Questo non è un articolo ma, per la sua (inevitabile, dato il tema) complessità, un documento, peraltro non esaustivo, a cui seguirà una seconda parte. Quindi è decisamente lungo. Ma ne scuso ma non potevo fare altrimenti.
Avevo circa diciotto anni quando partecipai ad una manifestazione indetta da Lotta Continua insieme al F.U.O.R.I. (Fronte Unitario Omosessuali Rivoluzionari Italiani) e al Partito Radicale che ai tempi era ancora prevalentemente una formazione di sinistra radicale e liberal-libertaria, prima di diventare quello che è ormai da molto tempo, cioè una forza ultra liberista, atlantista e guerrafondaia.
Gli aderenti al F.U.O.R.I. – tanto per spiegare come le cose siano radicalmente cambiate e in peggio – erano portatori di idee e tesi obiettivamente di rottura con il sistema vetero borghese dominante di allora e, per fare un esempio, rifiutavano anche il solo concetto del matrimonio perché lo consideravano una delle istituzioni borghesi per eccellenza, e quindi da rigettare in toto. Per molti di loro la battaglia per il riconoscimento della diversità e del diritto di vivere il proprio orientamento sessuale in assoluta libertà non era disgiungibile da una critica complessiva all’ordine sociale capitalista che ai tempi vedeva ancora egemone la cultura vetero borghese anche se in fase declinante.
Pensate a come e quanto sono cambiate le cose nel corso del tempo. Da almeno una trentina d’anni a questa parte i movimenti lgbt+ hanno fatto del matrimonio una delle loro battaglie fondamentali: un processo di sostanziale omologazione e omogeneizzazione sociale è stato fatta passare come chissà quale battaglia di liberazione. Un movimento che rivendicava – sacrosantamente – il diritto alla diversità (e proprio nella rivendicazione di questa diversità individuava il fattore di rottura se non rivoluzionario con l’ordine sociale dominante) e coniugava questa battaglia con la critica radicale al sistema capitalista (diversi appartenenti ai primi movimenti gay erano marxisti), è diventato del tutto simbiotico al sistema che lo alimenta, lo sostiene fattivamente (l’elenco delle più grandi banche, imprese e multinazionali di tutto il mondo che finanziano i movimenti lgbt+ e i Gay Pride sarebbe troppo lungo), eleva le sue tesi a veri e proprio totem, feticci, tabù incriticabili e incontestabili, e le sue manifestazioni in grandi riti autocelebrativi osannati e incensati dai media.
Bisognerebbe ora aprire una riflessione troppo lunga e complessa per capire se i germi di quel processo di omologazione (vale anche per il femminismo) fossero già presenti alle origini di quei movimenti. Secondo me sì, ma ciò non toglie che, sia pure con grandi contraddizioni, esprimessero comunque dei contenuti di rottura con il vecchio ordine sociale vetero borghese. Il passaggio da quell’ordine sociale, comunque capitalista ma declinato secondo i dettami della vecchia ideologia borghese, al nuovo ordine sociale, ancor più capitalista ma declinato secondo i dettami della (ormai non più) nuova ideologia neoliberale e politicamente corretta (parlo per il mondo occidentale), ha visto e vede quei movimenti totalmente omologati se non simbiotici al sistema stesso.
Siamo ormai da tempo ben oltre il diritto (sacrosanto, tanto per sgombrare il campo da equivoci) di vivere in assoluta libertà il proprio orientamento sessuale che il vecchio ordine culturale e sociale borghese negava, e anche di unirsi in matrimonio (diritto altrettanto sacrosanto, per quanto mi riguarda, anche se, a mio parere, come spiegavo, si tratta di una sostanziale omologazione culturale e sociale).
Ormai si teorizza (anche se non lo si dice apertamente e lo si camuffa, come spiegherò fra poco, perché sarebbe ancora troppo traumatico per una parte ancora troppo grande delle persone) e anzi, si dà quasi per scontato, che la propria appartenenza sessuale non abbia alcunchè di biologico e di naturale ma sia soltanto un costrutto culturale.
Come viene spiegato tutto ciò?
