Ogni norma fondante, quella a cui tutte le leggi si assoggettano o sono tenute non contraddirne i principi, rispecchia lo spirito dei tempi. L’espressione di valori condivisi, di regolazioni della democrazia, dell’equilibrio tra poteri dello Stato, sacralizza il comune sentire. Più è solido il senso di appartenenza storico a una comunità politica e sociale più emerge un timore reverenziale nei confronti di quei precetti che dovrebbero resistere all’usura del tempo. Questo non significa che le norme costituzionali non si debbano adeguare alle trasformazioni, a rinnovate esigenze comunitarie, all’emergere di nuove tipicità ma che gli ammodernamenti non debbano susseguirsi con faciloneria, dettati dalle esigenze della cronaca spicciola, dalle isterie momentanee del dibattito. Anzi la Costituzione rappresenterebbe un riparo dall’incedere forsennato dello Spettacolo.
La giovane Italia, lacerata dalle conseguenze del ventennio, ancora dilaniata dalle reminiscenze dell’occupazione nazifascista, protesse le mediazioni scaturite dal lungo dibattimento, certo sottoposto al vaglio di Washington, tra i partiti della Costituente, con ermetiche rigidità. Accanto all’invariabilità dei principi supremi, la Costituzione si fortificò con percorsi tortuosi – maggioranze qualificate, referendum confermativi – per non piegarsi alle intemperie delle emergenze. Sintomo di fragilità della neonata Repubblica, ma volontà di esplorare un terreno avanzato per lo Stato. La natura lavorista e sociale della Carta lo stava a dimostrare. Difatti i partiti popolari e di massa, seppur incapaci di dare attuazione a tutti gli articoli della stessa, si dedicarono con sufficiente venerabilità al suo cospetto per non scalfire più di tanto quel sentimento di riscossa democratica affiorato nella Resistenza.
Al contrario da quando la politica si è fatta mercato, con l’avanzata incessante della morale modernista, nel sacro guscio dell’irreprensibilità europea, la Costituzione ha pian piano perso la propria capacità di generare riverenza. Anche nel colloquiare della popolazione. Così a ogni folata di vento si mutano le procedure elettorali – che in teoria non disegnano una trasformazione costituzionale, ma che ne condizionano di fatto lo spirito -, si inseriscono concetti corrosivi dei principi fondamentali (pareggio di bilancio, legislazione comunitaria). Se qualcuno blatera di federalismo ecco pronto una bello scossone al titolo V. Emergenza ambientale? Vincoli ambientali. Protezione degli animali? Nessun problema. Tutto avviene in un lampo, senza discussioni, senza profondità. Dimostra che la difesa d’ordinanza della Costituzione, teoricamente salvaguardata dall’esito del Referendum Renziano, è stata stanca ritualità infruttifera. Tutela di prestigioso antiquariato.
In realtà ciò che determina le condotte personali, le istituzioni politiche, il bilanciamento dei poteri, l’agire amministrativo è la nuova Costituzione Economica, in parte scritta nei Trattati, in parte tramandata da quelle minuziose raccomandazioni, vestite da sentenze, che stabiliscono i limiti della sovranità nei confronti del commercio e dell’impresa. Quella sì, immodificabile. La Costituzione Repubblicana così diventa una preda da braccare, catturare e poi scuoiare. Non tengono le maggioranze qualificate nell’ambiente rarefatto del partito unico suddiviso in club d’influenza. Più è soggetta a nuovi incarti per addomesticare l’argomento del giorno, più indietreggia nella scala delle fonti. Autorevole quanto un regolamento di condominio. A ogni capriccio, una modifica, un’integrazione, una postilla. Da rigida qual era, diventa stropicciabile come carta straccia, priva della forza intrinseca delle vere Carte flessibili, alle quali, nei paesi in cui funzionano, nessuno immagina di apporre firme pretenziose e impertinenti.