Mi è stato riproposto e segnalato da un amico alcuni giorni fa questo breve articolo del filosofo Costanzo Preve (tratto dal suo libro “La quarta guerra mondiale”), purtroppo scomparso poco più di un anno fa, dal titolo “Il mio antifascismo”: http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=Forums&file=viewtopic&t=70200&highlight
Mi sono avvicinato negli ultimi anni al “Preve-pensiero” affascinato dal suo modo di proporre e fare filosofia, così lontano dalle liturgie del “circo accademico-mediatico politicamente corretto” che lui giustamente disprezzava (e io con lui) e dalle sue riflessioni che da un punto di vista squisitamente filosofico possono essere più o meno condivise (e che in parte personalmente condivido) ma restano, comunque la si pensi, di altissimo valore teoretico e sicuramente di grande attualità, anzi, di grande “inattualità” – come forse lui stesso avrebbe definito il suo filosofare – anche se questa affermazione potrà sembrare paradossale a chi non ha avuto modo di conoscerlo, di persona o attraverso le sue opere.
Nel ribadire la mia personale stima intellettuale e umana nei suoi confronti, restano, per quanto mi riguarda, dei punti di importante e radicale divergenza con le sue analisi, sia di natura politica che di natura filosofica.
Uno di questi è proprio relativo alla sua analisi del Fascismo contenuta nell’articolo di cui sopra.
Non sono d’accordo con la sua tesi o soltanto in parte. Non si può, infatti, essere antifascisti “solo” perché Mussolini ha aggredito l’Etiopia, la Libia, la Grecia, la Jugoslava e altri paesi, quindi attuando una politica imperialista, colonialista e guerrafondaia. Se è per questo la Spagna franchista e fascista non ha mai attuato una politica imperialista ma questa non è certo una ragione sufficiente per assolvere politicamente il fascismo franchista …
Ciò detto, bisogna interrogarsi sulle ragioni per le quali il Fascismo è stato anche una potenza imperialista e colonialista (sia pure non al livello della GB e degli USA, ma per ragioni oggettive, cioè minori capacità e potenza economica, industriale e militare, non certo per mancanza di volontà politica).
E le ragioni sono strutturali (ideologiche e politiche), non occasionali o individuali (la singola volontà di Mussolini), e cioè quelle che ho cercato sia pur molto sinteticamente di spiegare in questo articolo pubblicato sia sul sito dell’associazione Uomini Beta che sul giornale on line “Contropiano” in cui criticavo la decisione di uno degli allievi di Preve di accettare il dialogo con i neofascisti di Casa Pound: http://www.uominibeta.org/articoli/sulla-questione-fusaro-casa-pound/
L’aggressione imperialista a quei paesi è la logica e inevitabile conseguenza della natura di classe e imperialista del Fascismo, che è esso stesso una dittatura di classe (cioè delle classi dominanti, all’epoca la borghesia industriale e agraria), naturalmente motivata e giustificata su basi ideologiche, oltre che politiche; e qui, per non tediarvi ulteriormente vi rimando ancora al suddetto articolo.
E’ peraltro stupefacente, devo essere onesto, che un uomo e un pensatore del calibro di Costanzo Preve non abbia colto l’aspetto o il risvolto ideologico che ha coperto e giustificato l’aggressione ai popoli libici ed etiopi da parte del Fascismo, che è dato appunto dal razzismo ideologico di cui (fra le altre componenti ideologiche) il Fascismo stesso era intriso. Se è vero, come è vero, che oggi gli USA giustificano le loro guerre imperialiste dietro le false bandiere dell’esportazione dei diritti umani e civili (guerre “umanitarie”), è altrettanto vero che le guerre fasciste (di natura altrettanto imperialista) erano all’insegna del “portare la civiltà (superiore) a chi non ce l’ha” (il non detto, e neanche tanto, era “perché sono barbari, incivili e in ultima analisi “inferiori”).
