Non esiste alcun affaire Fazio. La definizione dei termini della questione consiste, piuttosto, nel chiarire i diversi equivoci che si sono creati attorno ad essa, e che provengono da più parti. Provo, dunque, a farlo, analizzando quelli che mi sembrano i punti principali.
- Fazio, come lui stesso ha dichiarato, continuerà a fare per Discovery quello che faceva in Rai. Appunto. Partiamo da qui.
- Che tipo di giornalista è Fabio Fazio, presunto novello martire della libertà di espressione? La versione del pluralismo che egli incarna è il falso pluralismo che si muove sempre e solo all’interno delle opzioni di pensiero previste e consentite; è da sempre il campione del conformismo e delle interviste precotte, che non porrebbe una domanda scomoda nemmeno sotto tortura. È il simbolo per eccellenza di un servizio pubblico che tale non è da tempo e che ha messo al centro i Gramellini e i Burioni, cioè i più feroci alfieri del pensiero conforme, al quale hanno portato in dote il moralismo edificante con il marchio rispettivamente del giornalismo brillante (sarà…!) e dello scientismo più accanito. In effetti i due personaggi citati sono altamente rappresentativi del tipo di “narrazione” (per scomodare un termine usato proprio da Fazio) che sono chiamati ad allestire, visto che hanno presidiato la propaganda guerrafondaia occidentale e le politiche vaccinali durante la crisi Covid conoscendo come solo metro la ridicolizzazione di ogni forma di critica. Gramellinismo benpensante e burionizzazione elitaria del sapere sono assi portanti di questo tipo di televisione che ci vuole coraggio a definire plurale. O meglio, si tratta del tipico pluralismo liberale, che in realtà coincide con il perimetro del senso comune e, a proposito di narrazioni, salvaguarda quella ufficiale.
- Il servizio pubblico insomma non è di per sé leso dalla “perdita” di Fazio. Piuttosto, la Rai è da tempo terreno di logiche spartitorie e di lottizzazione. Non ci troviamo di fronte a una novità. Sulla dinamica ci sono versioni diverse, verosimilmente Fazio ha ricevuto delle pressioni, certamente una interlocuzione con Discovery era già stata avviata, più probabilmente ha preso atto che il vento è cambiato. Se le logiche di occupazione politica degli spazi informativi della televisione “pubblica” sono sempre le stesse, il presunto affaire non è altro che un cambio di corrente. Questo, per altro, avviene nel quadro di in una deriva sempre più orwelliana dell’informazione, per cui, a fronte dell’apparente e dichiarato pluralismo, gli spazi del discorso pubblico sono in realtà sempre più compressi e angusti e il confine tra pubblico e privato sfuma. Insomma Fazio può proseguire senza problemi come prima e meglio di prima, con ingaggi stratosferici, ricollocandosi altrove. O qui o lì, la minestra è sempre la stessa e per lui il posto non manca di sicuro. Buono per tutte le stagioni all’interno del mainstream, ben poco importa se Rai o Discovery. Ovviamente l’attuale destra di governo cerca di rafforzare il suo controllo sull’informazione secondo i noti e collaudati meccanismi delle lottizzazione. La questione di fondo è se possa ambire ad una egemonia culturale che al momento rimane lontana, basti vedere la sudditanza atlantista.
- Non si scomodi, comunque, per Fazio il termine censura nell’epoca di Assange. Semmai lo si usi per il trattamento riservato a Carlo Rovelli. Giusto per ribadire quale sorte sia riservata a chi demistifica la narrazione ufficiale, e quale a chi la corteggia.
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