La richiesta di poter adottare i figli da parte degli lgbt+ – lasciamo per ora da parte l’increscioso tema della maternità surrogata, leggi utero in affitto, che vede coppie omosessuali e anche eterosessuali alimentare una spregevole forma di mercificazione delle donne e dei bambini e di neocolonialismo postmoderno – contiene implicitamente e oggettivamente l’idea che il maschile e il femminile (e quindi anche il paterno e il materno) siano del tutto indifferenziati. E’ questo il non detto (per ora) esplicitamente della questione in oggetto. E’ questa la nuova frontiera, o una delle nuove frontiere aperte dalla variante detta del “post-umanesimo” dell’ideologia “post-modernista” e “politicamente corretta” dominante. Sostenere infatti “che ciò che conta è l’amore” e quindi che un bambino o una bambina possano essere cresciuti indifferentemente da una coppia eterosessuale, gay o lesbica, significa automaticamente affermare che possono essere cresciuti indifferentemente da tutti e da tutte indipendentemente dalla propria condizione e appartenenza sessuale. In tal modo viene implicitamente, anche se non ancora esplicitamente, negata la differenza sessuale. La mia opinione è che anche il femminismo della differenza dovrebbe avere qualcosa da dire di fronte ad una simile visione delle cose ma fintanto che il nemico pubblico numero uno sarà individuato nel genere maschile, ciò non avverrà mai.
Come si camuffa questo postulato? Lo si camuffa dietro il paravento ideologico del diritto degli lgbt+ di adottare i figli e il diritto di questi ultimi ad avere dei genitori. In realtà, però, se andiamo bene a vedere, non si tratta di un diritto, ma di un desiderio. Non ho nulla contro il desiderio, sia chiaro, perché l’essere umano è un essere desiderante, tuttavia è necessario stabilire dei criteri entro i quali il desiderio resti tale e non sconfini ad esempio in un abuso. Camminando per la strada ogni giorno vedo tante ragazze bellissime e sensuali che certamente, per usare un eufemismo, non si sforzano certo di limitare o frustrare la loro capacità seduttiva, pur tuttavia mi guardo bene dal molestarle in alcuna maniera. Mi trovo, dunque, nella condizione di dover frustrare quel desiderio che viene in me sollecitato sistematicamente (anche in questo caso si dovrebbe aprire una lunga e complessa riflessione ma non è questa la sede…). Cambiando completamente circostanza, se non siamo ipocriti, dovremmo ammettere che molto spesso nella nostra vita abbiamo avuto il desiderio di agire in modo violento nei confronti di persone che proprio non sopportavamo e che magari se lo sarebbero anche meritato in base al nostro sentire, eppure ci siamo trattenuti dal farlo, ovviamente, perché se lo avessimo fatto avremmo di sicuro appagato il nostro desiderio ma avremmo commesso un abuso oltre che un atto di violenza. Sono esempi molto banali, ma forse efficaci, e ne potrei portare tantissimi altri.
Naturalmente, non penso che la richiesta di adottare un figlio o una figlia da parte delle coppie lgbt+ sia un abuso, ma appunto un desiderio e non un diritto. Non ci si interroga minimamente sul fatto che forse un bambino o una bambina potrebbero avere necessità (e il diritto) ad una figura femminile e materna e ad una figura maschile e paterna, o a più figure femminili/materne e maschili/paterne (tornerò fra pochissimo su questo punto) perché la questione si considera già superata nel momento in cui il maschile e il femminile non vengono più considerati, secondo questo postulato ideologico, come “strutture” caratterizzanti dell’umano, quindi di natura ontologica, ma soggetti generici e indifferenziati.
Osare oggi criticare questo postulato, rivendicare la differenza sessuale (ho sempre pensato che la diversità sia una ricchezza…), indipendentemente dal proprio legittimo orientamento sessuale (considero l’omosessualità un fatto naturale né più e né meno dell’eterosessualità), comporta l’essere bollati, bene che va, come omofobi, reperti archeologici e oscurantisti e, quando va male (il più delle volte) come reazionari e cripto fascisti.
In questo modo si ottiene di disinnescare a priori il dibattito o, peggio, polarizzarlo – come è di fatto già avvenuto – su posizioni opposte e contrarie. Da una parte il conservatorismo, tendenzialmente declinante anche in parte negli stessi ambienti cattolici, che si irrigidisce nella rivendicazione della famiglia tradizionale e bigenitoriale composta da un uomo-marito-padre e da una donna-moglie-madre più figli, e dall’altra la famiglia cosiddetta “arcobaleno” che si fonda su quel concetto (anche se ancora non esplicitato) di indifferenziazione di cui sopra.