Il Fascismo è stato dunque una dittatura di classe, sia pur ideologicamente camuffata, coperta e giustificata (come tutte le forme di dominio di questo mondo), naturalmente con tutte le sue inevitabili peculiarità, date dal contesto storico e culturale in cui essa si è concretamente determinata.
Personalmente non mi scandalizzo di per se per la soppressione di ogni spazio di libertà e di democrazia operato dal Fascismo (fatto comunque gravissimo sul quale mi pare che Costanzo Preve sia stato un po’ troppo indulgente, pur non condividendolo, ovviamente…) perché questo, storicamente parlando, non ha riguardato di certo solo il Fascismo e sarebbe maldestro negarlo. Così come trovo quanto meno ipocrita – come invece dice giustamente anche Preve – condannare le aggressioni fasciste alla Libia e all’Etiopia e giustificare quelle americane e della NATO all’Iraq, all’Afghanistan, alla Jugoslavia e via discorrendo. Fin qui non ci piove…
Ma questo, cioè la critica radicale all’attuale “sinistra” e alla sua spregevole ipocrisia e il disvelamento della reale funzione dell’ideologia politicamente corretta (uno dei punti di maggior forza del Preve-pensiero) non comporta e non ha nessuna ragione di comportare una rivisitazione storico-politica-ideologica della natura del Fascismo che è quella che ho in modo ovviamente molto sommario, cercato di spiegare.
Ora bisogna intendersi su un punto fondamentale. Se per Fascismo intendiamo il ventennio fascista mussoliniano o la dittatura franchista protrattasi per diversi decenni dopo la seconda guerra mondiale, o altri regimi fascisti europei dell’epoca (Ungheria, Romania ecc.), non c’è dubbio che quel fascismo non esista più, perché quelle esperienze storiche sono morte e certamente irripetibili, per lo meno in quei termini e con quelle modalità. Di conseguenza se il Fascismo fosse solo quello, circoscritto a quello specifico periodo storico e a quelle specifiche esperienze storiche , potrebbe, da un certo punto di vista, essere giustificabile sostenere, come in effetti ha sostenuto Preve, che non ha più molto senso continuare a definirsi antifascisti in assenza di fascismo. Sarebbe come definirsi oggi antifeudali e portare avanti una battaglia culturale e politica contro il cosiddetto “ancient regime”.
Il problema è che le cose non stanno affatto così e per varie ragioni, sia di ordine politico che ideologico. E’ bene chiarire subito che i due aspetti non possono essere separati.
Cominciamo dal primo aspetto, quello politico. Il fascismo, sia pure parzialmente e necessariamente sotto altre spoglie e modalità organizzative, è tuttora vivo, vegeto e operativo. E’ sufficiente osservare ciò che sta accadendo in Grecia e soprattutto in Ucraina per capirlo. In questi contesti e soprattutto nel secondo, il fascismo si manifesta, sia sotto il profilo ideologico che su quello politico, nella sua forma più tradizionale (e brutale), cioè come manovalanza e braccio armato al servizio delle politiche imperialiste delle potenze occidentali e delle oligarchie sociali e locali dominanti. Il collante ideologico del fascismo ucraino è più o meno a tutti noto, e non credo ci sia la necessità di entrare nel merito. Dal punto di vista politico, il fascismo ucraino non si differenzia in nulla da quello delle dittature militari sudamericane alle dirette dipendenze degli USA e della CIA , del tutto simile sia nella brutalità che nella funzione svolta.
Ma l’Ucraina non è propriamente l’Europa, è un paese di cerniera, diciamo così, fra quest’ultima e la Russia e l’Asia. E’ un paese che ha una sua storia con delle sue specificità e si trova in un contesto ancora in larga parte diverso da quello europeo occidentale. Quella tipologia di fascismo, per un paese con quelle radici storiche e culturali, ha ancora la sua ragion d’essere (non per noi, ovviamente, stiamo soltanto analizzando il fenomeno…) e la sua funzione.
