Per analizzare un fenomeno, ossia ciò che appare (ma che non necessariamente può corrispondere alla realtà del fatto in se), occorre ripercorrere e risalire alle cause che lo hanno generato al fine di avvicinarsi quanto più possibile al vero. Relativamente al tragico evento di Parigi, il tema sul quale opinione pubblica, esperti, accademici e operatori mediatici stanno insistendo maggiormente, è il terrorismo. Poco importa il retroscena e l’analisi della realtà politica e geopolitica, sociale e culturale che lo ha generato, l’importante è insistere, appunto, sul fenomeno, cioè sul fatto intuito secondo il nostro modo di intuirlo. Perchè insistere sul fenomeno nello stesso modo e nella stessa direzione in cui è stato fatto fino ad ora? Perché battere sistematicamente sempre e solo sullo stesso tasto? La risposta, a mio parere, va individuata nella necessità di interpretare il fatto attraverso delle lenti ideologiche, anzi, attraverso una sola lente ideologica che (mal)cela il vero obiettivo che è quello di trovare una soluzione repressiva e unilaterale che vada ben oltre il fatto in se. In che modo? Si diffonde l’idea che il mondo arabo sia una realtà fondamentalmente omogenea e che non esista nessuna sostanziale differenza fra movimenti di indipendenza e di liberazione nazionale quali ad esempio Hamas ed Hezbollah e organizzazioni integraliste e terroristiche come Al Qaeda e l’Isis. Così facendo, si costruisce nell’opinione pubblica occidentale una sorta di immaginario comune che non lascia spazio a nessun genere di dubbio o perplessità. La finalità, anche in questo caso, è quella di eliminare alla radice la possibilità di elaborare delle analisi assennate favorendo l’equazione islam = terrorismo e creando una sorta di spirito di crociata che non lascia alcuno spazio alla possibilità di un’ osservazione lucida della realtà in tutta la sua complessità. Non è ovviamente un caso che gli “esperti di terrorismo” siano sostenitori del cosiddetto “pensiero unico”; riconoscere come principali aggressori coloro per cui lavorano, sarebbe per loro una contraddizione impossibile da gestire.
Alla luce di quanto detto, è bene fare una brevissima indagine di ordine teologico-filosofico anche per cercare di capire il contesto religioso e culturale nel quale ci muoviamo e cosa possa spingere persone che si definiscono credenti nella religione islamica, a compiere simili atti. Prima di far questo è però necessario, per completare il quadro, dare anche alcuni brevissimi cenni di ordine storico-politico.
Alla fine del XIX secolo, all’apogeo della loro espansione coloniale, gli inglesi optarono per un nuovo alleato da affiancare al sionismo, il wahhabismo. Quest’ultimo può molto sinteticamente essere considerato come una degenerazione della religione islamica che ha portato peraltro molti arabi mussulmani a ritenere che i loro nemici siano i mussulmani sunniti. Nel 1915, il leader sionista inglese Weizmann si impegnò a convincere l’amministrazione britannica dei vantaggi che le sarebbero derivati dal sostenere la causa sionista. Nel 1916, Francia e Regno Unito si accordarono per la spartizione dell’impero ottomano in caso di vittoria. Molti anni più tardi, i sauditi accettarono la creazione dello stato di Israele, tant’è che l’Arabia Saudita fu il primo paese arabo a importare prodotti israeliani.
Di recente sono stati tradotti dei documenti di quelli che furono i servizi segreti iracheni riguardo le “memorie di Hempher” risalenti alla metà del XVIII sec. in cui è spiegato che Abdul Wahhab, peraltro discendente di ebrei turchi, propose una versione “sovversiva” dell’Islam che si sarebbe dovuta diffondere e imporre come il principale culto del regime saudita, anche attraverso la diffusione di eresie fra i credenti e la costruzione di un culto passibile di essere tracciato come “terrorista”. E’ necessario ricordare che dal ‘32 i sauditi collaborano con gli statunitensi e successivamente con Israele.