E’ quest’ultimo, oggi, che ha il vento in poppa, dal momento che ha gioco facile nel bollare nei modi sopra elencati chiunque osi smarcarsi dal suo postulato ideologico, elevato – questo il paradosso – a condizione naturale, quindi ontologica. Nel momento in cui, infatti, si sostiene che non esistano in natura distinzioni e appartenenze sessuali e che queste siano meri costrutti culturali, è evidente che si eleva il proprio assunto ideologico a condizione naturale. E’ la cosiddetta “teoria del gender”, come viene comunemente definita, anche se la sua esistenza viene ufficialmente negata dai suoi stessi sostenitori.
Un’altra questione fondamentale. Non sono un sostenitore tout court e a priori della famiglia tradizionale bigenitoriale-eterosessuale. Ci sono stati diversi tipi di famiglia nei vari contesti storici determinati però non da questioni ideologiche ma da fattori e necessità oggettive e contingenti. Povertà, malattie, guerre, condizioni naturali particolari, hanno fatto sì che in diversi contesti storici, sociali, culturali e naturali si formassero famiglie “allargate”, talvolta vere e proprie comunità molto ampie, come accade tutt’oggi in alcuni contesti dove è del tutto normale che i figli perdano i genitori e vengano allevati da zii, zie, nonni, cognati, fratelli, sorelle e quant’altro insieme ad altre persone che hanno invece perso i loro figli e parenti per le stesse cause: guerra, miseria, malattie. Ma tutte queste situazioni vedevano e continuano comunque a vedere la compresenza del maschile e del femminile.
Le società si trasformano, e quindi è del tutto normale che anche la concezione e la struttura della famiglia si trasformi. Non ho quindi nulla in contrario – specie in un contesto come quello occidentale e non solo – alla possibilità dell’ esistenza di famiglie non tradizionali-bigenitoriali, composte da membri legati fra loro non solo o non necessariamente dal sangue ma anche dall’amicizia, dalla solidarietà, dall’affetto che per le ragioni più diverse si sono create all’interno di quella comunità. Ma auspicherei che fossero comunità formate da uomini e da donne e non da soli uomini o da sole donne, siano essi/e omosessuali o eterosessuali. E questo non per ragioni ideologiche, bensì perché penso che il maschile e il femminile e le loro rispettive peculiarità siano la manifestazione di una condizione naturale, ontologica, dalla quale quindi non si può prescindere. Sarebbe come se pensassimo di poter vivere senza respirare, bere o mangiare.
Di conseguenza, penso che per lo sviluppo equilibrato di un bambino e di una bambina sia più opportuno crescere in un contesto che veda la compresenza dell’elemento maschile e femminile, anche se non necessariamente bigenitoriale. Questo non mette al riparo da miasmi e nevrosi che hanno sempre caratterizzato e continueranno a caratterizzare ogni tipologia di famiglia in qualsiasi epoca, remota e futura, né tanto meno significa – dovrebbe anche essere superfluo sottolinearlo – che un omosessuale non possa essere un ottimo genitore come, più e meglio di un eterosessuale. Ce ne saranno di migliori e di peggiori, indipendentemente dall’orientamento sessuale. Significa dire che il maschile e il femminile non sono semplici costruzioni culturali ma componenti essenziali della natura e dell’ontologia umana. Sostenere il contrario significa, a mio parere, teorizzare e praticare una sorta di ingegneria genetica e inevitabilmente anche sociale, un sostanziale processo di manipolazione che potrebbe avere conseguenze molto gravi sotto il profilo sociale e umano.
Non ho lo spazio per farlo ora ma in altri articoli e anche in un libro che ho scritto, ho spiegato come il sistema di dominio capitalistico attuale possa utilizzare e stia già utilizzando queste teorie.
Volendo utilizzare una categoria marxiana classica, non c’è dubbio che con la trasformazione della struttura si debba necessariamente trasformare anche la sovrastruttura. E quindi, se la vecchia (e ormai sul viale del tramonto) famiglia borghese era il nucleo della società, appunto, borghese dell’epoca, è evidente che la nuova o le nuove tipologie di famiglia che si vanno delineando non possono che costituire il nucleo fondante dell’attuale ordine sociale ultra capitalista. Tengo a sottolineare questo aspetto per sfrondare quanto sta accadendo dalle ipocrisie sulla presunta natura rivoluzionaria di questo processo.
Quanto e perché la famiglia “fluida” – nei termini, voglio sottolinearlo, in cui è stata posta dalla narrazione mediatica ideologica neoliberal dominante – possa essere funzionale al sistema capitalista, è stato e sarà oggetto da parte mia di un ulteriore riflessione. Il tema è complesso e non può essere esaurito in un solo articolo.
Fonte foto: Psicologi Online (da Google)