A quanto mi risulta l’intervista a “Vogue Italia” con tanto di set fotografico è la prima o una delle prime che Elly Schlein ha deciso di rilasciare in esclusiva ad un organo di “informazione”, in questo caso uno dei più grandi magazine di costume e di “cultura” (si fa per dire…) in circolazione. Il focus non poteva non cadere sulla scelta da parte della Schlein di dotarsi di una consulente in “armocromia”, in sostanza una che decide per lei cosa indossare e come vestirsi in base al rapporto fra i suoi “colori” personali (cioè la sua carnagione) e i differenti contesti cui dovrà presenziare. Sarei curioso di sapere che cosa le consiglierà di indossare qualora decidesse di recarsi alle acciaierie Ilva di Taranto o al porto di Genova oppure ancora in una periferia di Roma o Napoli, ma molto probabilmente è un problema che neanche si porrà per ragioni che è superfluo spiegare. Per il resto, i contenuti dell’intervista sono del tutto insignificanti dal punto di vista politico: gusti musicali, cinematografici, hobby ecc. D’altronde che senso avrebbe parlare di economia, lavoro, salario, casa, sanità e politica internazionale (ammesso che ne sappia qualcosa…) al lettore e soprattutto alla lettrice media di Vogue Italia?…
All’uccellino birichino in servizio effettivo e permanente nella mia mente (mannaggia a lui…) viene subito da fare un paragone con i leader storici della Sinistra italiana come Enrico Berlinguer, Palmiro Togliatti, Pietro Nenni o Giuseppe Di Vittorio (e altri e altre ancora) e mi chiedo un paio di cose. La prima è se appena eletti come segretari dei loro rispettivi partiti (o sindacati, come nel caso di Di Vittorio), avrebbero scelto riviste come Vogue o Vanity Fair per farsi intervistare. La seconda è se si sarebbero dotati di un consulente in “armocromia”. Probabilmente non sapevano neanche cosa fosse (del resto non lo sapevo neanche io fino a qualche giorno fa) ma anche se lo avessero saputo non l’avrebbero neanche preso in considerazione.
Ma, come ripeto, sono parallelismi del tutto impropri per la semplice ragione che Elly Schlein non ha nulla, ma proprio nulla a che vedere con quella storia. La neosegretaria dem è infatti la più fedele e coerente incarnazione dell’idealtipo neoliberal, radical(naturalmente chic) e politicamente corretto: apolide (in quanto cittadina americana naturalizzata svizzera), cosmopolita (la versione distorta, deformata e piegata agli interessi delle classi capitaliste dominanti dell’ “internazionalismo proletario” di marxiana memoria), femminista, genderista, “diritto civilista”, ambientalista stile Greta Thunberg (cioè l’ “ambientalismo” innocuo, voluto e promosso dalle stesse classi dirigenti), naturalmente europeista, filo USA e NATO e figlia di una famiglia ricca, facoltosa e vicinissima se non interna agli ambienti che contano.
Questo è il profilo, per sommi capi, della segretaria del PD, chiamata a fare da contraltare alla leader della destra nonché premier, Giorgia Meloni. Due donne opposte e contrarie, dal punto di vista culturale e valoriale (cioè per i temi del tutto innocui per il sistema economico e politico dominante) e del tutto omogenee sul piano politico e geopolitico. Negli ambienti che contano a “sinistra” – diciamo nel fronte neoliberale nel suo complesso – hanno evidentemente pensato che per cercare di recuperare terreno sia nei confronti della Meloni che della cordata moderata (già franata) Calenda-Renzi, occorresse una “personalità” (mi viene da ridere ma ci capiamo…) diversa dal grigio burocrate Bonaccini, giudicato inadatto in tal senso. Emerge, dunque, dal cilindro magico la variopinta e “arcobalenata” Schlein, proposta solo e soltanto in quanto “arcobalenata”, ed eletta alle primarie grazie al sostegno mediatico e alla mobilitazione della comunità lgbtq+, di alcuni settori del M5S e in generale di un “popolo” di media borghesia cosiddetta riflessiva e “progressista” ormai maggioritario nella attuale “sinistra”.
Ho seri dubbi che questa operazione possa avere successo. Le interviste della Schlein sono imbarazzanti, specialmente quelle televisive, dove con occhi sbarrati e con ritmi vertiginosi (che servono a camuffare il nulla misto al niente delle sue parole e cercare di impedire a chi la intervista di aprire una dialettica sui contenuti) ripete in modo forsennato e quasi autistico compitini preconfezionati con i quali deve cercare di mediare tra l’esigenza di dire “qualcosa di sinistra” (nell’accezione che questa parola ha ovviamente assunto ormai da tempo, cioè in senso politically correct e ”neoliberal-radical”…) che possa piacere al suo elettorato con la realpolitik che le impone la fedeltà all’UE, alla NATO e al fronte neoliberale nel suo complesso. Il risultato è un inascoltabile e improbabile pot-pourri, a mio parere imbarazzante anche per molti che l’hanno votata.
In ogni caso, per i gruppi sociali dominanti che tirano le fila della baracca e stanno dietro i vari rappresentanti del ceto politico che vediamo in televisione come i pupari con i burattini, è del tutto indifferente che al governo ci sia la conservatrice e tradizionalista Meloni o la “progressista”, femminista e “arcobalenata” Schlein, perché entrambe non mettono minimamente in discussione il loro dominio economico e sociale (e politico e militare). La finzione ideologica e culturale, cioè la falsa dialettica fra la destra e l’attuale “sinistra”, può quindi durare, anzi, è auspicabile che continui, per loro, da qui all’eternità. Il problema, per le classi dominanti, e quindi per il grande capitale trans e multinazionale e per le centrali imperialiste (Washington e Londra, CIA e NATO) è soltanto quale dei due schieramenti è in grado di garantire il maggior tasso di pace sociale. Tutto il resto è assolutamente secondario e irrilevante.
Ben venga (per chi muove i fili, non per noi, ovviamente…), dunque, Elly Schlein, né più e né meno di come è stata ed è benvenuta Giorgia Meloni. A patto che…
Fonte foto: RaiNews (da Google)