Mi sono pronunciato più volte sulla crisi pandemica in atto e su come questa sia stata gestita in modo strumentale oltre che maldestro dal governo, dalle varie autorità competenti e da diversi “attori” economici (leggi grandi multinazionali non solo farmaceutiche), sia sul piano politico che sanitario. Per cui, per lo meno per il momento, non ci torno. Aggiungo solo che mi ha fatto molto piacere che alcuni Intellettuali miei amici fino ad ora silenti abbiano scelto, finalmente, di prendere posizione. Del resto, sarebbe oggettivamente impossibile non farlo, a distanza di ben due anni dall’inizio di questa crisi sanitaria, sociale e politica che ha reso evidenti anche ai sassi i limiti, le contraddizioni e l’opportunismo di chi l’ha “governata”.
Quello su cui vorrei ora invitare a riflettere è la sovraesposizione mediatica a cui siamo stati e continuiamo ad essere sottoposti, in Italia ancor (e molto) più di altri paesi che è arrivata a livelli parossistici. Un vero e proprio bombardamento ininterrotto, quotidiano, sistematico, senza soluzione di continuità, H24, che ha paralizzato la vita civile e ha contribuito in modo determinante ad alimentare le pulsioni più irrazionali delle persone, in primis la paura, l’angoscia della morte, il sentimento più profondo che tutti gli esseri umani vivono, anche se molti lo rimuovono o fingono di rimuoverlo.
E qui siamo di fronte ad un paradosso sul quale è bene riflettere.
Le società capitaliste occidentali (intendo con queste tutte le società costruite sul modello capitalista occidentale) rimuovono da sempre la morte, perché devono sostituire l’angoscia che questa inevitabilmente produce (pensare di rimuoverla del tutto equivale a pensare di smettere di respirare) con l’ansia da prestazione e da produttività, con la corsa frenetica per la produzione, l’accumulazione, il consumo e l’affermazione sociale. Una spirale che non prevede né può prevedere il tempo e lo spazio, fra le altre cose, anche per una sana, equilibrata e consapevole riflessione sulla nostra esistenza che, ovviamente, non può non contemplare anche l’idea della morte, semplicemente perché fa parte del ciclo vitale.
Quella rimozione totale necessaria a mantenere ed enfatizzare la spirale artificiosa e totalizzante di cui sopra nella quale siamo immersi, ci è stata prepotentemente e violentemente sbattuta in faccia in questa fase di crisi pandemica. Anzi, è stata la sola ed unica modalità con cui quest’ultima è stata gestita, con gli effetti devastanti sotto il profilo psicologico che abbiamo solo parzialmente visto e che si accentueranno in misura esponenziale negli anni a venire. Un disastro “psico-umanitario”, mi si passi il termine, con conseguenze altrettanto gravi sul piano sociale.
Difficile stabilire se tutto ciò sia il frutto di una lucida e consapevole strategia (il terrore come unico mezzo per affrontare la crisi) oppure di un meccanismo ormai incontrollato e incontrollabile da cui anche il sistema mediatico – principale artefice di tutto ciò – è ormai travolto. Molto probabilmente entrambe le cose.
Si doveva fare tutt’altro per poter gestire in modo equilibrato e razionale la situazione. Bisognava informare senza esondare, calibrare i messaggi senza enfatizzare, senza puntare tutto sul terrore. Ma questo è possibile solo in un contesto sociale relativamente sano, equilibrato, laico, razionale. Ecco, quanto accaduto e sta accadendo conferma, a mio parere, che la società (capitalista) nella quale ci troviamo a vivere, è fondamentalmente dominata dall’irrazionalità, non quella del sentimento e delle passioni, della creatività e dell’amore, ma quella mortifera del capitale, del “tecno-turbo-capitalismo”. Una società che, fra le altre cose, rimuove normalmente la morte per la sua autoconservazione ma la ripropone all’occorrenza in modo terroristico per la stessa finalità. E’ la società della nevrosi galoppante come condizione normale degli esseri umani e della follia, quella vera, al potere.
Fonte foto: The Conversation (da Google)