L’esplosione della violenza narcisistica

Se non sapremo arginare lo strapotere del capitalismo digitale, e la Tecnocrazia di cui costituisce l’ossatura economica, assisteremo nel breve futuro, tra le altre cose, al dilagare della violenza narcisistica.

 

Non è uno spauracchio ma una previsione molto facile da fare, perché costituisce un epifenomeno del quadro principale.

 

Capitalismo digitale e Tecnocrazia

Per comprendere il senso della mia affermazione, occorre in primo luogo aver chiaro che il capitalismo digitale ha determinato una profonda ristrutturazione antropologica, ossia ha forgiato un nuovo tipo d’uomo. La Tecnocrazia imperante presuppone sempre una delega tecnocratica e la conseguente trasformazione del cittadino in tecno-suddito. La Tecnocrazia è radicalmente antidemocratica.

Che i “capitalisti della sorveglianza” sappiano di noi molto di più di quanto noi sappiamo di loro è soltanto una premessa. Più in profondità, il regime tecnocratico, ultima e piena evoluzione dell’ideologia neoliberale, è compiutamente instaurato nella misura in cui gli individui-utenti-sudditi non riescono più a pensarsi senza le protesi narcisistiche che il potere mette a loro disposizione. In cambio della definitiva rinuncia del tecno-suddito a incidere sul mondo vero, il capitalismo digitale, apoteosi del Mercato e dell’individualismo competitivo, fornisce all’individuo, definitivamente atomizzato, i graziosi giocattolini senza i quali ormai, letteralmente, non esiste, e a contatto dei quali passa molte ore della sua giornata. Sempre più iper-connesso e sempre più mentalmente sconnesso, perché i giocattolini in questione non sono affatto espressione di una tecnica neutra. Sono, invece, lo specifico veicolo e l’ambiente utilizzato dal capitalismo digitale, o delle piattaforme, e sono sempre più stati plasmati alla luce di una ingegneria comportamentista che ha determinato una profonda mutazione antropologica, oltre a conseguenze patologiche che ormai non vede soltanto chi non vuole vederle.

Strettamente connessa alla Tecnocrazia è l’autorità degli esperti: “L’idea fondamentale che accomuna le diverse tipologie di tecnocrazia è che la vita individuale e collettiva deve essere (etero)gestita da esperti, competenti nelle varie scienze e tecniche, considerati i soli in grado di implementare “la” soluzione “migliore” “. (Ippolita, Tecnologie del dominio, Meltemi, 2017, p. 253). Per un esempio immediatamente disponibile della blindatura degli esperti si veda la chiusura del confronto e la violenta stigmatizzazione di ogni voce critica durante la pandemia, la cui gestione politica è stata pienamente improntata alle logiche della governance tecnocratica.

La frammentazione e l’iper-specializzazione dei saperi, con il conseguente veto di occuparsi di qualunque argomento nel quale non si sia dimostrabilmente competenti è quindi, del tutto funzionale alla Tecnocrazia: deve rendere impossibile il poter riemergere al livello di una visione complessiva dei problemi che, proprio in quanto complessiva e solo in quanto tale, avrebbe la potenzialità di divenire critica nei confronti degli assetti di poteri.  Non appena qualcuno prova a farlo, si leva prontamente la voce del fesso semi-colto di turno: “E tu, sentiamo, che titoli hai per parlare così?”.

In questo quadro, l’unica prospettiva globale accettata, e anzi incessantemente propagandata, diventa quella, del tutto fuorviante, dell’ideologia politicamente corretta. Prospettiva fuorviante e anche completamente ideologica, che costituisce in realtà l’insieme delle strutture di giustificazione al servizio del capitalismo digitale, che a sua volta è l’ossatura economica del potere tecnocratico. Ambientalismo all’acqua di rose, neofemminismo, pari opportunità, diventano così le coordinate dell’unico discorso “globale” consentito, ripetuto dai subalterni con formule retoriche sempre identiche e sotto il quale deve restare sepolta la questione sociale.

In cambio della sua docilità, all’individuo-utente-suddito sono offerte le protesi narcisistiche che costituiscono la linfa dell’ego digitale elargito e gonfiato oltre ogni limite in cambio della sottrazione dell’io reale e dei suoi diritti. Siamo ormai arrivati a capire con chiarezza come i meccanismi di “profilazione “ degli utenti, gestiti ed elaborati attraverso gli algoritmi da intelligenze artificiali sempre più sofisticate, consentano di fornire a ciascun utente una rappresentazione sempre più selezionata della realtà, in modo da confermarlo nelle proprie convinzioni. Con queste premesse, e considerando che la maggior parte delle persone è ormai online per un tempo significativo della giornata, non sorprende la crescente polarizzazione del discorso pubblico, sempre più caratterizzato da posizioni contrapposte e inamovibili, certezze granitiche e indisponibilità all’ascolto e al confronto.

Per un approfondimento dei caratteri della Tecnocrazia rimando alla breve bibliografia di miei articoli pubblicati qui sull’Interferenza e richiamata in fondo a questo articolo.

