Verità ed interpretazione
Vi sono opere eterne, il cui significato polisemico cela la verità della condizione umana che si presta ad una molteplicità di letture condizionate dalle circostanze storiche. La verità è nella storia e si svela in essa, pertanto vi sono nuclei veritativi filtrati mediante l’orizzonte storico-mondano in cui l’essere umano è situato.
La letteratura greca è fonte di verità come la filosofia, si utilizzano linguaggi differenti ma in esse si colgono verità intramontabili. La verità non brilla al di là dello spazio e del tempo, essa è nel mondano, quindi pone problemi interpretativi, e nei differenti periodi storici un particolare aspetto della verità prevale sugli altri. La verità è prismatica e dinamica, è rizomatica, è una unità che contiene e relaziona una pluralità di aspetti tra di loro razionalmente congiunti in una fitta rete di relazioni.
La letteratura e la filosofia greca non possono essere spiegate con il semplice rapporto struttura-sovrastruttura, tale consapevolezza vi era anche in Marx. La verità eccede la storia pur vivendo in essa. Ogni semplicismo rischia di introdurre l’irrazionale il quale comporta una contrazione della capacità di decodificare la verità nel suo disvelamento storico.
Il mondo greco è per Marx un problema, poiché sfugge alle categorie del materialismo, vi è in esso un’eccedenza che esige altre categorie per poter essere interpretato e compreso. La verità della condizione umana ha un nucleo profondo che sfugge all’applicazione meccanica di taluni schemi preordinati:
“Nell’Introduzione alla critica dell’economia politica, Marx cerca di raffinare il modello ingenuo e sociologicamente rozzo delle relazioni tra la <<sovrastruttura>> estetico-ideologica di una cultura e la sua base economica sociale. Secondo Marx, non è possibile formulare un’equazione semplicistica e univoca di tali relazioni che sono molto più sottili sia in rapporto al carattere del clima ideologico o artistico di una determinata comunità, sia agli stadi temporali dell’evoluzione sociale[1]”.
D’altra parte la verità di una “civiltà altra” non ci giunge nell’oggettività abbagliante del mattino, ma essa deve implicare uno sforzo ermeneutico e una tensione dialettica capaci di un doppio movimento: si arretra dinanzi ad essa, poiché consapevoli dell’alterità filtrata mediante schemi, giudizi e pregiudizi del proprio tempo storico al fine di approssimarsi alla sua presenza senza l’arrogante pretesa di possederla:
“Quando arriva a noi dall’Antigone di Sofocle, il <<significato>> è distorto nella sua struttura originaria proprio come la luce stellare è deformata quando arriva a noi attraverso il tempo e campi gravitazionali successivi[2]”.
Dai Greci siamo distanti e vicini, le loro verità sono le nostre, ma nel contempo il vissuto storico le fa apparire in modo diverso e dona ad esse una diversa configurazione. Gli esseri umani sono proiettivi, pertanto per decodificare l’alterità e la verità è opportuno il lavoro dello spirito senza il quale nessuna interpretazione risulta razionale e ben fondata.
Le Antigoni
L’Antigone di Sofocle è un’opera eterna, si dispiega davanti a noi non una semplice tragedia, ma l’umanità nei suoi complessi conflitti dialettici. Il male è l’opposizione senza sintesi, se il particolare e l’universale guerreggiano senza la capacità di sintesi del concetto, si è colti dalla rovina. La vita sociale e politica è attività dialettica finalizzata a conciliare ciò che pare-appare opposto. Eraclito[3] nel frammento 51 già affermava la necessità dell’unità degli opposti, la verità è l’unità nella quale gli opposti ridisegnano posizioni e significati. L’armonia non è nella sclerotizzazione della vita, ma nel confliggere fecondo e consapevole.
La tragedia del nostro tempo storico è la cultura della cancellazione degli opposti, il conflitto è sostituito dall’omologazione. La verità senza opposti riposizionati nel reciproco riconoscimento è solo “il niente” ideologico. Il conflitto concettuale è stato sostituito dal confliggere crematistico senza riconoscimento delle autocoscienze nella loro specificità materiale e di genere.
Hegel ha interpretato l’Antigone, ne ha colto un aspetto eterno, ovvero in Antigone il conflitto conduce alla rovina, poiché il polo femminile (Antigone) e il polo maschile (Creonte) non ammettono la sintesi. Il dialogo è solo un atto di forza, poiché entrambi non ascoltano e rifiutano il polo opposto che vive in ciascuno. Creonte non ascolta Antigone con le sue ragioni, poiché è distante dal suo polo femminile, lo stesso avviene in Antigone. Entrambi sono irrigiditi dall’incapacità di pensare e vivere il proprio nucleo profondo nel quale vi è una sintesi che se pensata-vissuta favorisce l’ascolto e la comunicazione:
“I riti funerari, poiché rinchiudono letteralmente il morto nello spazio della terra e nella sequenza fantomatica delle generazioni, che sono alla base del mondo famigliare, sono un compito specificatamente femminile. Quando tale compito tocca a una sorella, qualora l’uomo non abbia né madre né moglie che lo riportino alla terra custode, i riti funebri acquistano la massima sacralità. L’atto di Antigone è il più sacro che una donna possa commettere. E’ anche einVerbrechen: un crimine. Ci sono situazioni in cui lo stato non è pronto a rinunciare alla propria autorità sui morti[4]”.
