Vorrei in questo breve scritto analizzare un momento due questioni molto semplici. Premetto che la storia dell’Urss è molto complessa e per un analisi accurata ci vorrebbero pagine e pagine e tra l’altro sono stati scritti innumerevoli testi (alcuni citati qui sotto) molto illuminanti su questi problemi. Se le questioni sono semplici le risposte non lo sono affatto e sono per il momento più lavoro per gli storici del futuro che per qualche modesta analisi attuale.
Vengo alle questioni:
- Quanto ha influito Mikhail Gorbaciov sulla c.d. caduta dell’Urss?
- Quali sono state le vere cause del declino dell’Urss?
Sulla prima questione le risposte che possiamo trovare in giro sono estremamente varie: si passa con facilità da odio ad amore. Le file di persone che qualche giorno fa sono andate a rendergli omaggio nella camera ardente non sono certo state interminabili, eppure ci sono state. Ma queste persone ci andavano per omaggiare l’ultimo segretario del PCUS? O colui che li ha liberati del PCUS? Io sono dell’idea, forse un po braudeliana, anche se ammetto che ci sono notevoli eccezioni, che i singoli contano molto poco nei processi storici e il processo di dissoluzione dell’URSS era già troppo avanzato per essere fermato (a differenza di quanto avvenne nel 1917 in cui la presenza di Lenin fu determinante per la rivoluzione). Se leggiamo alcune analisi come quella di Costanzo Preve [1] o di Rita Di Leo [2] questo è evidente, come è evidente che ormai il sistema agli inizi degli anni ottanta del secolo scorso non aveva praticamente più nulla a che fare col comunismo, ma nemmeno col socialismo, di stato o non di stato che fosse. L’interesse di queste analisi è che sono analisi “di classe”, non coincidenti ma certamente simili: nel senso che l’URSS era tutt’altro che una società senza classi ma una società divisa in classi (Preve distingue solo due classi, dominanti e dominati, l’analisi della Di Leo è più complessa distinguendo nei dominanti quelli di formazione popolare e la classe degli intellettuali nei dominati). Certo non si può fare una critica al fatto che nel “socialismo” comunque una struttura di classe era ancora considerata necessaria, ma il fatto è che la prospettiva comunista ormai era diventata un miraggio fino a scomparire del tutto. Il sistema di fatto andava avanti senza futuro e senza idee, un piccolo cabotaggio che era inconcepibile per la seconda superpotenza mondiale all’epoca con l’unico scopo di mantenere la parità strategica con l’occidente. Attenzione, questo non toglie nulla all’”idealtipo” socialista che era comunque diffuso in occidente e che si fondava anche sul fatto che un “esperimento” [2] socialista era tutt’ora in corso e sarebbe durato fino alla fine degli anni novanta. Proprio in questo senso l’URSS avrebbe dovuto essere il faro mondiale del socialismo come lo erano gli US del liberalismo, ma sappiamo tutti che non faceva gran che per assumere questo ruolo. Diventava difficile per la sinistra occidentale persino difenderla, quando non esplicitamente, in alcune sue frange, prenderne esplicitamente le distanze e attaccarla.
Gorbaciov ha tentato un salvataggio tardivo in modo molto mediocre, senza nemmeno (forse) capire che avrebbe provocato il crollo del sistema e senza la furbizia, tutta orientale, di un Deng che aveva probabilmente tratto le sue conclusioni già da un pò e stava iniziando quella politica di riforme che ha portato alla Cina attuale. Certo, il fatto di aver tentato una via gli fa onore. Salvare il sistema ritrovando un futuro soprattutto con un nuovo corso che superasse gli anni della stagnazione, cercando di riportare in auge il primato della politica (a quanto sembra mentre Mikhail si spremeva a cercare una “nuova politica”, Xiao pare che se sentiva parlare di dialettica cacciasse l’interlocutore fuori dalla porta. Il tempo massimo di discussione per prendere una decisione era di 30 minuti, arrovellarsi sulla teoria era ritenuto inutile.)
