Siamo in guerra contro la Russia. Una guerra non dichiarata per paura del nucleare ma, per il resto, siamo in guerra. Se non ci crediamo, basta sentire i media. La propaganda che va in onda è quella tipica dello stato di guerra, ossia la demonizzazione del nemico. Tutto ciò è aberrante. Senza forze che facciano da mediazione, l’abisso si fa più vicino.
Temo l’escalation. Quando inizia un flagello nessuno ci crede: prima o poi, però, tutti ne dovranno prendere atto. Basta anche un errore. Un piccolo errore, un equivoco, un fraintendimento, una bomba che finisce per caso accanto ad una centrale nucleare, un incidente casuale, e l’Europa e la grande storia del mondo, non esiste più.
L’aspetto tanatologico della guerra nasce dagli impulsi più distruttivi (e autodistruttivi) dello spirito umano. Quando si vuole la pace, però, occorre principalmente non attentare alle condizioni di vita e di esistenza di un altro, individuo o popolo che sia, accogliere le sue ragioni, evitare di cedere alla propria tracotanza e volontà di potenza: non smettere mai di mediare, nella consapevolezza della comune (sebbene breve) appartenenza alla terra.
Era già chiarissimo ad Hobbes (Leviatano, 1651) che gli uomini sono naturalmente portati alla guerra. La pace è del tutto innaturale e necessita di un’enorme capacità razionale, oltre che di un infinito buon senso. Sebbene si tratti di leggi elementari delle comunità umane, non per questo lo sforzo di costruzione della pace appare compreso dalle nostre classi dirigenti che, anzi, sembrano spesso le meno adatte a salvarci dalla ferocia intollerabile dei conflitti bellici.
Oggi, molti fanno finta di ignorare che la pace è “innaturale” e che, per ottenerla, occorrono cure continue: ci si comporta come se la propria arroganza fosse sempre giustificata e, nel contempo, la pace ugualmente garantita.
È innegabile che la Federazione russa, pur nell’illegittimità d’una guerra d’aggressione, evidentemente illegale dal punto di vista del diritto internazionale, abbia dalla sua parte, comunque, delle ragioni storiche e geopolitiche. Tanto per dirne una, nei patti post-Unione sovietica era presente la condizione che la Nato non si sarebbe espansa ad Est. Tutto ciò non è stato mantenuto. Quanti sono i paesi, prima in orbita sovietica, entrati da allora nella Nato? Mi chiedo, ancora, e mi pare che storicamente le risposte siano chiare: gli Usa tollererebbero missili russi a Cuba o in Messico? Sono convinto, peraltro, e mi piacerebbe discuterne, che la guerra in Ucraina sia cominciata molto prima della terribile e ingiustificabile invasione da parte della Federazione russa.
In questo momento, però, tutto questo non mi interessa: non mi interessa più. Ciò che mi sta a cuore ora è la sorte dei civili che muoiono, dei soldati che cadono, delle città bombardate, dei monumenti distrutti, dell’immenso spreco di risorse che potrebbero servire per scopi molto più nobili di quelli, squallidissimi e volgari, di una guerra.
Credo che allora abbiamo il dovere di ricordarci che non serve la causa della pace chi irrigidisce le proprie posizioni e non mostra disponibilità alla comprensione delle ragioni degli altri. La pace – come detto – è frutto di pazienza, di mediazioni continue e non tollera che vi sia una qualsiasi volontà di potenza che si sforza con ogni mezzo di erodere i valori e le condizioni di esistenza degli altri. Il manicheismo produce conflitto non pace. Demonizzare il nemico è l’arma della guerra e non testimonia della ricerca della pace.
L’escalation bellica va assolutamente evitata. Come ogni guerra, più di ogni guerra, un conflitto oggi potrebbe produrre un’eterogenesi dei fini di proporzioni incalcolabili. I russi hanno combattuto e vinto contro l’imperialismo francese-napoleonico; hanno combattuto e vinto contro l’imperialismo nazista; hanno duramente pagato (in termini di vite umane e di distruzioni materiali) la loro lotta plurisecolare contro imperialismi di varia provenienza: se gli euro-americani credono che cederanno ora, si sbagliano di grosso, dimostrando di non conoscere la storia.
Esistono pericoli concreti che vanno nella direzione di un’accentuazione dell’intensità e della vastità del conflitto armato. Peraltro, ricordo che quasi mai una guerra è iniziata avendo ben chiaro in mente come si sarebbe svolta e quale andamento avrebbe preso strada facendo. Quando un flagello inizia, pochi credono sia un vero flagello, salvo le prime vittime: c’è bisogno di tempo per accorgersi di ciò che sta davvero accadendo. La guerra è un fuoco che si accende. Una fiamma che deflagra, cresce su sé stessa e incendia tutto ciò che le sta intorno.
