Riceviamo e volentieri pubblichiamo:
Il Festival si chiude con le sue canzonette, con le sue esibizioni al limite dell’osceno e con la sua orgia di colori ed eccessi. Il paese vero pratica la discriminazione verso i non vaccinati, i giovani studenti sono usati come lavoratori a costo zero dalle aziende, mentre sono a scuola, e i beni della nazione sono svenduti ai padroni. Il Festival degli eccessi e della volgarità è stato l’immagine di un potere che deve sedurre in modo da incamerare profitti e intontire la popolazione. La kermesse liberal è stata per le nuove generazioni senza formazione ideologica e cultura una sintesi dei “valori” della globalizzazione dei nuovi padroni. In primis, azzardo un’ipotesi, per poter dominare senza tensioni e rieducare la popolazione alla normalità della precarietà bisogna rendere liquida l’identità, deve diventare un capriccio da supermercato, un travestimento senza sostanza. Personalità votate alla normalità dell’accumulo di esperienze indifferenziate ed anaffettive si lasciano docilmente dominare: oggi maschio, dopo femmina, un altro né l’uno né l’altro, non hanno identità sono semplicemente un involucro disponibile ad ogni “esperienza”, pertanto prese nella ridda schizoide delle personalità camaleontiche sono concentrate solo se stesse. Il mondo e le comunità si obliano, non resta che il soggetto a rovistare nel suo io temporaneo per darsi una forma momentanea. Il futuro è il depopolamento, per cui ci attendono le moltitudini migranti per rimpiazzare il decremento demografico. Personalità multiple non possono che aspirare a consumare in solitudine la loro vita, a trasformarla in “esperimento biologico ed erotico”. Non si tratta di liberare le persone omosessuali dai pregiudizi, in quanto le persone omosessuali hanno un’identità, e una comunità sana consente di loro di vivere relazioni stabili da “persone” e non da “omosessuali”: l’essere umano per natura è finalizzato a costruire ambienti di vita in cui diventare soggetto politico e comunitario. La scuola del Festival liberista in modo marcescente ha voluto, invece, normalizzare il nichilismo identitario: non vi sono identità stabili né individuali e né comunitarie. Dietro il buonismo infiocchettato con sorrisi, colori e volgarità vi è un chiaro disegno di distruggere l’identità maschile, in primis, ma in realtà ogni identità di genere e culturale. Il modello ultimo a cui si aspira è l’identità come travestimento, come esperienza momentanea, si deve perennemente giocare in una regressione infantile senza fine. L’odio verso la famiglia e le relazioni stabili non è mai stato così evidente. La quantità cambia la qualità affermava Hegel, per cui un numero tanto alto di personalità gay con giochi di ruolo non è liberatorio, ma vuole indicare il nuovo modello di società dei padroni. Una società in cui le persone sono ossessionate dal loro desiderio erotico e dalla loro polimorfa personalità non solo è “niente”, in quanto l’impegno civile e politico è cancellato, addestra alla precarietà lavorativa e al vuoto comunitario. Se si è abituati a cambiare ruoli erotici, ad essere un precario dell’identità non può che essere più facilmente accettata la precarietà lavorativa e il multiculturalismo arcobaleno. Ci si veste da asiatico e si è convinti di esserlo, si approda in un paese europeo e ci si libera della precedente identità per vestirne un’altra. Il nulla si può mascherare da tutto, perché non si è formato un substrato sostanziale capace di assumere una posizione politica e di progettare. Senza identità non vi è progetto personale, né comunitario, ma solo il lento scivolare nell’abisso e nella violenza del nulla tra applausi e sospiri… Nella nazione che ha avuto il partito comunista più numeroso in Europa e in cui il cattolicesimo è stato il fondamento assiologico il liberismo sperimenta obblighi vaccinali e nichilismo identitario. Dovremmo porci tale problema, questa apparente contraddizione. La nomenclatura cattolica e comunista è stata machiavellica, si è sempre adattata ai cambi con estrema flessibilità, ma la base ha creduto davvero, ha lottato poco o tanto, ma ha sempre lottato, il liberismo delle multinazionali, forse, vogliono trasformare la nazione in un esperimento di distruzione e addestramento al niente da estendere al resto dell’Europa. Non a caso è sotto attacco la formazione, i contenuti nel progetto di ammodernamento della scuola devono essere sostituiti dalle discipline STEM. (science, technology, engineering and mathematics). La nazione deve diventare materiale umano disponibile senza resistenza per il mercato e deve farsi essa stessa mercato: tutti in vetrina. Restano i silenzi di una Chiesa con papa Bergoglio disponibile a lasciarsi intervistare a Che tempo che fa sulla RAI liberal come qualsiasi vip, e specialmente l’assenza di un partito di sinistra in parlamento. Fuori c’è una galassia di iniziative e di nicchie che non trovano una sintesi, e non hanno i mezzi per la visibilità, a volte il veleno narcisista giunge fino a loro. Le nicchie di resistenza sono condizionate nella crescita politica da personalità ipertrofiche, governa l’io anziché il noi, e ciò rende il liberismo vincente, in quanto il male è entrato nel corpo della società atomizzandola, loro lo sanno, e si sentono al sicuro. Il primo gesto da fare per rompere il circolo vizioso dell’individualismo nichilistico è rompere con il linguaggio dell’io narcisistico e di superficie, l’io forte che vive le sue convinzioni non necessita di acclamazioni e applausi, ma ha già in sé il suo centro da cui irradia il “noi” che in questo momento è l’avversario totale del liberismo. Abbiamo doveri verso le nuove generazioni che rischiano di crescere come orci bucati, secondo la nota metafora nel Gorgia di Platone, ovvero rischiano di essere i contenitori della violenza e dell’illimitatezza del dominio, orci che non contengono nulla, passati da parte a parte dal dominio, oggetto di violenza perenne, in quanto senza identità. Solo chi sa filtrare i messaggi o tenta di mediarli con il logos può difendersi dal dominio tentacolare e spaventoso che si mostra nella sua verità in modo sempre più palese. Un popolo di orci bucati non ha futuro, è esposto passivamente alla violenza organizzata di regime, riportare il logos e il bene dove regna il male nella sua forma fluida è il compito che aspetta e attende il nostro presente, per cui all’orcio forato del Festival e al suo addestramento-addomesticamento dobbiamo contrapporre la metafora dell’arciere presente nell’etica nicomachea di Aristotele con la quale il filosofo vuole rappresentare l’esistenza finalizzata al bene. Il bene esige la chiarezza del concetto e l’equilibrio delle force per raggiungerlo, in tutto questo la musica è solo una presenza secondaria della società dello spettacolo.
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