La libera energia creativa viene sterilizzata nei protocolli della Tecnica che oggi dispensa, per altro, anche l’illusione di esaltare quelle stesse energie che in realtà mortifica e deprime, si veda la possibilità “gentilmente offerta” attraverso i social di esprimersi compulsivamente su tutto; senza, però, possibilità di incidere, visto che ogni opinone-azione in rete si traduce in dati comportamentali che, elaborati da intelligenze artificiali sempre più complesse e rivenduti ad aziende terze, vanno a rimpolpare gli utili stratosferici delle grandi multinazionali digitali. La concentrazione di ricchezza dell’odierno capitalismo digitale non ha termini di paragone nella storia; è senza precedenti e la premessa di questo accumulo fuori scala è data semplicemente dal nostro essere online. Ovviamente la “delega tecnocratica” ha il suo presupposto nelle possibilità di se-duzione senza precedenti esercitate oggi dalla tecnica, che consente l’illimitata ostensione narcisistica della propria immagine. Mentre si appropriano della nostra esperienza nella sua interezza trasformandola in profitto, i “capitalisti della sorveglianza” lavorano in profondità sulla personalità dell’utente offrendogli, mediante la costante profilazione e l’utilizzo di algoritmi sofisticati, ciò di cui crede di avere bisogno; confermandolo nelle proprie convinzioni e fornendogli le scariche di dopamina delle quale si nutre l’io digitale per tenerlo incollato allo schermo piatto il più a lungo possibile. A chi avesse dubbi sull’efficacia del modello imprenditoriale alla base del capitalismo digitale, sarà sufficiente visionare gli studi più recenti sull’esposizione a internet, che mostrano come siamo ormai online per una parte significativa della giornata, con punte che superano le dodici ore giornaliere per la “generazione Z”, fino ad essere, in non pochi casi, connessi “quasi costantemente” (si veda, per esempio: Zuboff, Il capitalismo della sorveglianza, edizioni Luiss, 2019, p. 463, per alcuni dati tratti da indagini recenti).
Pur rappresentando indubbiamente uno sviluppo del neoliberismo, da questo punto di vista la Tecnocrazia assomiglia ai vecchi regimi autoritari e paternalistici, nella misura in cui i “vantaggi” periferici che distribuisce agli utenti-sudditi da una parte ne coltivano il narcisismo, dall’altra sono di entità irrisoria rispetto al potere accumulato dal centro. Come un novello “Re Sole”, il capitalismo digitale distrae, occupa il tempo, riempie lo spazio (in passato fisico, ora digitale, ma in entrambi i casi simbolico) di icone auto-celebrative, offre gingilli e tiene incollati a sé, allontanando al contempo dalle occupazioni importanti. Luigi XIV attrasse la nobiltà nella sfavillante vita di corte della reggia di Versailles, appositamente costruita, per controllarla e renderla cortigiana e innocua; coinvolgendola nella sequenza rigorosamente scandita dei cerimoniali giornalieri, tutti ruotanti intorno al sovrano, riusci efficacemente a neutralizzarla. La nobiltà della seconda metà del Seicento conservava, per lo meno, in cambio della rinuncia a partecipare alla gestione del potere, uno status sociale e uno standard di vita materiale ragguardevoli e distintivi. Oggi ci si può benissimo accontentare di molto meno, di essere confermati ogni giorno e in ogni momento al centro del proprio mondo ritagliato su misura, a prescindere dalla propria condizione e classe di appartenenza. Bastano uno smartphone e una connessione a internet e ciascuno può essere “nobilitato”, il suo ego vezzeggiato in un gioco di specchi che ruota attorno all’utente-suddito e va in scena incessantemente sul suo schermo-reggia. Quanto più il giocattolino elargito dal potere è diventato sofisticato e efficace, tanto più, al culmine dell’egemonia del capitalismo digitale, l’individuo-utente-suddito, definitivamente atomizzato e mercificato, ha rinunciato a ogni residua velleità di incidere nel mondo vero.
Ieri come oggi il potere attrae a sé, dispensa distrazioni e riempie l’immaginario dei sudditi con i suoi simboli. Ovviamente, rispetto al passato, la Tecnica aggiunge la mancanza di relazione a qualsiasi scopo pratico o specifico, avendo come fine soltanto il proprio illimitato potenziamento. Da questo punto di vista, la tecnocrazia si spinge oltre l’assolutismo del XVII e del XVIII secolo, che aveva come fine il proprio potenziamento e la razionalizzazione della macchina dello Stato, avendo come unico scopo il primo. In altre parole, il capitalismo digitale è completamente parassitario. Nonostante questo, è ovviamente glorificato dai più, in un’epoca che si caratterizza per il ritorno in auge di una mentalità scientista e per la connessa idolatria della tecnica. Anche molti suoi critici, infatti, la considerano comunque indispensabile, anche nella sua forma attuale, reiterando la solita storiella che “tutto dipende dall’uso che se ne fa”; rifiutandosi, quindi, di vedere l’essenziale, ossia che la Tecnica non è neutrale e che la tecnocrazia è intrinsecamente politica.
La tecnocrazia ha, come i regimi paternalistici, le proprie narrazioni edificanti: il politicamente corretto e il femminismo neoliberale, le nuovi religioni, il nuovo oppio dei popoli. Anche in questo caso, come accadeva nel passato, queste dottrine sono ritenute giuste e indiscutibili, e giuste perché indiscutibili. Sono credute vere senza alcuna analisi critica. Esse, in altre parole, occultano la loro matrice politico-ideologica e si presentano come neutre e universali, cosa che ovviamente non sono. Le rappresentazioni edificanti dell’Antico regime si rivolgevano, attraverso la religione, alla massa assoggettata, per plasmarne la visione del mondo. Le odierne rappresentazioni edificanti hanno lo scopo di liquidare la questione sociale in modo permanente e di addormentare il conflitto, proiettando interamente la domanda di uguaglianza sui diritti individuali neoliberali, comportamentali ed esteriorizzati, sanremesi e telegenici, presentati come la linea del fronte di una battaglia di civiltà. Servono, dunque, allo scopo di ammansire. Mentre festeggia con dovizia e clamore di slogan ciclostilati tutte le ricorrenze imposte dall’agenda del politicamente corretto in cambio della patente sociale di persona civile, il tecno-suddito ha completamente perso la capacità di lottare per cercare di diminuire le diseguaglianze reali, che continuano ad aumentare.