Ma era troppo tardi, la slavina non poteva essere fermata, e forse l’unico suo vero merito è stato quello di addolcire una transizione che per quanto brutale sarà sicuramente stata più morbida di fluttuazioni imprevedibili che ci sarebbero state in un passaggio diretto senza “perestroika” e “glasnost”.
Per quanto riguarda la seconda questione, è molto più difficile dare risposte certe. Qui credo vi siano diverse concause: una è certamente la competizione strategica con l’occidente che ha fatto si che tutte le risorse dell’URSS fossero impegnate nello sviluppo di un equilibrio militare di forze con gli US e i suoi alleati. L’altra è la già citata assenza di progettualità politica che ha portato gli attori al suo interno a ripetere procedure ormai obsolete sulla scorta di piani che andavano comunque completati volenti o nolenti (un esempio chiaro di questa farraginosità, superficialità e mancanza di un adeguato controllo è stato il disastro di Chernobyl). Fino alla prima metà degli anni sessanta certamente la scienza sovietica era, se non all’avanguardia, certamente una stella di primo piano seconda solo agli US. I successi nello spazio il cui “know-how” è arrivato fino ai nostri giorni non sono certo una cosa trascurabile. Centri di ricerca come Dubna o Academgorodok in Siberia non avevano nulla da invidiare agli equivalenti occidentali. La scuola di fisica di Landau era di assoluto prestigio, molti dei suoi allievi avevano dato contributi fondamentali in diversi campi, tanto che era necessario per gli occidentali tradurre gli articoli delle riviste scientifiche russe in inglese per poter leggere delle loro scoperte. Ma la stagnazione fini per coinvolgere anche questi. Mancava la catena che doveva rendere efficace il passaggio dalla scienza alla tecnologia, a meno che questa non fosse destinata ad usi militari (tanto che l’attuale governo russo ha dovuto creare ex-novo centri di ricerca per la trasmissione tecnologica). Che il sistema fosse in regressione divenne palese verso la fine degli anni settanta quando il tasso di mortalità infantile tornò ad aumentare. E che vi fosse un problema intrinseco era chiaro: non si può pensare che solo la guerra fredda sia stata la sola causa del declino. Perché l’occidente è riuscito a produrre benessere nei c.d. 30 anni gloriosi, anche perché ispirato da modelli socialdemocratici legati in fondo all’idealtipo socialista, e contemporaneamente sviluppare contromisure militari equivalenti a quelle dell’URSS? (Contromisure sofisticate in modo chirurgico, tanto da permettere risposte strategiche sempre un poco più avanti dei sovietici in modo da affannarli a dover inseguire). Dire che vi era uno sbilanciamento a favore dell’occidente in termini di popolazione e risorse non è sufficiente a spiegare del tutto il declino perché l’URSS aveva sicuramente risorse in abbondanza (vedasi oggi la questione delle fonti energetiche), mentre l’occidente, US inclusi, all’epoca dipendeva molto di più dal petrolio arabo, e quanto a popolazione poteva contare anche sull’Europa orientale e forse anche l’appoggio di una parte consistente del terzo mondo se avesse avuto la capacità di invertire il declino. Senza dimenticare che abbiamo di fronte a noi l’esempio della Cina che invece ci è riuscita, almeno finora, a evitare il declino, incluso l’avere una grande influenza sul mondo non occidentale (e che in qualche modo è anche lei derivata dall’idealtipo socialista, sebbene per molti “ortodossi” essa possa sembrare uno stato capitalista tout court).
[1] Costanzo Preve, “La fine dell’URSS”, Petite Plaisance, 2020 (prima ed. 1999).
[2] Rita Di Leo, “L’esperimento profano”, Ediesse 2012.
Fonte foto: TGcom24 (da Google)