Dignità
La stagione per il rinnovo del contratto della scuola faticosamente si avvia alla sua conclusione. Gli stipendi rimarranno italiani e molto poco europei. Si è europei, in Italia, solo nel taglio dei diritti sociali, il resto è irrimediabilmente italiano. Ciò che offende, o dovrebbe offendere gli insegnanti è l’associazione dignità della professione docente accostata unicamente al denaro.
Viviamo in pieno capitalismo assoluto, pertanto non resta che la quantificazione a determinare il valore di un’esperienza o di una professione. La violenza del capitale è nella negazione di ogni giudizio qualitativo, al suo posto campeggia lo spirito dello sterco del diavolo: il capitalismo assoluto. I docenti sono all’interno di questa tempesta: la quantità è un vento che abbatte la qualità dell’istruzione e la cura per gli alunni, al suo posto non resta che la disciplina del valore. La dignità della professione docente non è nel solo denaro ma nel riconoscimento del valore del sapere e della formazione. Non si può che constatare abitualmente la mortificante condizione del docente nella scuola-azienda. Dev’essere attraente, ovvero deve favorire le iscrizioni servendo fedelmente i desideri degli alunni e dei genitori, i quali chiedono voti altisonanti da mostrare come trofei nei loro salotti buoni e meno buoni.
Si vive nel timore che il voto dispiaccia, perché non risponde al desiderio dei genitori e dei figli, le proteste sono l’ordinario.
I Dirigenti scolastici caldeggiano promozioni in un clima lasco e permissivo. Anch’essi sono ricattabili, se il cliente-alunno non è accontentato, emigra in altra scuola con il timore che la direzione salti. Sul fondo vi è il timore del ricorso al TAR con tutto ciò che ne consegue. Si oscilla tra l’incudine e il martello, ma alla fine la verità taciuta, ma che tutti conoscono è l’umiliazione di una classe docente non più formatrice nei valori e nei contenuti, ma che deve limitarsi ad accompagnare l’alunno verso un facile percorso senza ostacoli fino alla menzogna conosciuta. Spesso i voti elargiti sono donati attraverso la griglia delle reazioni dei genitori e il pericolo di trovarsi invischiati in questioni giuridiche. Pressati dall’alto, dal basso e dai colleghi, quindi orizzontalmente, alla fine la dignità è solo flatus vocis.
La scuola-azienda ha legalizzato la logica delle pressioni indebite, il docente si sente responsabile di eventuali trasferimenti di alunni o del clima di tensione nelle scuole, se non obbedisce. Le aggressioni hanno l’effetto di dividere e atomizzare il corpo docente sfaldato da decenni di competizione per poco denaro e tanto lavoro. Nel timore di essere coinvolti in incresciosi incidenti, spesso, l’aggredito è abbandonato alla sua solitudine. Non si tratta di semplice egoismo, ma dell’abitudine alla sopravvivenza che ha destabilizzato la scuola quale istituzione che dovrebbe educare alla solidarietà e alla discussione. Invece si constata il declino della parola e dei saperi sostituiti in un clima di mortificazione da poche informazioni organiche al mercato.
Gli alunni, futura classe dirigente, in questo contesto non possono che verificare e vivere l’esperienza depressiva di un sistema che fatalmente contribuisce alla propria decadenza etica. Sono consegnati senza preparazione e coscienza politica al mercato, dove non possono che essere “resilienti”. Chi non lo è, è spinto alla marginalità non avendo coscienza di classe o delle dinamiche dello sfruttamento, i non resilienti, semplicemente, accettano il destino fatale.
Studenti e studentesse, molti con famiglie instabili, non hanno punti di riferimento: il sapere non ha valore, i docenti sono servili al punto da cedere alle pressioni, i genitori sono spesso adolescenti che riproducono i comportamenti dei figli. In questa esperienza di solitudine e di vuoto etico e umano, si resta in superficie, si discute della dignità dei docenti e indirettamente degli studenti soffermandosi, volutamente, solo sul denaro.
La dignità è vilipesa e negata, se non si rimette al centro il senso della formazione, se i docenti non hanno i mezzi formativi e disciplinari per contenere la violenza, per cui non possono che vivere un’esperienza di degrado dietro il velo delle belle parole dei pedagogisti della propaganda. Taluni di questi personaggi arrivano ad affermare che il docente dev’essere “erotico”, le sue lezioni devono attrarre e coinvolgere. Il termine “erotico” è parte del linguaggio del capitale, e può significare nella sua ambiguità innumerevoli accezioni. Il linguaggio della pedagogia della scuola-azienda deve stupire per colpevolizzare i docenti poco erotici, in modo che l’opinione pubblica non comprenda le cause profonde della decomposizione morale e cognitiva in cui siamo ed in particolare della scuola. Didattica erotica, scuola affettuosa e didattica della carezza sono immagini che vogliono celare la verità: la dignità della scuola è nell’impegno e nei contenuti, senza questi ultimi gli alunni non hanno paradigmi con cui decodificare il presente e trascenderlo criticamente. Alunni con capacità linguistiche minime non possono partecipare alla vita democratica della nazione, in alternativa c’è il mercato globale che li accoglie “affettuosamente”. La dignità dei docenti e degli studenti non può che essere intessuta del tempo della scuola in cui si impara, si discute e si ha il coraggio di dire “no” alle derive atomistiche e anticomunitarie.
La scuola della società dello spettacolo, ben remunerata o meno, resta una scuola a misura di capitale e non della persona, nel frattempo le strutture continuano a collassare, come a Cagliari, segno del declino in atto che pare inarrestabile.
Fonte foto: Altalex (da Google)