L’Occidente totalitario getta la maschera

Se gettano la maschera non è per sbadataggine, né per imperizia o imprudenza: le “grandi firme” nostrane sono agitprop che sanno il fatto loro e conoscono benissimo il mestiere – quello di propagandista dei presunti valori occidentali s’intende, perché il giornalismo libero è tutt’altra cosa, ed è comunque una specie in via di estinzione.

Ormai sui quotidiani di regime (cioè tutti, eccezion fatta per La Verità e Il Fatto Quotidiano, su cui residuano spazi di riflessione e dibattito) si dà per scontato e pienamente accettabile che la guerra in corso, dapprincipio presentataci come “difensiva”, sia un’operazione NATO per interposta Ucraina, e il 28 aprile, durante la trasmissione Otto e Mezzo, Massimo Franco ha seraficamente affermato che anche se la Russia fosse effettivamente caduta in una trappola tesale dagli americani  (vale a dire: anche ammesso che sia stata indotta/forzata ad attaccare l’Ucraina) giudizi e valutazioni non cambierebbero. Può farmi piacere che un “saggista di fama, membro dell’International Institute for Strategic Studies di Londra (IISS)”, definito “un istituto di ricerca britannico (o think tank) nel campo degli affari internazionali” da Wikipedia, confermi quanto ho scritto in alcuni pezzi per l’interferenza a partire da fine febbraio, ma mi domando cosa motivi questo soprassalto di sincerità. Quando, il 25 febbraio scorso, azzardai che “In questa vicenda sin dall’inizio Joe Biden e i suoi “diplomatici” hanno alimentato le tensioni soffiando quotidianamente sul fuoco: non puntavano a un accordo, ma a provocare l’antagonista spingendolo a un’umiliante resa o a gesti inconsulti. Messo all’angolo dall’intransigenza statunitense Vladimir Putin ha soppesato le poche opzioni sul tavolo, propendendo infine per l’attacco militare – scelta dolorosa e gravida di pericoli anzitutto per la Russia. Immagino abbia valutato essere questa l’ultima occasione utile per una prova di forza “decisiva”: il via libera occidentale all’ingresso ucraino nella NATO avrebbe chiuso la partita a suo sfavore, e lui ha provato a giocare d’anticipo azzardando una contromossa estrema e clamorosa[1]” la mia era la classica vox clamans in deserto: una lettrice commentò che presentavo Putin come una vittima anziché un carnefice, e per i nostri media l’invasione russa era semplicemente un atto di gratuita “follia”. Ribadii i concetti espressi in due successivi articoli, anch’essi finiti controvento: il racconto ufficiale, rilanciato da telegiornali e trasmissioni tv, era quello dell’aggressione ingiustificata e proditoria, del gesto sconsiderato di un “criminale assassino” (copyright dell’uomo che stringe la mano alle ombre).

Poi, abbastanza all’improvviso, le cose sono cambiate: il Presidente Joe Biden e l’innominabile premier britannico hanno incominciato ad affermare che la cospicua, ininterrotta (e pianificata da tempo, aggiungo io) fornitura di armi alla “democratica” Ucraina  serviva e servirà a indebolire la Russia, a toglierle ogni possibilità di interferire nei piani delle potenze occidentali e – nella “migliore” delle ipotesi – a decapitarla, facendone (questo non l’hanno detto esplicitamente, ma è il senso delle loro dichiarazioni) un enorme Iraq allo sbando. Come si concilia questo mutamento di rotta comunicativo con la retorica dell’inerme Stato democratico aggredito, stuprato e vilipeso? Non si concilia affatto, ma i reggitori occidentali sanno che chi controlla l’informazione è in grado di plasmare e riplasmare le menti come fossero plastilina, anche perché in una sola giornata è possibile far passare più notizie di quante una persona normale ne possa valutare e assimilare – e il quadro ancora fresco prende il posto di quello dipinto la settimana prima, che sparisce in cantina.