Quel genere di fascismo vecchia maniera, diciamo così, in un paese europeo occidentale, sarebbe invece del tutto improponibile, inservibile e addirittura controproducente per gli interessi di quelle forze e di quei gruppi sociali che da sempre hanno appoggiato, finanziato e sostenuto il fascismo, nelle sue varie forme.
Nel contesto europeo occidentale c’è quindi necessità di una forma ampiamente rivisitata, “arricchita” e corretta di fascismo, al punto tale che i suoi stessi animatori (ad eccezione di qualche gruppuscolo come Casa Pound o Forza Nuova) non si dichiarano fascisti o comunque sostengono di considerare il Fascismo appunto come un fenomeno storico, magari apprezzabile, ma non più ripetibile.
E’ il caso di tante formazioni di destra, “populiste” (e nella sostanza neofasciste), che hanno proliferato e stanno proliferando un po’ in quasi tutta l’Europa,e che stanno raccogliendo molti consensi in quei settori popolari dove tradizionalmente erano assenti, anche e soprattutto a causa dell’assenza di forze di Sinistra degne di questo nome, capaci di interpretare il legittimo malcontento sociale nei confronti di quell’Europa dominata dal grande capitale finanziario interessato solo a riprodurre se stesso a qualsiasi costo e con qualsiasi mezzo. Rimando, anche in questo caso, ai numerosi articoli (e in particolare questo: https://www.linterferenza.info/attpol/la-classe-operaia-va-allinferno/ ) pubblicati su questo stesso giornale da uno dei nostri redattori, Matteo Luca Andriola, che da tempo studia il fenomeno della cosiddetta “nuova destra”, o “nouvelle droit”, nella sua versione francese, che è anche quella più significativa sia dal punto di vista politico che ideologico e che fondamentalmente si identifica con il Front National di Marine Le Pen (il suo parente più prossimo in Italia è la Lega Nord).
Come è stato spiegato in quegli articoli in modo molto più esaustivo e puntuale di quanto possa fare il sottoscritto in poche battute, siamo di fronte a un fenomeno parzialmente nuovo, cioè ad una destra post neo fascista che ha avuto però l’intelligenza di rinnovarsi profondamente (e proprio per questo è un avversario ancor più pericoloso) a differenza di quanto ha fatto, o meglio, non ha fatto la sinistra, in tutte le sue differenti declinazioni, al punto addirittura di assimilare o fare proprie alcune tematiche da sempre patrimonio della sinistra stessa: ecologismo, decrescita economica, critica alla società dei consumi e al capitalismo crematistico finanziario ecc.
L’operazione (molto astuta, e infatti sta riuscendo, perché, come dicevo prima, molti settori sociali popolari, colpevolmente abbandonati a loro stessi da una falsa “sinistra” in larga parte ormai completamente organica al capitale, e sprovvisti di coscienza politica, stanno concentrando i loro consensi proprio su quelle forze politiche) prevede la costruzione di un blocco sociale interclassista dove però l’egemonia culturale, ideologica e politica, “gramscianamente” parlando, non è certo esercitata dalle classi lavoratrici ma da quella borghesia nazionale che si è resa conto di essere stata messa sia pure parzialmente nell’angolo dal grande capitale trans e multinazionale, che è stata in parte anch’essa colpita nei suoi interessi dal processo di globalizzazione capitalista e che aspira a tornare ad essere nuovamente egemone.
Il presunto anticapitalismo (meglio sarebbe dire, “antieuropeismo”) di queste forze politiche si riduce a questo. La nostalgia per lo stato-nazione è tutta interna a questo paradigma, quello cioè di recuperare uno spazio politico dove poter continuare ad essere politicamente egemoni. Nella totale assenza di una credibile prospettiva di trasformazione in senso democratico e socialista della realtà, questi gruppi sociali sono riusciti a coinvolgere intorno a questo progetto molti settori popolari (anche della vecchia classe operaia che da sempre era roccaforte della sinistra) che, più per rassegnazione che per convinzione,ritengono che i loro interessi siano di fatto in qualche modo convergenti con quelli di quella vecchia borghesia nazionale che da sempre li ha sfruttati, cioè in buona sostanza dei loro stessi datori di lavoro o ex datori di lavoro che vorrebbero tornare ad essere tali.
