“Sono per la scuola pubblica purché si possano licenziare gli insegnanti cattivi”. E se i professori lamentano di esser poco pagati? “Andate in un’industria dove gli operai lavorano, anche se pagati poco, ma lavorano. Introduciamo il licenziamento dei cattivi insegnanti, o gli studenti più fortunati andranno all’estero, mentre i peggiori resteranno qui, a prendere il reddito di cittadinanza”.
Sono le affermazioni di Umberto Galimberti al Festival della filosofia di Modena. Le critiche che da non poco tempo Galimberti rivolge al sistema scolastico disponibile a riprodurre il nichilismo consumistico mediante il populismo pedagogico questa volta “rischiano” di essere fraintese.
La scuola non è più una istituzione etica, ma un’azienda dai dubbi risultati nella quale la formazione umana e globale è stata sostituita dalla scuola delle competenze e del saper fare/vendere organica alla struttura economica. Si pensi al debaite introdotto in non poche scuole, si affinano le armi della retorica e non certo del concetto da scandagliare criticamente.
Le critiche di Galimberti contro la scuola delle sole tecnologie da anni tuonano nei festival e nei suoi interventi. La democrazia, dunque, muore nelle istituzioni. Essa presuppone una profonda e olistica formazione al pensiero critico, altrimenti non vi è partecipazione. I dati ci dicono, invece, che gli studenti stentano a comprendere i testi e a formulare concetti complessi. Senza capacità linguistiche non vi è democrazia, ma la tirannia del più forte, e specialmente, del più ricco. La democratura è allevata nella “cattiva scuola” in cui gli alunni sono clienti, e i docenti migliori sono gli ”amici” degli alunni disponibili a gratificare con i voti i vuoti di un sistema. Una scuola lasca attrae iscritti ed assicura il successo formativo: pochi contenuti e molto pedagogese è la ricetta del successo.
Sorprendono le parole di Galimberti, le quali devono essere pronunciate nel loro tempo cairologico, ovvero vi sono critiche e parole che espresse in un momento storico nel quale la conservazione gerarchica avanza possono essere abilmente utilizzate dal potere.
Un pensatore di rilevanza nazionale deve saper dosare le parole e pronunciarle nel momento opportuno. In questo momento i docenti sono sotto attacco, si vuole introdurre il docente esperto con una formazione di nove anni, gli altri che hanno superato i concorsi pubblici non sono esperti, non si comprende cosa siano, l’unica certezza è che non meritano una retribuzione europea. I concorsi sono invalidati, dunque, conta il docente digitale, il quale non deve puntare sulla formazione umana e critica, ma deve insegnare l’uso delle tecnologie. Il docente esperto dovrebbe preparare gli alunni al mercato ed essere elemento di raccordo tra l’azienda scuola e il mercato. La distruzione del senso della scuola e del suo statuto etico e pedagogico non potrebbe essere più palese. Le materie STEM saranno rafforzate nelle intenzioni dei legislatori, in tal modo si condizionerà la scelta universitaria e, non solo, degli alunni.
Nella scuola affettuosa della stucchevole propaganda si muore come in tutte le aziende, la scuola è anch’essa un’azienda, pertanto tutto viene di conseguenza.
In questo clima la parole di Galimberti sono pericolose e improduttive. Licenziare i docenti non produttivi è il sogno del potere, ma in questo contesto i docenti non produttivi sono i professori, i maestri e i dirigenti scolastici che resistono alla disumanizzazione della scuola ben celata con il velo dell’ignoranza delle parole della propaganda: scuola affettuosa, inclusione, successo formativo, bonus psicologico ecc. ecc.
I docenti che vivono la formazione in coerenza con i valori della Costituzione e dell’Umanesimo sono docenti che “disturbano” l’onnivoro successo, per cui sarebbero i primi ad essere licenziati. Le sue esternazioni possono essere usate da un sistema che il saggista sa benissimo essere cinico e manipolatore. Dimentica nella sua furia del dileguare che gli operai specializzati hanno un salario maggiore dello stipendio dei docenti, per cui il paragone è anch’esso inopportuno. Sarebbe stato più opportuno palesare le sperequazioni stipendiali e la deriva verticistica del sistema. In ultimo, e reputo ciò più importante di tutto, Galimberti ben conosce lo stato generale della nazione e l’abbrutimento antropologico del neoliberismo: nessun alunno si salverà se non si ha come obiettivo la trasformazione/prassi della società tutta. Un bravo docente in tale contesto può intervenire sui sintomi del malessere, può in alcuni casi favorire la passione, ma fuori vi è una realtà maciullata dal narcisismo e dalle derive crematistiche e clientelari. Spesso il lavoro educativo non ha continuità con l’esterno, per cui il rischio è che lo studente soccomba alla violenza della competizione. Separare la parte dal tutto non è una soluzione, ma rischia di essere l’espressione colta della conservazione. Invocare il licenziamento di un lavoratore è oggi la normalità, più difficile è favorire la prassi e costruire un’alternativa con la mobilitazione delle classi sussunte e abbrutite dalla massificazione e dall’ignoranza.
Fonte foto: da Google