E’ illusorio pensare che le menzogne abbiano le gambe corte: se ben architettate, coerenti fra loro e “seducenti” per l’ascoltatore, cui si assicura che sta dalla “parte giusta”, esse possono sovrapporsi a una verità difficile o impossibile da appurare. Di fronte all’aborrita “complessità” gli esseri umani manifestano disagio: quanto più la narrazione è schematica tanto più essa risulta digeribile da un’opinione pubblica che, stretta fra mille impegni quotidiani, di tempo per riflettere ne ha poco. Si comprendono allora le ragioni profonde della “caccia al russo” scattata all’indomani del 24 febbraio: si trattava di suggerire a larghi strati della popolazione – quelli più faciloni e inconsapevoli – l’equazione Russia=Male Assoluto. Il terreno andava arato con decisioni magari discutibili, ma di forte impatto simbolico: la cacciata di un direttore d’orchestra “amico di Putin”, la sospensione di un corso su Dostoevskij, l’esclusione degli atleti russi dalle paraolimpiadi (infamia maxima, a parer mio, perché atto vile e moralmente inqualificabile commesso ai danni di persone già discriminate dal destino). Indi è arrivata la semina: stille di veleno sparse quotidianamente da una propaganda di guerra che con l’informazione indipendente nulla ha a che spartire e che punta ad educare le masse all’odio contro l’alieno e contro chiunque si rifiuti di reputarlo tale. Le operazioni psicologiche si sono susseguite a tamburo battente: prima c’è stata la condanna senza appello né contraddittorio per crimini di guerra indimostrati (anche se non da escludersi a priori, chiunque li abbia commessi), poi la ben organizzata provocazione del 25 Aprile cui si sono volentieri prestate le forze più atlantiste e conservatrici della politica italiana, cioè il PD e +Europa, con la fattiva, imprescindibile collaborazione dei media allineati. Nelle finte democrazie come la nostra il dissenso è tollerato purché ininfluente, o se è suscettibile di essere messo alla berlina, deriso, ridotto a indizio di correità col nemico: del professor Orsini si afferma beffardamente che ha tratto beneficio in termini economici (perché fa qualche conferenza in più rispetto a prima, teatri permettendo…) e di notorietà dalla sua posizione “eretica”, ma si tace il fatto che è doloroso per un essere umano sopportare una campagna di denigrazione ad personam condotta ventiquattro ore al giorno e sbattere contro porte che improvvisamente si chiudono.

I dissenzienti vengono tacciati di intelligenza col “demonio”, i dubbiosi persuasi al silenzio (non si sa mai!), la folla berciante è invece solleticata a sbattere strafottente in faccia le “verità” di regime a chi esita ad accodarsi, che se non è un traditore è perlomeno un poco di buono, un presuntuoso, un antidemocratico. “I russi sono come i nazisti!”, strillano i beoti, dimenticando (o non sapendo) che a rendere diabolico ai nostri occhi il regime di Hitler non fu il “normale” scatenamento di una guerra di conquista, bensì la pretesa di poter disporre a piacimento, se del caso cancellandole dalla Storia, di razze considerate biologicamente inferiori, e perciò deprivate dei più basilari diritti, incluso quello alla sopravvivenza.

Quanto alla Russia, non le viene più imputata la “semplice” invasione dell’Ucraina, ma una sorta di peccato originale: quello di non essere Occidente e di contrastarne le mire – in sostanza di esistere, senza accontentarsi del ruolo assegnatole di colonia sfruttata e marginale. Labile è la distinzione tra il Presidente Putin e il suo Paese: il leader diventa una sorta di sineddoche che riassume in sé i mali di un intero popolo, quello che si è azzardato ad eleggerlo e persino (orrore!) ad avallarne le scelte. Asiatici, corrotti, abulici, approssimativi, barbari, asserviti al primo autocrate che passa per strada: orchi insomma, e infatti questo termine spregiativo fa spesso capolino negli articoli di stampa e nei post dei “buoni”.

Ho rigettato sin dall’inizio quest’approccio propagandistico, presagendo dove ci avrebbe condotti – e non perché io abbia particolari nozioni di geopolitica o una sfera di cristallo da consultare, banalmente perché alla scuola elementare mi hanno insegnato come risolvere un problema disponendo dei dati necessari, che sono sotto gli occhi di chiunque ardisca vedere. Posso anche aggiungere, per la soddisfazione dei miei critici, che sono “filorusso”, nel senso che amo la letteratura, la musica, la produzione artistica di quel Paese, visitandolo ho scoperto con meraviglia certi suoi angoli nascosti, ho persino provato ad apprenderne la lingua, sedotto dalla melodiosità di voci femminili – e soprattutto perché non mi scordo del contributo offerto da tanti russi (pensatori, statisti, soldati e semplici operai) alla lotta per l’emancipazione della “classe più numerosa e povera”, cui non mi sento estraneo.

