La sconfitta elettorale ci pone dinanzi ad un interrogativo:
“Che fare?”
A una domanda tale non si può che rispondere dialetticamente, ogni “furia del dileguare” non può che riportarci a livello zero. Il pensiero politico dev’essere concreto, deve concrescere l’universale con il contingente nella forma del particolare pensato e progettante. Il fine ultimo dell’agire deve ridisporre il particolare e deve ritrovare la sua koinè progettuale nell’esistenza tangibile. Particolare e universale devono essere in tensione dialettica, l’una deve comunicare con l’altra, in modo che la prassi possa essere ideale e reale. Il progetto ideale è forza mitica che convoglia le energie razionali verso l’obiettivo, ma esso vive nella radicalità del reale. Il “Che fare?” trova qui già una risposta: dobbiamo respingere ogni semplicismo e ogni rancoroso senso di impotenza dovuto alla sconfitta. Entrambi comprimono l’analisi critica e inibiscono il pensiero creativo e politico. Bisogna, dunque, lavorare su se stessi per testimoniare la prassi, la quale necessita di pensiero complesso e metafisico. Nessun progetto politico antitetico al presente con il suo nichilismo crematistico può sopravvivere e resistere senza fondazione veritativa. I piani si intersecano, lavorare alla fondazione progettuale significa superare il semplicismo della critica. Quest’ultima senza il problema della proposta rischia di essere fine a se stessa, simile al movimento del criceto nella ruota. Il potere non può che irridere le critiche impotenti di coloro che si limitano a individuare le contraddizioni del sistema, le quali vanno indicate e analizzate fortemente ma all’interno di un progetto comune.
L’obiettivo della sinistra comunista, la koinè, dev’essere la comunità nella quale il pubblico controlli il privato con le sue derive “privatistiche”, per cui, in primis, è importante dimostrare e produrre tesi e pubblicazioni da condividere che dimostrino la razionalità metafisica della natura comunitaria del soggetto negata dal capitalismo assoluto.
La concretezza ci deve indurre a favorire le forme di comunità esistenti e ad espanderle. Bisogna evitare ogni atteggiamento elitario e di nicchia. Il capitalismo è assoluto nell’ideologia, ma non nella pratica quotidiana dove innumerevoli sono i punti di resistenza: vi sono cellule di comunità diffuse sul territorio in cui ciascuno abita e vive: la scuola, il sindacato, le sezioni di partito, le parrocchie, l’associazionismo ecc. Si dovrebbe iniziare a portare, testimoniare e vivere con coerenza il messaggio comunitario. Si devono condividere le critiche al sistema in spazi pubblici: dall’aula scolastica alle piazze, ognuno deve fare quello che può a seconda della sua indole e della sua condizione. Bisogna portare la parola dove vige il silenzio conformista. Non si tratta di evangelizzare, ma di portare senza integralismo settario il senso del politico spazzato via da decenni di conformismo e vuoto metafisico. Nel contempo aderire attivamente ai movimenti che sperimentano nuove sintesi politiche e che aggregano le comunità in un comune progetto.
Abbandonare sindacati e istituzioni al loro destino marcescente è un errore, svuotandoli completamente il dominio reca con sé la sua vittoria migliore ed entra nell’eternizzazione di se stesso: diviene l’assoluto in terra che non conosce il limite. La fisica ci insegna che il vuoto è occupato dal pieno, pertanto se si abbandonano le comunità istituzionali e non, il vuoto sarà occupato dall’ideologia tecnocratica e capitalistica in atto. Dobbiamo rammentarci che la sinistra comunista e non solo sono defunte per l’incoerenza e la falsa testimonianza degli ideali proclamati a gran voce ma negati nell’ordinario.
Il muro di Berlino è caduto, anche, per un l’entropia etica a cui la sinistra reale e immaginaria si è esposta. Non siamo chiamati ad essere eroi del cambiamento e della trasformazione, ma ad essere gli umili lavoratori che assediano il potere dall’interno e che testimoniano con la loro vita e attività il “no” al sistema, ma anche dimostrano con la loro vita che il progetto alternativo è concreto e visibile nel presente. Progetti che non sono già testimoniati nel presente rischiano di essere percepiti come distanti. Testimoniare significa anticipare quello che potrebbe nel tempo che verrà. Il sistema è talmente pornografico che la testimonianza di una vita a misura di essere umano comunitario è più facile di quanto si possa pensare. Ritengo che bisogna iniziare a vivere il futuro nelle condizioni presenti altrimenti saremo anche “noi” veicolo di oscurità e reificazione: nessun uomo è innocente… La responsabilità verso il futuro non può aspettare, per questo è indispensabile il pensiero complesso contro il tatticismo tecnocratico. Nella storia non vi sono leggi ferree e bronzee, pertanto il futuro è una scommessa aperta, questa è la nostra lucida speranza.