milizie mercenarie o con il pretesto di qualche rapporto di parentela o di alleanza. E così dalla guerra nasce la guerra: dalla guerra finta si genera la guerra vera, da un piccolo conflitto se ne produce uno immenso[3]”.
Per poter trascendere la normalità della guerra bisogna capirne la genesi. L’essere umano fragile per natura ha dovuto difendersi dalle aggressioni, in primo luogo degli animali, tale terrore si è iscritto nella sua memoria, si è trasmesso ed è stato usato per giustificare “la naturalità delle guerre”:
“Ora, dal momento che l’uomo è fatto nel modo che prima abbiamo descritto e, d’altra parte, la guerra è quella sciagura che troppo spesso abbiamo sperimentato, appare davvero stupefacente che una divinità, un morbo o il caso sia riuscito a un certo punto a insinuare nel cuore dell’uomo il desiderio di trafiggere il proprio simile con la spada. È chiaro che a tale assoluta follia si è giunti per gradi: poiché «nessuno diventa del tutto malvagio all’improvviso», come ha scritto Giovenale. I mali peggiori si sono sempre insinuati nella vita degli uomini adombrati da un’apparenza di bene. Un tempo dunque, quando i rozzi uomini primitivi vivevano nudi, senza mura e senza case nelle selve, accadde più volte che li assalissero le bestie feroci. esto fu il primo genere di guerra che l’uomo intraprese. Forte e con capacità di condottiero veniva giudicato colui il quale era in grado di allontanare dai propri simili il pericolo rappresentato dagli animali. Posso capire che sarà apparso giusto a quegli uomini il fatto di sgozzare le bestie che cercavano di sgozzarli e di trucidarle per evitare che esse li trucidassero. Tanto più che gli animali attaccavano l’uomo senza essere stati da lui aggrediti[4]”.
Capire le ragioni della guerra e ricostruire la sua genealogia è il modo per decostruire dialetticamente “la banalità della guerra”. Nel tempo della “normalità del male” il logos quale capacità di ricostruire la genesi del male è mediaticamente rifiutata. L’egemonia culturale della guerra funzionale agli interessi delle oligarchie neutralizza il pensiero critico. Si vorrebbe rendere la guerra la normalità dell’occidente che difende “la democrazia e la pace” con le guerre infinite. Il misticismo del male per essere interrotto necessita della filosofia e della sua attiva azione critica ed emancipativa dall’ordine del discorso imperante. Oggi più che mai senza la filosofia tutto è perduto, dobbiamo rammentarlo a noi stessi e a coloro che incontriamo nel nostro vivere quotidiano.
[1] Erasmo da Rotterdam, La guerra piace a chi non la conosce, Selleri, editore Palermo, 2015, pag. 24
[2] Ibidem pag. 22
[3] Ibidem pag. 26
[4] Ibidem. Pag. 29
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