Nicola Fratoianni, per battere le destre, ça va sans dire, propone di allargare il fronte “democratico” al tandem, il duo Calenda/Renzi, che impersona autenticamente quella cultura manageriale così precisa nel codificare tutti i luoghi comuni neo-liberali incentrati sull’efficienza e sulla competenza oggi pienamente introiettati dalla popolazione. Quella grammatica imprenditoriale in grado di spostare a destra il buon senso comune e di far digerire politiche anti-popolari anche alle classi subalterne. Che trasforma un banchiere centrale in un paladino della democrazia.
L’apertura di Fratoianni non deve e non può sorprendere. Per una serie di motivi.
Nell’architettura istituzionale post-democratica le elezioni rappresentano il prodotto preconfezionato posto a ornamento della vita democratica, modellata in Spettacolo. Ogni raggruppamento politico che aspira alla visibilità mediatica e quindi al diritto di tribuna sceglie accuratamente un ruolo, una parte in commedia, al fine di mettere in scena una rappresentazione teatralizzata del pluralismo. Così Sinistra Italiana potrà partecipare con piena legittimità al dibattito, giovandosi di quella credibilità concessa dall’alto, anche nelle vesti contraffatte della “sinistra radicale”.
Inoltre Sinistra Italiana vegeta nel panorama politico grazie a una platea di amministratori locali. Questa militanza può sopravvivere solo ed esclusivamente grazie a un rapporto organico con il Partito Democratico, quindi con quel partito che si pone come architrave centrale del sistema mercantilistico protetto costituzionalmente dalla dimensione sovranazionale della politica. In questo contesto gode di un’autonomia limitata. Per salvare la dimensione locale in cui amministra qualche briciola, dovrà avallare, seppur con qualche timida rimostranza, le scelte reazionarie di politica economica di cui il Partito Democratico si fa garante.
In ultima analisi, ma non la meno importante, Sinistra Italiana incarna a pieno titolo quel neo-liberalismo di costume che vede nell’individuo il solo ente in grado di rompere il patto sociale. Idealizza una conflittualità soggettivista e americanizzata che ben si accompagna alla frontiera ideologica neo-liberale sulla libertà personale da conquistare nei gangli della competizione di mercato. Quel corredo di precetti morali che da un lato impongono un’individualizzazione delle problematiche sociali e dall’altro promettono l’illusione dell’emancipazione personale attraverso l’edificazione di un capitale umano. Per questo motivo la distanza culturale tra un Fratoianni e un Calenda è minima e sostanzialmente poco significativa.
Sono due angolazioni differenti del medesimo impianto dottrinario. La scintilla imprenditoriale o artistica del fai da te rappresenta sia il presupposto per avviare la scalata personale alla piena cittadinanza sia l’inclinazione caratteriale posta alla base nella rivendicazione dei diritti personali slegati definitivamente dalla coscienza di classe. Entrambe le versioni dello stesso individualismo portano a considerare il merito come la nuova frontiera del discrimine sociale. Cultura meritocratica che asseconda privatizzazioni, esternalizzazioni, libertà di movimento dei capitali, politiche di austerità, compressione dei diritti sociali, colpevolizzazione della disoccupazione. E soprattutto sgretola la sostanza della democrazia. Che nei sistemi a capitalismo avanzato non può che manifestarsi attraverso il conflitto dialettico tra capitale e lavoro. Ormai ridotto, nella discorsività di regime, a passatismo novecentesco.
Fonte foto: La Repubblica (da Google)