So bene che esiste un’ondata emotiva scatenata contro la Russia. La capisco. La capisco benissimo. Io stesso non dormo bene, e talvolta non riesco neppure a reggere fisicamente le scene violente che siamo costretti a vedere. Devo andarmene da quelle scene. Devo cercare altro ma sono giorni, ormai, che non riesco a pensare ad altro. Mi capita con questa guerra, ma mi è capitato anche in occasione della guerra in Iraq, in Afghanistan, in Siria, nello Yemen ecc. ecc. – per quanto la stampa non presentava allora quelle guerre con l’enfasi con cui viene illustrata e condannata ora quella in Ucraina. Per me, non è così: il valore di una vita umana che si spegne, sia essa appartenente ad un siriano, un iracheno o ad un ucraino, è ugualmente una perdita assurda per l’umanità.
So altrettanto bene, però, che il fuoco non si spegne col fuoco. In questo momento, ciò che conta è soltanto la pace. Non mi interessano ora le ragioni di Putin, né quelle della Nato (sono loro, non dimentichiamolo, che si stanno effettivamente fronteggiando e che hanno messo in mezzo l’Ucraina): mi interessa impedire che, per volontà deliberata, o anche soltanto per errore, possa innalzarsi il livello di intensità di una guerra schifosa.
Il rischio è alto. Altissimo. Basta un’inezia per estendere il conflitto, e magari portarlo a livello nucleare – ciò che potrebbe non avere né vincitori né vinti. Le armi in possesso delle parti in causa sono tali da poter distruggere in pochi minuti il mondo intero. Io sono convinto che ciò non accadrà. Sono altrettanto convinto però che il rischio esiste e nessuno può essere certo del contrario. Il fatto stesso che tale rischio permanga, però, dovrebbe impedire qualsiasi azione che lo accentui e che, invece, non lo riduca.
Non sono d’accordo sulla fornitura di armi all’Ucraina. Non sono io a dirlo ma i massimi esperti di azioni militari e di geopolitica: questa guerra l’Ucraina non potrà mai vincerla contro uno degli eserciti (limitiamoci alle armi convenzionali) più forti del pianeta, ossia quello della Federazione russa che, con ogni probabilità, ha alle spalle anche il gigante cinese. Non sono d’accordo neppure con le sanzioni, poiché queste ultime non raggiungono mai il loro obiettivo (basta conoscere un poco di storia) ma, al contrario, radicalizzano e compattano quegli stessi popoli che vorrebbero mettere alla fame. Per non parlare poi del fatto che la Federazione russa è un paese immenso, con tanti paesi confinanti, forgiato dai ghiacci e da privazioni ultrasecolari, che ha sempre saputo difendersi dalle aggressioni proiettandole, come un boomerang, sul corpo stesso dell’aggressore. Inoltre, queste azioni che io considero politicamente sciagurate rischiano di far voltare una delle teste d’aquila della bandiera russa verso est (anche economicamente) isolando così ulteriormente l’Europa.
Purtroppo, sono costretto a vedere che c’è tanta gente che si sente già in guerra, anche nel nostro paese. Aizzati dai media, sembra di assistere ai due minuti d’odio quotidiani di cui parlava amaramente, qualche decennio fa, George Orwell. Da parte mia, invece, auspico la formazione di un movimento pacifista transnazionale che vada da Madrid a Pechino, capace magari di raggiungere Washington, in grado di ricondurre i leader politici alla ragione: a morire in guerra sono gli uomini comuni, poveracci, gente che magari non la voleva fare. Auspico, inoltre, la formazione di un’identità europea autonoma rispetto a quella statunitense. Se l’Europa intende acquisire un’autentica sovranità, non può farlo se non decidendo (Schmitt docet) in piena autonomia. Se non lo fa, la sua sovranità rimarrà semplicemente quella regionale di un protettorato americano.
La guerra non porta mai giovamento a chi la fa: come detto, sono le persone semplici che muoiono in guerra non i capi di Stato e neppure i generali. Spero che un fronte pacifista di questo tipo nasca, anche grazie alla diplomazia europea, in fondo il terreno dello scontro è casa nostra, si sviluppi e travolga sul suo cammino tutti i fautori di guerre, di sanzioni, i venditori di armi e di morte e coloro che, innamorati della propria volontà di potenza (russi o americani che siano), considerano il proprio popolo nient’altro che: “una somma che talvolta si può anche spendere”.