Per Hölderlin Antigone è una “santa pazza” è il polo dionisiaco, è la verità aorgica che vive solo in relazione alla razionalità apollinea. Resecare i due poli significa spezzare la profondità della razionalità. Senza dualità nell’unità non vi può che essere irrazionalità e una pericolosa scissione in cui le parti prendono il sopravvento fino alla morte. L’unità è nella dualità dei poli: Antigone sente le potenze profonde della vita, la sua sacralità terrena e trascendente, ma è respinta dalla razionalità della polis e dai suoi poteri. Antigone mostra con la sua rivolta e il suo dolore la parzialità dell’altro polo, nella lotta palesa che vi è altro oltre l’ordine stabilito, nel contempo è sull’abisso dell’irrazionale, poiché in lei vi è il prevalere di un solo aspetto:
Ella è la quintessenza dell’Antitheos, di cui il poeta aveva parlato nella lettera a Böhlendorff, nel dicembre 1801. Il che significa che Antigone fa parte di coloro che si pongono di fronte a Dio o agli dei (Hölderlin usa alternativamente queste due espressioni) con atteggiamento contrario, avverso, polemico. Ma questa opposizione, questo attacco agonistico rappresentano una forma sublime di devozione. (…) I punti di riferimento di Hölderlin sono di natura filosofica. Proprio come Empedocle e come Rousseau, secondo la descrizione che Hölderlin ne dà nell’ode <<DerRhein>> (Il Reno), Antigone è una <<pazza santa>> (töriggöttlich)[5]”.
Maschile e femminile nell’Antigone
George Steiner individua il dramma e la verità dell’Antigone nel rifiuto della differenza profonda, ciascun uomo reca con sé il maschile con un fondo femminile e lo stesso accade nella donna. Una società sana consente l’ascolto del sottofondo che completa la disposizione di genere prevalente senza cancellarla. La comunicazione interiore non può che favorire e incentivare le relazioni positive tra i due generi. Antigone rappresenta il rifiuto di tale positiva ambiguità che non chiede la rinuncia o la negazione di nessun polo, ma consente una proficua comunicazione-sintesi. Nella tragedia di Sofocle è rappresentata la negazione, l’incomunicabilità tra le due figure è il segno di una resecazione interiore proiettata all’esterno. Antigone e Creonte sono l’uno speculare all’altro:
“Il germe di tutto il dramma sta nell’incontro tra un uomo e una donna. Nessuna esperienza di cui abbiamo diretta conoscenza è portatrice di un maggiore potenziale conflitto. Essendo inalienabilmente una sola cosa, in virtù dell’umanità che li separa da ogni altra forma di vita, uomo e donna sono allo stesso tempo inalienabilmente diversi. Lo spettro della diversità. Come sappiamo, forma un continuum tra i più sottili. In ogni essere umano sono presenti elementi di mascolinità e di femminilità (ogni incontro, ogni conflitto è, di conseguenza anche una guerra civile all’interno del proprio io ibrido). Ma la maggior parte degli uomini e delle donne cristallizza la propria essenziale virilità o femminilità in qualche punto di questo continuum. Questa riunione della personalità divisa, questa composizione dell’identità, creano una breccia attraverso la quale le forze dell’amore e dell’odio si congiungono[6]”.
Il tempo attuale è nel segno della separazione da sé e dall’alterità, le innumerevoli tragedie sono il sintomo di una realtà sociale ed economica che ha cancellato la bella unità nella differenza sostituendola con forme manierate e artefatte congeniali al sistema capitalistico. Ovunque si assiste ad una imitazione del femminile e del maschile senza autenticità e relazioni. Estetiche e scelte sono dettate dal sistema, sono curvate dall’industria del maschile e del femminile ad uso e consumo del mercato. La violenza non può che generare se stessa, senza la letteratura greca e la filosofia l’Occidente è avviato alla decadenza, poiché si priva di opere in cui può guardarsi e pensarsi.
[1] George Steiner, Le Antigoni, Un grande mito classico nell’arte e nella letteratura dell’Occidente, Garzanti, 2003, pag. 142
[2] Ibidem pag. 232 233
[3] Eraclito frammento 51: Non comprendono come, pur discordando in se stesso, è concorde: armonia contrastante, come quella dell’arco e della lira.
[4]George Steiner, Le Antigoni, Un grande mito classico nell’arte e nella letteratura dell’Occidente, Garzanti, 2003, pag. 45
[5] Ibidem pag. 93
[6] Ibidem pag. 262 263
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