Analizziamo il wahabismo dal punto di vista teologico: esso si concentra sull’esaltazione dell’unicità di Dio e sulla critica al sufismo. Approfondiamo questi due aspetti:
La dottrina dell’unicità di Dio è in realtà un punto cardine già nell’ortodossia islamica fin dal XII secolo; essa si basa su tre punti fondamentali:
1. Dio esiste ed è causa efficiente del mondo
2. Dio è insostanziale e incorporeo
3. Dio è uno e unico (né divisibile in parti né compagno di altri dei)
Su tale dottrina si basa anche il sunnismo, il quale come massima esaltazione di quanto detto, afferma che l’uomo è potente solo in senso riflesso, è cioè proprietario e non creatore dei suoi atti; Dio crea volta per volta singoli fenomeni , la cui connessione causale non è affatto necessaria. Tutto viene basato su un’analisi pragmatica di bene e male : buono è l’atto che conviene all’agente, l’unico senso assoluto di buono è quello relativo a Dio e ciò che conviene al fine dell’azione di Dio. Un altro dei punti cardine della teologia wahhabita è il principio del “senza come” (bi-la kayfa); tale principio sostiene che il dato rivelato, al di là dello sforzo logico di sistematizzarlo, conserva la sua validità anche se la ragione fosse impossibilitata a stabilirne la modalità. Anche questo è già implicito nel sunnismo che riguardo alla conoscenza umana (e quindi lo sforzo logico e la ragione di cui sopra) sostiene che essa sia derivata dalla ragione e che la ragione derivi esclusivamente dalla fede; se la legge (sari’a) non gliene avesse prescritto l’obbligo, la ragione non avrebbe potuto elevarsi a conoscenza. Abbiamo osservato le analogie, ovviamente però esistono punti di distacco, fra i quali vi è il rifiuto totale del sufismo da parte del wahhabismo. Il sufismo è ciò che viene denominato “misticismo islamico” che nel sunnismo trova la sua massima espressione. L’accentuazione dell’unicità di Dio porta il mistico ad affermarne la trascendenza sovrana e il conseguente annientamento di ciò che non è Dio (l’uomo) in Dio. Fondamentali passi del Corano riportano le esperienze mistiche del profeta; tutti i profeti sono anche dei mistici e non viceversa. I sufi rischiano di cadere nella diminuzione dell’importanza metafisica del profeta che nell’Islam è unico intermediario, il mistico sostiene invece di ricevere la rivelazione direttamente da Dio. Altro capo d’accusa consiste nell’idea mistica del santo; i sufi costruirebbero una gerarchia di santi nei quali sembrerebbe incarnarsi “l’uomo perfetto”. Ciò porterebbe con se l’idea di santo degenerabile in venerazione per l’uomo. Per questi motivi, sunniti e sufi vengono perseguitati da secoli, con l’accusa di denigrare il monoteismo islamico e di essere “adoratori delle tombe”.
I wahhabiti, per i motivi su detti, distrussero tombe e cimiteri sacri e rubarono il tesoro del Profeta, che comprendeva libri sacri, opere d’arte.
Questa breve parentesi ci serve per comprendere come l’accezione terroristica dell’Islam (Islam puramente teologico), sia completamente infondata (o che sia tutt’al più il risultato di una manipolazione della teologia per fini politici). Ciò che ci premeva dimostrare è come in realtà il wahabismo sia teologicamente infondato. Perché? Perché esso non rappresenta altro che una malsana esaltazione della sunna islamica. La maggior parte dei musulmani oggi sono sunniti, questo perché definirsi sunnita per un musulmano equivale a dire di essere fedele all’esegesi biblica per un cristiano, poiché alla lettera, sunnita è colui che è “seguace della tradizione del Profeta”. Non si vuole proporre in questa sede una cieca esaltazione del sunnismo a scapito di altre correnti dell’Islam, né si vuole sostenere che uno sciita o un ismalita sia meno fedele alle scritture rispetto a un sunnita, ma solo far capire al lettore come già di per se un devoto credente islamico segua alla lettera i precetti religiosi e come il wahabismo insegua una presunta “purezza delle origini” che nell’Islam era già stata affermata da secoli. Il breve accenno al sufismo è funzionale per comprendere come quest’ultimo è accettato e trova larga espressione nel sunnismo mentre il wahabismo lo perseguita da secoli. Perché? Perché il wahabismo è il prodotto (e un esempio) di una destabilizzazione teologica e spirituale prima ancora che politica. Un chiaro esempio di tale mistificazione è proprio la nascita di gruppi terroristici (wahhabiti).
L’Islam non ebbe mai una riforma nel vero senso della parola; in campo dogmatico ce ne furono molte ma in questa religione se ci si limita al campo della teoria, si rischia di non cogliere alcuni nodi importanti.
L’elemento riformatore, se si vuole definirlo tale, dovrebbe trovarsi nella sari’a; questo tentativo di riforma non si tradusse in pratica perché quest’ultima si stabilizzò in epoca troppo antica e troppo sacra per essere toccata.