Qui voglio ancora sottolineare, come elemento rilevante e di cerniera rispetto al tema della violenza, che il capitalismo digitale “corteggia” e lusinga il tecno-suddito, messo al centro del proprio mondo con il suo personale seguito e messo nelle condizioni di perseguire in modo compulsivo l’ostensione della propria immagine in forma potenzialmente illimitata. Il tecno-suddito, insomma, è tanto turlupinato, quanto vezzeggiato, lusingato, gonfiato nell’ego, confermato nelle sue convinzioni e convinto che il problema siano sempre gli altri, la cui definizione dipende dal proprio punto di osservazione. Il cliente confermato e contento, come è noto, è il perfetto consumatore di un mercato, quello dell’offerta digitale delle piattaforme, che si alimenta della costante presenza online. L’utente-cliente, soddisfatto, torna, o meglio, in questo caso, resta, online. Tutti, ma prevalentemente donne e ragazze, possono persino prostituirsi con comodo restando convinte che non si stanno vendendo e coltivando anzi allo stesso tempo idee di emancipazione coerenti con l’ecosistema valoriale tecnocratico liberal-progressista.

L’epoca dell’egemonia tecnocratica è anche l’epoca del narcisismo patologico. Si capisce, quindi, come il tecno-suddito sia anche potenzialmente incline al risentimento, che può esplodere non appena il suo ego digitale rigonfio venga sconfessato nella realtà vera, quella delle relazione dirette non mediate da un cellulare.

Gli aspetti patologici consapevolmente indotti dal capitalismo digitale non si limitano ai crescenti disturbi dell’attenzione e all’alienazione che sfocia nella depressione e nell’autolesionismo (e sarebbe già molto!). A monte di tutto questo occorre aggiungere la conseguenza, fin troppo sottovalutata, della crescente sfasatura che viene a crearsi tra l’ego digitale, gonfiato oltre ogni misura, e l’io reale, che malgrado tutte le illusioni abilmente dispensate non può essere schiacciato sul primo e non può essere ridotto al primo. In questo modo, il capitalismo digitale ha costantemente lavorato alla sostituzione del principio di realtà con un nuovo principio di realtà.

La sfasatura tra l’ego digitale e l’io reale, e cioè sociale, costituisce la premessa diretta della violenza narcisistica.

 

I diversi tipi di violenza e in particolare la violenza narcisistica

Venendo ora al tema della violenza, occorre in primo luogo distinguerne diverse forme. Partiamo dalla prima fondamentale dicotomia: esiste una violenza reazionaria e una violenza rivoluzionaria.  La prima procede dall’alto. È la violenza attuata dal potere per reprimere il dissenso e può avere un carattere esplicito oppure invisibile. È esplicito quando il potere fa ricorso all’uso della forza. Un esempio di questo tipo di violenza è fornito dai metodi crispini messi in campo dalla classe politica dirigente liberale di fine Ottocento per reprimere le proteste contadine, operaie e popolari, culminata nella strage di Milano del 1898. Il potere fa, invece, un uso non visibile della violenza quando ricorre, per esempio attraverso il controllo dei sistemi informativi e mediatici, a tutti i dispositivi di silenziamento della critica. Per avere un esempio di questo tipo non occorre andare indietro nel tempo, basti vedere l’informazione durante la pandemia e la guerra in corso e le etichette quali “no-vax”, “putiniano” et similia distribuite a chiunque denunci la falsità della narrazione ufficiale.

La violenza è invece rivoluzionaria quando procede dal basso, dunque quando viene utilizzata da gruppi che non hanno il potere per rovesciarlo o conquistarlo.

Ora, la violenza narcisistica rientra nella violenza reazionaria. Non è, infatti, la violenza degli oppressi e non punta a scardinare il potere. Tutt’altro! È in diretta relazione con il potere al quale l’individuo trasformato  in tecno-suddito è legato, è sia lusingato che assoggettato. È, inoltre, un tipo di violenza prettamente individuale ed è reazionaria perché direttamente correlata al quadro dell’egemonia tecnocratica dal quale dipende. Ma proviene dal basso, dai tecno-sudditi, dagli individui alienati in una forma più che mai globale. Inoltre è di tipo orizzontale, perché, non essendo rivoluzionaria, colpisce altri tecno-sudditi. Oltre ad essere individuale, reazionaria e orizzontale, si caratterizza per essere intimamente “nichilista”, cioè apparentemente priva di qualunque “causa” o motivo riconoscibile; viene, cioè, innescata da futili motivi. Sta già accadendo. E in mancanza di risposte strutturali, si intensificherà perché la Tecnocrazia sta conseguendo continui avanzamenti. La futilità del motivo significa che la violenza narcisistica può essere innescata da un semplice equivoco, da uno sguardo sbagliato o male interpretato, da una parola fraintesa o da una discussione apparentemente banale. Sta già succedendo, è quello che accade quando, in modo intuitivo, diciamo che “le persone stanno sempre peggio”, e purtroppo è vero. Ma le cause sono da ricercare in quella stessa architettura di potere che viene protetta da ogni critica e blindata dalle strutture discorsive dell’ideologica politicamente corretta in voga. Ciò che viene presentato come fulcro del progresso è in realtà spaventosamente regressivo. In questo quadro la violenza narcisistica, destinata ad aumentare, è il correlato e l’epifenomeno della violenza reazionaria invisibile attuata dal potere tecnocratico.

La rivoluzione digitale (e quella politica) - Jacobin Italia

Fonte foto: Jacobin (da Google)

 

 

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