Comprendere Marx significa spostarsi in modo sincronico nell’opera marxiana, vi sono cesure, ma specialmente linee di continuità che vanno rintracciate per ricostruire il senso dell’opera marxiana nella sua ispirazione umanistica di stampo anarchico – comunista. Il comunismo abbozzato nel cantiere di Marx ipotizza il soggetto emancipato dalle strutture di sussunzione materiale e formale, non più obbediente né disobbediente, in quanto vive la pienezza delle sue possibilità e del suo conatus in un quadro politico senza le forme gerarchiche dell’obbedienza nella forma dello Stato, della proprietà capitalistica e della religione. La trinità dell’obbedienza non può che produrre negazione e alienazione. Marx lettore spinoziano, dunque, in quanto il soggetto può relazionarsi fecondamente al mondo per ricrearlo solo se giunge a se stesso dopo un lungo processo dialettico nel quale ha vissuto, pensato e razionalizzato la liberazione dalle mordacchie delle superstizioni e delle naturalizzazione del sistema capitale. Ogni feticismo è una forma di religione irriflessa e dunque non riconosciuta. Nella formazione di Marx il Quaderno Spinoza del 1841 è rilevante non solo per comprendere la genealogia delle opere della maturità, ma l’opera giovanile può essere d’ausilio per capire il comunismo marxiano, nel quale importante quanto e anche più dell’abolizione della proprietà privata è il soggetto liberato dall’obbedienza che diviene soggetto attivo della storia. La proprietà privata è il ceppo che gerarchizza e ordina l’obbedienza associata e rafforzata dalla sovrastruttura con le suo manifestazioni culturali e sociali. La religione è il mezzo più potente con cui insegnare ideologicamente l’obbedienza e proiettare la speranza in un tempo sovrastorico. Nel Quaderno Spinoza il commento marxiano al Trattato teologico-politico e alle lettere di Spinoza destruttura la religione, rendendola intellegibile, smascherando la sua essenza ideologica e il suo essere funzione del potere. Nei rapidi passaggi dell’opera Marx, che avrà un rapporto controverso con la filosofia, specifica che la filosofia è radicale nella sua essenza, perché cerca, vuole e dimostra la verità. La filosofia non scende a compromessi, perché la verità non la si può accogliere parzialmente, in tal caso è già menzogna. La religione è obbedienza e pratica della pietà che non trasforma il mondo, ma lo conserva con le sue piaghe dolenti e contraddizioni:
[25] Resta infine da dimostrare come tra la fede, o teologia, e la filosofia non esista alcun rapporto né alcuna affinità, cosa che non può fingere di non sapere nessuno che conosca il fondamento e lo scopo di queste due discipline, le quali sono tra loro totalmente diverse. Lo scopo della filosofia, infatti, non è altro che la verità; mentre quello della fede [come abbiamo diffusamente dimostrato] è solamente l’obbedienza e la pietà. I fondamenti della filosofia, per di più, sono le nozioni comuni, sicché essa deve essere ricavata dalla sola natura; mentre i fondamenti della fede sono i racconti e la lingua, ed essa deve essere tratta soltanto dalla Scrittura e dalla rivelazione (§ 348)[1]”.
Disobbedire per esserci
La disobbedienza non è un atto di protesta, ma con essa l’essere umano riconquista la sua natura e la sua dignità. La libertà è prassi non scissa da teoria, il pensiero è potenza creatrice incontrollabile, per cui il potere non può cancellare la libertà. Si può fingere di obbedire per calcolo, opportunismo o vigliaccheria, si possono ripetere le parole del potere, riprodurre atti e comportamenti, ma nessun potere può impedire il pensiero, vero baluardo della “naturale libertà” dell’essere umano che attende di venire al mondo non per semplice stimolazione delle circostanze storiche, ma per l’interazione tra condizioni storiche ed azione-reazione del soggetto. Dove vi è l’umanità l’impossibile è possibile:
“[36] Se, dunque, nessuno può rinunciare alla propria libertà di giudicare e di pensare quello che vuole, ma ciascuno è, per diritto incontestabile della natura, padrone dei suoi pensieri, da ciò deriva che in un ordinamento politico non è mai possibile, se non con tentativi destinati a fallire miseramente, voler imporre a uomini di diverse e opposte opinioni l’obbligo di parlare esclusivamente in conformità alle prescrizioni emanate dal sommo potere(§ 420)[1]”.
