Sin dagli anni ’80, dalle contestazioni al Ministro della Pubblica Istruzione Falcucci, in un percorso arrivato a compimento con il Movimento della Pantera, si manifestò una nuova tendenza. Quella delle occupazioni impolitiche. Se erano contraddistinte da un minimo di coscienza sociale tendevano inesorabilmente ad americanizzarsi. Accanto alle assemblee convivevano aspirazioni creative rockettare, predisposizioni allo sballo, quasi a scimmiottare le feste di fine anno dei College universitari. Intatta la verbosità del decennio precedente ma privata di sostanza. Esercizio di stile a fortificare personalità professionali, in quel vuoto concettuale poi preso in prestito dalla manualistica manageriale.
Il movimento No Global diede nuova politicizzazione all’antagonismo. Tutto però si disperse a Genova. Da quel momento, memore la repressione poliziesca o causa di quella, il radicalismo di sinistra è scomparso dai radar. Stranamente nulla più contro la globalizzazione, nulla contro la NATO, nulla di nulla. Qualche pedalata in bicicletta, estemporanee iniziative situazioniste, umanitarismo telecomandato dall’Agenda USA, feroci inseguimenti alla bara di Priebke, silenzio omertoso su Israele. In compenso tanta sorellanza. Somigliante a quella delle miliardarie americane però.
All’improvviso, all’apparire del Governo Meloni, i collettivi di Scienze Politiche si sono risvegliati dopo anni di letargo. Gli occupanti improvvisi si definiscono prima di tutto anti-liberisti e anti-fascisti. Sembrerebbe una sagace interpretazione della realtà. Il nesso tra liberismo e predisposizione fascista è indubitabile. Però la tempistica lascia spazio a qualche perplessità. La riottosità studentesca non sorge in prossimità di provvedimenti claustrofobici per le classi popolari. Misure che ci saranno, sia chiaro, ma che a poche ore dall’insediamento dell’Esecutivo appaiono ancora fumose.
Non è mobilitazione sociale, che ne so, a difesa del Reddito di Cittadinanza per esempio. O per il salario minimo. O in solidarietà del sindacalismo conflittuale. Si dice che il Governo appena in carica è liberista. Ma messa così l’argomentazione, seppur corretta, sembra alludere a qualcos’altro. Sembra difatti che il liberismo della destra appaia come una novità politica. Come se l’alternanza tra destra e sinistra del trentennio ultimo rappresentasse un’alternativa di modello. Qui casca l’asino. E aumentano i sospetti.
Solo pochi mesi fa il totalitarismo liberale ha raggiunto il proprio picco oppressivo con il Governo Draghi. Di fronte a cotanta protervia assolutistica, imbalsamata da tutte le forze parlamentari, compresa l’opposizione defaticante della Meloni, nessuna alzata di scudi universitaria. Lì il conflitto appariva rimandabile con frasi di circostanza. Come se non fosse stata la sinistra l’agente più risoluto nella ristrutturazione neoliberista del Paese. Quindi agganciare il liberismo al solo Governo Meloni è operazione mistificatoria, quasi a giustificare l’opposizione di Regime che il PD concentrerà sulle desinenze al femminile.
Ma anche sull’antifascismo compaiono piccoli problemini. Sempre pochi mesi fa milizie naziste nel cuore dell’Europa conducevano per mano americana operazioni di guerra, con il benestare entusiasta delle democrazie liberali. Le svastiche nei resoconti dell’Istituto Luce diventavano simboli del sole. Eppure anche qui nessuna indignazione. Anzi qualche equidistanza e qualche levata di scudi a difesa delle scelte belligeranti perché Putin in fin dei conti è l’aggressore di masconilità tossica. I nazisti poi leggono Kant. Si dà il caso però che per opporsi alle guerre occorra mobilitarsi contro i governanti, i propri. Quelli che ti ci portano, in guerra. Non serve ricordare Lenin, basta una sana logica critica.
