Anche a seguito dell’intreccio scabroso tra emissari qatarioti, diplomazia marocchina ed europarlamentari, a suon di denaro fumante, ecco puntuali gli appelli alla morale. E le evocazioni al santino di Enrico Berlinguer. Si cercano vizi privati in pubbliche virtù, riducendo il marasma a inclinazioni personali di stampo delinquenziale. Che per carità nessuno nega. Quindi un sistema ben strutturato, l’impalcatura europea, è umiliato da avventurieri che infangano il placido scorrere del raziocinio.
Modo e maniera per evitare di affrontare il cuore del problema. Che esula da riduzionismi moralistici. Non si dovrà mai parlare di democrazia. O, per meglio intenderci, di come sia rappresentata la democrazia all’interno delle strutture sovranazionali. Nel 1946 Ferruccio Parri, alla guida del Governo espressione del CLN, polemizzò con Benedetto Croce. La questione, appunto la democrazia, come ridefinirla a seguito del Ventennio, della guerra. Ecco, Parri si spinse più in là di una semplice ristrutturazione del periodo liberale, sostenendo che anch’esso nulla aveva a che fare con la democrazia.
Sullo sfondo la Costituzione futura e le riflessioni intellettuali e politiche nate nel seno della Resistenza. Da lì la spinta per il rilievo pubblico dei partiti, espressioni delle masse popolari e non più articolazioni anonime del corpo burocratico. Quindi una nuova democrazia che accoglieva il conflitto come suo elemento costitutivo e lo incarnava all’interno delle istituzioni. Streeck ha definito il periodo a seguire “capitalismo democratico” nel quale le ragioni di profitto del privato erano temperate dalla pressione dei corpi intermedi indirizzati alla giustizia sociale. I partiti di massa sostanziavano l’ideale democratico al di là della contrapposizione formalistica e parlamentare.
Con la rivoluzione neo-liberale questo impianto è stato disintegrato. Alla giustizia sociale si è affiancata una giustizia di mercato. Lo stato dovrà rendere conto dei diritti all’investimento. E al popolo che lo rappresenta. Un popolo del mercato. Questo nuovo sguardo è stato costituzionalizzato con i Trattati Europei. I partiti, con lo stato stesso, si sono assoggettati agli imperativi della concorrenza. Nessun rilievo pubblico, ma enti privati che esauriscono la loro funzione politica nell’attimo elettorale e sopravvivono nel ruolo di intermediazione affaristica.
I parlamenti quindi rappresentano i luoghi preposti alla contrattazione generalizzata. Dove si aprono le vie per nuove fonti di investimento. Difatti al Parlamento Europeo sono accreditate ben 12.445 società di lobby. L’opacità delle funzioni consultive dell’organo nasconde questa peculiarità. Bruxelles eccelle nella tecnica dello scambio. I governi nazionali non possono far altro che aggiornare i borsini delle contrattazioni. Il proponimento di istituzionalizzare quella che Rosanvallon ha denominato “contro-democrazia” – i soggetti dotati di legittimazione sociale per costruire l’indirizzo politico – è stato attuato nell’interesse di profitto.
Quindi, per concludere la riflessione, alle spinte democratiche delle masse popolari si sono sostituite le pressioni lobbistiche dei mercati. I quali investono coperti dall’esaltazione del libero commercio come diritto umano. I governi a loro dovranno rendere conto nell’azione programmatica. I partiti fungono da enti di intermediazione. Con le loro naturali diramazioni scabrose. Quello che Parri già intravedeva nel 1946 oggi si è fatto Stato. Costitutivamente privatizzato. Un vero e proprio divorzio tra liberalismo e democrazia. Questo sarà il tema portante nel prossimo numero de i “Quaderni di RS” in uscita a marzo con la casa editrice “La città del sole”.