Ciò non implica naturalmente che io sia un acritico “sostenitore di Vladimir Putin”, un uomo a suo modo eccezionale, ma dal passato nebbioso (l’operato svolto negli anni ‘90 all’interno dell’amministrazione Sobčak è tutto men che limpido, le accuse di indebito arricchimento plausibili) e dai metodi senz’altro sbrigativi. Non credo – come scrive Lilin – che i cittadini russi lo sostengano solo perché ha restituito un’allure di grandezza alla loro amata nazione: non avrà riedificato uno stato sociale sul modello sovietico, ma ha reso le città più sicure e vivibili, garantito alla gran massa della popolazione servizi e sostegni economici (un po’ come sta facendo il PiS in Polonia), rilanciato l’economia pubblica e posto fine ai più eclatanti soprusi commessi da un’oligarchia di parassiti. Tutto ciò non basta a fare della Federazione un paradiso (e forse nemmeno un purgatorio), ma tocca tener presente che dopo il crollo dell’URSS e per un decennio almeno il Paese piombò in un caos catastrofico che assomigliava all’inferno: il welfare pubblico semplicemente sparì e l’aspettativa di vita crollò, mentre la sviluppata industria sovietica collassava, trascinando con sé milioni di posti di lavoro e stipendi, o veniva regalata a pescecani assurti poi, in qualche caso, a eroi (=complici) dell’Occidente “liberale”. Inoltre c’è più pluralismo in Russia oggidì (visto che a uno come Stefano Feltri è stato permesso di dire la sua in una trasmissione della tv pubblica) che nella “democratica” Ucraina amerikana, dove i partiti di opposizione sono messi al bando, presidenti eletti sono cacciati a furor di cecchini stranieri, a metà degli abitanti è impedito di esprimersi nella lingua natia e la corruzione permea ogni ganglio dell’amministrazione.

Per Biden e i suoi tirapiedi – fra i quali ricomprendiamo il commissario liquidatore dell’Italia e la sua claque, impostici da volontà esterne – il Presidente Putin resta però un cancro da estirpare: non perché abbia commesso ipotetici crimini, semplicemente per il fatto che si ostina, da buon governante russo, a opporsi alle prepotenze della NATO, vale a dire degli USA. Sono in molti, purtroppo, a credere nel mito fasullo della “superiorità morale” di un Occidente che, per occultare l’oggettiva nefandezza delle proprie azioni, si è premurato di pescare il meglio del vocabolario: tutti costoro si lasciano volentieri indottrinare, e i più entusiasti seguirebbero docilmente leader che Orsini ha definito “disprezzabili” fino alla prova di forza finale.

Questa prospettiva non può che essere rifiutata da persone raziocinanti e libere che, oltretutto, si richiamano alla nobile tradizione socialista: non solo perché, a causa della condotta scellerata di Stati Uniti, Gran Bretagna&co, il Day after è dietro l’angolo, ma anche per il fatto che, oltre ad aver pieno diritto all’autotutela e a ricoprire un ruolo di primo piano nel mondo contemporaneo, la Federazione Russa intacca con la sua stessa esistenza l’assoluto predominio di Washington sulle nostre società, che all’interno di un modello rigidamente unipolare appaiono difficilmente scalfibili (figuriamoci se “rivoluzionabili”) da movimenti popolari.

Chi, attraverso la sempre più massiccia fornitura di armamenti al regime di Zelensky, persegue la rovina della Russia è un nostro nemico, al pari di coloro che esaltano una siffatta politica di aggressione imperialistica.

 

[1] https://www.linterferenza.info/attpol/lucraina-russi-non-parlare-dei-rus/

Stati Uniti, imbarazzo atroce per Biden: dà la mano al nulla - glbnews.com

Fonte foto: Global News (da Google)

4 commenti per “L’Occidente totalitario getta la maschera

  1. Alessandro Pinato
    30 Aprile 2022 at 12:11

    Concordo a 360 gradi.

  2. hobo
    1 Maggio 2022 at 0:29

    Un’orgia di esaltazione delle grandi conquiste del regime cleptocratico putinista di siloviki dei servizi di sicurezza, oligarchi della rendita da materie prime, vertici integralisti ortodossi che per un ventennio si sono arricchiti smodatamente depredando del plusvalore i lavoratori russi – mi scuso per l’accenno alla lotta di classe – drogandoli con quel ipersciovinismo imperialista di cui è intriso l’articolo.

    • Fabrizio Marchi
      1 Maggio 2022 at 1:18

      Meno male che ci hai resi edotti sul fatto che i capitalisti russi espropriano del plusvalore i lavoratori altrimenti da soli non ce ne saremmo mai accorti…
      Abbiamo bisogno di contributi preziosi come il tuo, servono per aprirci la mente a orizzonti meno angusti dei nostri.
      Potresti collaborare con il nostro giornale, se vuoi, però devo avvertirti che non siamo purtroppo in grado di retribuire i nostri collaboratori. I pochi denari con cui Putin ci finanzia sono sufficienti solo per il sottoscritto e un paio di redattori. Di più non possiamo fare. Mi dispiace. Spero veramente che continuerai a seguirci e ad intervenire. Come potrai facilmente immaginare il dibattito spesso langue su queste pagine. Con contributi come il tuo sono certo che non potrà che decollare in quantità e soprattutto qualità.
      Grazie davvero.

      • Giulio Bonali
        1 Maggio 2022 at 8:19

        Conciato per le feste!

        Sei troppo forte, Fabrizio!

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