In America Latina, con rare eccezioni, le categorie di Destra e Sinistra mantengono sostanzialmente ancora intatto il loro storico significato. La Destra rappresenta gli interessi della borghesia bianca, dei grandi capitalisti, dei proprietari terrieri e, naturalmente, delle multinazionali nordamericane e degli USA. La Sinistra quelli dei lavoratori delle metropoli e delle masse contadine, per lo più meticcie o nere. La questione di classe, infatti, è ancora in buona parte sovrapposta a quella razziale, anche se non ovunque e non sempre.
Il Socialismo, nel continente sudamericano, non è soltanto una sorta di “ideale regolativo”, di orizzonte ideale o di utopia verso la quale tendere, ma una possibilità concreta, sia pur di difficilissima realizzazione. Naturalmente sto generalizzando perché si tratta di un contesto molto vasto e variegato che presenta situazioni e contesti molto diversi fra loro. In alcuni paesi come il Venezuela, il Perù, la Bolivia, l’Ecuador o la Colombia (e ovviamente Cuba), siamo in presenza di forze marcatamente Socialiste, sia pure con caratteristiche a volte molto diverse fra loro. In altri paesi, penso all’Argentina e al Brasile, la dicotomia Destra/Sinistra assume oggi, diversamente che nel passato, caratteri relativamente più sfumati e un po’ meno accentuati, in ogni caso senza mai raggiungere i livelli di degenerazione del mondo europeo e anglosassone dove destra e “sinistra” rappresentano soltanto settori diversi delle classi dominanti, le borghesie nazionali per quanto riguarda la destra, e il grande capitale internazionale per quanto riguarda la “sinistra” e in generale il fronte neoliberale.
Il Brasile è un po’ un ibrido da questo punto di vista. All’interno della società civile la Destra e la Sinistra rappresentano ancora istanze sociali e ideologiche ben diverse ma da un punto di vista politico la situazione è molto più confusa e contraddittoria. Lula deve infatti barcamenarsi fra le istanze della sua base sociale che spingono per una politica riformatrice e quelle di quella parte di borghesia che, in obbedienza alle “indicazioni” provenienti dall’attuale amministrazione americana, ha scelto di non appoggiare Bolsonaro, notoriamente legato a Trump. Washington, d’altro canto, in questa fase non ha interesse ad esasperare i conflitti nel contesto sudamericano e quindi in primis in Brasile, tanto più che Lula gli ha dato ampie rassicurazioni in tal senso. Del resto, Lula non è Chavez e gli USA non hanno ragioni per temere alcuna rottura in senso apertamente socialista da parte del governo brasiliano, tanto più sotto il profilo geopolitico. Possono accettare che il Brasile sia parte importante dei Brics e che abbia buone relazioni commerciali con la Cina, perché sanno che ciò non comporterà nessuno sconvolgimento politico nell’area.
Le forze armate brasiliane, storicamente legate alla destra e a Bolsonaro, sono state “ammorbidite” da Washington che ha raffreddato le (mai sopite, in tutta l’America Latina) tradizionali velleità golpiste delle gerarchie militari. Per questo l’assalto al Parlamento inscenato dai bolsonaristi è stato poco più che una farsa propagandistica, utile soltanto a tenere viva la tensione del “popolo bolsonarista”.
Gli Stati Uniti sono massicciamente impegnati sul fronte euroasiatico e non hanno più la forza che avevano un tempo di tenere aperti più fronti in tutto il mondo. Gli altri governi socialisti o “progressisti” latinoamericani non rappresentano al momento un pericolo imminente di destabilizzazione geopolitica per la, sia pure in una fase di grande difficoltà, superpotenza imperialista americana.
Fonte foto: UNINT (da Google)