Il potere può costringere all’obbedienza, ma non può conquistare interamente l’essere umano, il quale con il pensiero resiste al controllo, può da un punto di vista fenomenico obbedire, ma l’atto di obbedire non significa che sia stato sconfitto e conquistato.
Potere e pensiero
Il potere nella nostra contemporaneità quantifica il numero degli ubbidienti per poter usare la quantificazione quale mezzo di persuasione coercitiva verso gli indecisi, in realtà il potere, anche quando trionfa con i grandi numeri è più fragile di quanto si possa ipotizzare. Tra gli ubbidienti vi è un numero enorme di persone già disponibili alla disobbedienza non appena il dominio allenterà la sua pressione. I dubbi serpeggiano anche tra i più disponibili all’obbedienza. Non è possibile trasformare l’essere umano in automa meccanicamente passivo. La psiche e l’intelligenza restano potenzialmente libere, anche se per costrizione, disperazione o indifferenza si obbedisce. Marx sembra dirci che non dobbiamo disperare, oltre l’omologazione c’è vita e più vita di quanto le nostre singole e fragili intelligenze possano immaginare. La libertà conformemente al pensiero spinoziano è un processo nel quale si incontrano stratificazioni di libertà e qualità diverse di libertà. Certo, si deve ammettere l’esistenza di gruppi umani che “pensano” di agire autonomamente ma sono parlati dal potere, è una possibilità dell’umano ma non è l’unica, e la coscienza, comunque, è sempre una variabile dinamica pronta a evolversi e ad involversi. Il rivoluzionario non deve arretrare dinanzi all’obbedienza gregaria, ma deve agire più fortemente per l’emancipazione, perché l’obbedienza è un dato storico e culturale:
[53] Dal fatto che l’uomo agisca secondo la sua deliberazione, non si deve dunque concluder e che egli operi secondo il proprio diritto, anziché secondo quello dello Stato(§ 374)[2]”.
Marx attraversa i secoli per parlarci e suggerirci che la storia non è chiusa e l’omologazione è solo apparente. La potenza del pensiero lavora per la storia e per un nuovo inizio anche quando la storia sembra una palude la cui acqua sembra immobile. Il pensiero è divergente, accumula esperienze, può rimuoverle temporaneamente, ma esse si riattivano in circostanze storiche favorite da innumerevoli atti di disobbedienza, apparentemente innocui e di poco conto, i quali preparano la “grande storia”. Le tempeste della storia sono precedute da decenni di apparente indifferenza generale, in cui i piccoli gesti non compaiono, ma preparano il vento della storia. Le storie dei singoli possono passare e cadere nel dimenticatoio del tempo, ma i gesti e le parole restano, si moltiplicano, prendono forma nelle circostanze preparate da un silenzio carico di esperienze e linguaggi insopprimibili. Nessuna forma di alienazione, quindi, potrà mai cancellare il pensiero dei popoli alla catena:
“La svalorizzazione del mondo umano cresce in rapporto diretto con la valorizzazione del mondo delle cose. Il lavoro non produce soltanto merci; produce se stesso e l’operaio come una merce, e proprio nella stessa proporzione in cui produce in generale le merci[1]”.
Se il potere avesse la possibilità di trasformarsi in dominio assoluto, la storia e il mondo già sarebbero diventati immense macchine di sfruttamento per produrre profitto, tra i meccanismi della macchina, invece, sopravvive l’essere umano, che può pensare ed ascoltare l’alienazione che lo costringe ad una esistenza disumana. Il dolore vissuto è già individualità potenzialmente pronta all’esodo, pertanto il pensiero è fonte di resistenza collettiva inesauribile che apporta il nuovo nelle acque apparentemente stagnanti dell’omologazione.
[1] K. Marx Quaderno Spinoza, Bompiani 2022, Capitolo XIV Che cosa sia la fede e…
[2] Ibidem capitolo XX Della libertà di insegnamento
[3] Ibidem Cap XVII Della Repubblica ebraica
[4] K. Marx. Manoscritti economico filosofici del 1844 il lavoro estraniato