I rave-party non costituiscono spazi di libertà. Sono la sua negazione. Non detengono alcuna fibra anticonformista o trasgressiva. Si conformano alla perfezione con il presente. Raffigurano un essere umano imbrigliato dal ritmo forsennato. Che si muove spasmodicamente agganciato a una catena. Riproducono così il meccanico frastuono della produzione. Simboleggiano l’ansia per la prestazione. Cristallizzano l’assoluta incapacità di sublimazione della realtà, premessa logica per poi contestarla. Viene riprodotta, la realtà, con sguardo allucinato e arreso. Un individuo accartocciato su sé stesso che non ha vie di scampo. Ipostatizzano il nichilismo in valore esaustivo e corroborante. Sono la carneficina della convivialità. In più accrescono un mercato che può godere di una zona franca. Supermercati dello sballo dove le multinazionali dello spaccio si manifestano con i loro brand.
Ma i liberali di destra colpiscono i rave per un’innata sete di oppressione. Che è oppressione di classe. Sono luoghi in cui vengono fagocitate le pulsioni solipsistiche delle classi popolari. L’emarginazione, l’esclusione sociale offre ai perdenti maratone di sogno psichedelico. Ma guai a parlare di cultura. Quando si minimizza il ruolo del pensiero filosofico, quando si afferma con protervia che la scuola deve servire a qualcosa si prepara l’individuo all’etica della sconfitta. Alla frustrazione per il fallimento curabile con la farmacologia. Nel linguaggio affabulante della post-modernità trasformata in resilienza. Quando proliferano trasmissioni pedagogiche con processi mediatici, ricerche multimediali su persone scomparse, format che educano al darwinismo sociale che normalizzano lo scarto umano, ridefinibile come eliminato, si foraggiano sentimenti di gogna punitiva. Il gusto manicheo per la semplificazione incancrenisce il bianco e nero. Giusto e sbagliato, bello e brutto, buono e cattivo non trovano più chiaroscuri. E pene rieducative.
Così le classi privilegiate possono senza colpo ferire selezionare i reati. La droga assume sapori differenti se consumata in un attico o in un capannone abbandonato. Nessuna equivalenza. Il classismo criminale rende ombrose le condotte illegali che si muovono tra i movimenti di capitale. La globalizzazione del diritto, l’esternalizzazione delle fonti, la privatizzazione della giustizia rendono i colletti bianchi degli anarchici della legge. Quasi fossero dei capitani coraggiosi. Lo stigma della punizione esemplare vale per tutti gli altri. Per chi non ha capitale sociale significativo. Lo stesso varrà per chi avrà l’ardire di mobilitarsi politicamente. Si evoca l’adunanza sediziosa. Sperimentata,. lo si deve dire, ai tempi delle restrizioni pandemiche. Quello è il punto. Quando si deroga alle garanzie costituzionali nell’impeto emergenziale si crea un precedente. Che poi sarà usato, con fare legittimo, da chi ci piace meno.