Ma anche sulla guerra i rumorosi collettivi fecero spallucce. E anche oggi non sembrano appassionati più di tanto alla questione. La dissidenza, da qualche lustro, grazie alla militanza delle star, va di moda solo quando è rivolta oltre i confini. Quindi quando è celebrata in patria con onori e riconoscimenti. Sono certo che molteplici ciocche di capelli cadranno per il mefistofelico Iran, meno per l’occidentalizzata Arabia Saudita. Un tempo non lontano s’intonava Fuori l’Italia dalla Nato. E lo si faceva in tanti.
Quindi questi sospetti ne abbracciano un altro. Si scopre il totalitarismo nostrano all’indomani di una sconfitta, quella del PD. E lo si legittima come forza differente dalla destra. Quando governano i democratici possono suggellare macelleria sociale senza alcuna rimostranza studentesca. Anche se lo fanno con i leghisti per intenderci. Ma quando perdono ecco affiorare i professionisti delle occupazioni. Concentrati spesso sui teatri dismessi. Messa così sembra proprio una marchetta elettorale.
A conferma esiste la prova del nove. Il terzo punto focale della protesta è il trans-femminismo. Insomma l’antiliberismo e l’antifascismo non sono connotati da una caratterizzazione di classe. Ma di genere. Qui cade e di netto lo sbandierato antiliberismo. Nel magma culturale d’ispirazione Hollywoodiana gli studenti sono affascinati dall’orizzontalità delle lotte. Non sia mai che i diritti abbiano una dimensione universale. E che le rivendicazioni si rivolgano verso l’alto. Morti sul lavoro? No grazie, sono quasi tutti cis-gender.
Arduo difatti per un socialista aderire a questa mentalità quando l’87% dei morti sul lavoro sono uomini (INAIL 2021), l’86% dei senzatetto anche (ISTAT 2014) e il 96% dei carcerati pure (Ministero Giustizia 2017). Per non parlare dei lavori usuranti o degli abbandoni scolastici. La verità è a essere sfruttate sono le classi popolari. Al capitalismo non importa nulla del genere; a meno che non interessi, e spero proprio di no, la forbice tra lo stipendio della Lagarde rispetto a quello di Mario Draghi. O di qualsiasi CEO privato alla guida di una grande corporation. Strano patriarcato quello che tiene ai margini i propri eroi.
Si adopera un linguaggio perfettamente compatibile con le aspirazioni dei signori, sì magari progressisti ma sempre signori e sempre più accecati dalla protervia capitalista. In grado di lanciare campagne edulcorate con i simboli delle multinazionali che nel frattempo sfruttano il vicino di casa. Ignorato perché zotico. Meglio la benedizione della Roma bene, con Veltroni Cardinale.
Si dirà, con qualche ragione, che nonostante tutto accelerare il conflitto è sempre cosa auspicabile. Certo, ma non se è artefatto. Non si pretende un rigore rivoluzionario. Che servirebbe oggi anche ai riformisti. Ma almeno una corretta interpretazione della realtà sì. Questa comporta però molta fatica. Fisica e intellettuale. Che mal si concilia con posture da ribellismo sospetto. Altrimenti la forza intrinseca del nichilismo capitalista è capace di abbracciare qualsiasi vigoria contestativa.
Tanto che la rivolta è cadenzata dal ritmo professionale. La contestazione va in ferie. Per il ponte. L’impegno ha bisogno di cure rigeneranti. Assecondando insomma il dispositivo della produzione. La lotta non concepisce modelli di vita assorbenti, con differenti visioni sul tempo e sullo spazio. Equivale a uno sforzo competitivo. Non si discosta dall’impegno ordinario dell’impiego. D’altronde si sa che le grandi narrazioni sviavano dalla razionalità meccanica dello spirito d’impresa. E sono morte già da qualche tempo. Oggi il progresso dell’individuo si fa forte dentro i paradigmi di mercato. Senza cura degli zotici.