Il collante ideologico e politico di questa alleanza interclassista è l’ostilità nei confronti degli immigrati considerati nello stesso tempo causa ed effetto del loro malessere sociale e personale. L’immigrazione di massa, che ovviamente è da sempre (non certo da ora) un effetto inevitabile e strutturale dello sviluppo capitalistico che crea a livello mondiale una massa enorme di forza lavoro precaria, ultraflessibile, sradicata e migrante, viene individuata come la causa prima di tutti i mali. In questo modo viene quindi esattamente rovesciato il paradigma: invece di combattere il sistema capitalistico e le sue contraddizioni strutturali, si combattono gli effetti di quel sistema e di quelle contraddizioni, finendo per criminalizzare proprio quelli che più di altri soffrono quelle stesse contraddizioni.
In tutto ciò, buttiamoci sopra una bella spruzzata di “identitarismo” etnico culturale che serve a camuffare un “sentimento” sostanzialmente xenofobo e razzista e in generale di ostilità verso lo “straniero” (quindi una forma di razzismo riveduta e corretta, non più su base biologica-ontologica, ormai impresentabile, ma culturale), la nostalgia per i fasti della “grandeur” ,cioè per il grande stato colonialista e imperialista, nel caso specifico francese (con ambizioni estremamente più ridotte per la nostrana Lega Nord, il cui limite, e secondo me il suo attuale leader lo ha compreso, sta diventando proprio il fatto di essere “Nord”…), capace di competere alla pari con tutte le altre superpotenze mondiali, e il piatto è pronto per essere servito.
In tutto ciò di autenticamente anticapitalista, antimperialista e men che meno di socialista, non c’è assolutamente nulla. Si tratta invece di un bel minestrone, di natura squisitamente fascistoide, che purtroppo sta raccogliendo molti consensi e che sarebbe profondamente errato sottovalutare.
Anche per questa ragione l’analisi di Costanzo Preve nel merito è a mio avviso sbagliata. Il fascismo, sia pur riveduto, corretto, arricchito e ampliato è una latenza (che può essere sempre utile e utilizzata, al bisogno…), proprio e anche perché ha un suo fondamento ideologico (che non deve essere sottovalutato) che ha dimostrato anche di disporre di una notevole capacità di rinnovamento e di rigenerazione, sia pure sotto forme diverse.
Tutto ciò, ovviamente, non significa, per quanto mi riguarda, che il neofascismo, in tutte le sue variegate forme, sia oggi al top dell’agenda politica. Sono perfettamente consapevole che l’attuale sistema capitalistico ha ben altri e sofisticati strumenti (anche e soprattutto ideologici e culturali) per perpetrare il proprio dominio, così come sono altrettanto consapevole che un certo antifascismo di maniera e demagogico (poi sostituito con l’antiberlusconismo) è stato utilizzato per decenni per coprire prima il sistema di potere democristiano e poi la miseria politica e culturale di una “sinistra” completamente asservita e organica al Capitale.
Ma questo è un altro discorso (fondamentale) che non deve però indurci in confusione. Il fascismo non è morto (appunto perché affonda le sue radici in presupposti di ordine ideologico e non solo politico), va soltanto svelato (perché in parte camuffato) nelle forme nuove con le quali si sta manifestando. La critica radicale e strutturale all’ideologia politicamente corretta attualmente dominante (comunque largamente egemone in questa fase storica) e al sistema capitalistico che l’ha fatta sua e in larga parte partorita, sarà tanto più efficace quanto più avremo idee chiare e distinte sulla destra, vecchia o nuova che sia, e sul ruolo e la funzione (se vogliamo speculare a quella dell’ideologia politicamente corretta) che è stata chiamata ad assolvere.