Molto probabilmente nei prossimi giorni o forse ore Gigino Di Maio potrebbe essere nominato dalla UE quale inviato speciale nel Golfo Persico. Qualora non fosse per via di qualche mal di pancia emerso all’interno del governo Meloni, state tranquilli che un altro posto a dodicimila euro al mese glielo troveranno comunque, in patria o all’estero, per via dei “servigi” resi ai suoi padroni.
Un premio all’opportunismo, al tradimento e al servilismo. Di Maio – una nullità assoluta che in un paese serio faticherebbe a fare il capoufficio in una filiale di banca o in un ufficio postale – si è ritrovato a fare il deputato e poi ripetutamente il ministro, addirittura ministro degli Esteri. Roba da non credere…
Un miracolato, uno che ancora non si capacita di come tutto ciò sia stato possibile, un personaggetto di infimo livello, a metà fra un guitto e un “furbetto del quartierino”. Hegel avrebbe definito la sua vicenda personale “un’astuzia della Storia e della Ragione” che talvolta si serve di personaggi improbabili se non insulsi per i suoi fini. Io la vedo naturalmente in modo diverso e credo che la promozione di Di Maio – peraltro giustamente umiliato dal risultato delle urne alle scorse elezioni politiche – sia da inscrivere alle più becere logiche politiche. L’ultimo dei vecchi catenacci democristiani della fu Prima Repubblica era un gigante rispetto a lui.
E nonostante l’umiliazione elettorale, o forse proprio per quello, è stato premiato. Il suo tradimento, alla prova dei fatti, si è rivelato inutile ma è stato comunque apprezzato, perché il padrone premierà sempre e comunque il cane fedele e quest’ultimo non morderà mai la mano di chi gli dà da mangiare. A meno di non trovare un padrone ancora più potente da servire. E’ la storia di Gigino Di Maio, prima cane fedele di Grillo e poi di Draghi. La mediocrità al servizio del potere.
Fonte foto: Today (da Google)