Nella sari’a si trova però quell’uniformità musulmana di cui sopra. L’Islam è stato definito come “l’assorbimento della teologia nella legge” ed è proprio per tale motivo che la legge (la sari’a) diventa un elemento sacro e inviolabile in quanto emblema di disciplina delle attività umane che proviene da Dio e che tutto regola. Un laicista potrebbe quasi sostenere che nell’Islam Dio va a sostituirsi all’antico concetto di civitas , tant’è che nel Corano si trovano precetti legali, regole su eredità, igiene e buone maniere, oltre il precetto inviolabile che condanna violenza e uccisione di donne, bambini e anziani. Risulta dunque evidente che terrorismo e religione islamica poco hanno a che spartire e questo già basterebbe a smentire e mettere a tacere i commenti razzisti di chi, nell’impeto del momento, vorrebbe chiudere le moschee e/o cacciare dal proprio paese le persone di fede musulmana.
Molti modernisti islamici si sono inoltre interrogati su che valore può avere oggi l’Islam. Si è spesso cercato di compiere una distinzione fra ciò che Dio ha rivelato e la legge eterna, concludendo con l’interrogativo: chi può compiere tale distinzione se non Dio? Ci si dovrebbe servire di un altro profeta, così facendo si uscirebbe però dall’Islam!. Uno dei modernisti islamici di grande interesse per quanto riguarda il confronto con l’occidente, fu Muhammad Iqbal. Egli sostenne che l’uomo è in stato di libertà solo sentendosi “schiavo di Dio”, con questo atto di sottomissione acquista infinita potenza. Il valore della sari’a è vivificato quindi dal principio di movimento ed evoluzione.
Iqbal teorizzò un grande stato teocratico democratico, sostenitore di un panislamismo modernizzato. Qual’era per lui la funzione dell’Europa? L’Europa avrebbe compiuto progressi in campo esteriore (nelle scienze e nella tecnica potremmo dire) ma non in campo morale; l’Europa ha fatto quello che avrebbe dovuto fare l’Islam ma perdendone la spiritualità, concludendo che il processo tecnico dell’Europa è interiormente islamico e sostenendo che non esisterebbe in realtà nessuna connessione fra civiltà moderna e cristianesimo! Fermo restando le divergenze sul piano politico filo-occidentale dalle quali egli prese le distanze.
Tirando le somme, finora il riferimento al wahhabismo, ci è servito per identificare quest’ultimo con la degenerazione voluta e attuata dall’esterno di una religione semitica (l’Islam) che vorrebbe essere tacciata di terrorismo tout court. Abbiamo cercato, sia pur in modo necessariamente sintetico, di fornire un quadro generale del significato autentico della shari’a islamica e di mostrare come la questione Europa- Asia non sia un quesito che riguarda esclusivamente gli europei. Perché si è voluto insistere su questi temi? Per il fatto che molte voci provenienti da diverse aree, negli ultimi tempi, hanno sostenuto che oggi saremmo in presenza di uno “scontro di civiltà”. In realtà lo scontro non si gioca né fra civiltà né fra religioni; così dicendo non si fa altro che incrementare una falsa coscienza che fa perdere di vista le vere ragioni del conflitto.
Il fenomeno del terrorismo, specie nel medio oriente, ha radici ben più profonde e dolorose rispetto alla cieca e folle violenza di alcuni individui terroristi che l’ideologia dominante vorrebbe propinarci. Lo studioso James Petras sostiene che gli atti dei kamikaze siano la risposta di una popolazione prostrata che per anni si è vista sottrarre quanto di più avesse caro: il senso del sacro. Le torture subite nelle aree militarmente occupate non provocano solo un danno fisico alle vittime, ma un danno molto più intimo e profondo. Gli stupri, le offese dei testi sacri, le umiliazioni davanti ai parenti, sono solo esempi di quelle violenze compiute sulle popolazioni arabe, su prigionieri politici e civili, che rappresentano quella destituzione del sacro che per il musulmano è quanto di più profondo possa esserci nella vita. Una volta destituito dal senso del sacro, il credente musulmano si trova privo (e privato) di quelli che sono i suoi valori religiosi ed etici più autentici.
La trasfigurazione dell’elemento teologico musulmano è avvenuta spesso e volentieri per mano di una certa vulgata occidentale. In conclusione, la campagna mediatica oggi in corso in cui si fa leva sulle libertà occidentali violate è un’operazione a mio parere essenzialmente ideologica con finalità manipolative, perchè altro non è se non la maschera della propaganda bellica.