Il caso della giornalista palpeggiata con un solo tocco e il coro di scandalo che ne è conseguito è paradigmatico delle ipocrisie e delle contraddizioni della decadenza del modo di produzione capitalistico. Al suo apice il capitalismo rivela di essere violenza pura e assenza di pensiero: manca il concetto, per cui nulla è vero e la totalità è falsa. L’amplificazione del caso è tragica fino a sfiorare il ridicolo. Lo scandalo per il tocco subito dalla giornalista è all’interno di un sistema che vuole occultare la normalità del male con i diritti civili e concentrando l’attenzione sul covid e in alternativa sulla violenza alle donne. Se ci si scandalizzasse delle violenze che i lavoratori e le lavoratrici subiscono quotidianamente, e dunque, si lottasse contro ogni forma di violenza, si potrebbe inserire lo scandalo, smisurato per il caso, in un contesto ideologicamente sano. L’ipocrisia ideologica è nel denunciare l’inopportuno tocco e tacere sulle umiliazioni che i lavoratori subiscono fino a morire sul lavoro. In questo caso le informazioni non passano, sono brevi e ridotte a pura registrazione dei casi senza commento e solidarietà. Il sistema si nutre di violenza, la gestisce e la distribuisce secondo la sua onnipotenza. I lavoratori possono essere liquidati con un semplice messaggio o licenziati senza giusta causa. Precarizzati e mal pagati vivono l’esperienza lavorativa con le sue quotidiane aggressioni da parte dei padroni e dominatori nel silenzio. Sindacati e partiti di sinistra hanno scelto il neoliberismo, per cui la violenza si raddoppia fino a decuplicarsi: non solo subiscono condizioni lavorative “difficili”, ma a questo si aggiunge la solitudine estrema per l’abbandono dei corpi medi che dovrebbero rappresentarli. Violenza si aggiunge a violenza fino a farne il pane quotidiano. La solitudine dei lavoratori è l’effetto di un sistema che opera contro l’essere umano, lo usa come fosse un ente tra gli enti. In tale contesto il capitalismo assoluto deve autolegittimarsi presentandosi come l’alfiere dei diritti civili per occultare la verità della violenza che provoca ed espande in ogni ambito. Le stesse donne che vorrebbe difendere, sono usate come mezzo per sedurre e intontire il popolo ridotto a plebe. Nel contempo si colpevolizza il criminale che ha osato toccare l’intoccabile in modo che l’attenzione sia diretta verso gli uomini per natura rei di essere tali e dunque da rieducare. Peccato che le scuole il capitale le ha distrutte assieme alla famiglia, per cui non si comprende chi dovrebbe educare gli uomini dato che le istituzioni pubbliche sono state vergognosamente svendute ai privati ed annichilite dall’individualismo senza freni. La totalità è falsa e spesso le vittime approfittano del ruolo di oppresso per ottenere visibilità e successo, ma anche questo è un insegnamento del capitale che insegna a trasformare ogni occasione in mezzo e merce. Dinanzi a una realtà tanto tremenda non si può che restare ammutoliti:
“ Il punto da sottolineare è che più il capitalismo diventa “immateriale” e più si confonde con il capitalismo incantatore. Il che significa che il capitalismo immateriale non designa soltanto un “capitalismo cognitivo” centrato sugli algoritmi, i dati digitali, i saperi astratti e matematizzati, ma anche un sistema che si adopera per stimolare i desideri, le emozioni, i sogni e il cui obiettivo è creare e rinnovare prodotti e servizi che piacciano al consumatore e li colpiscano (racconti, musiche, svaghi, divertimenti, stili, ecc.). Di conseguenza, il capitalismo immateriale è anche, paradossalmente, un capitalismo emotivo ed artistico[1]”.
Nel silenzio colpevole dei corpi medi l’incanto distruttivo continua la sua macabra danza sugli invisibili della storia rimossi dal potere della chiacchiera.
[1] Gilles Lipovetsky, Piacere e Colpire. La società della seduzione, Raffaello Cortina Editore, Milano 2019, pag. 218
Fonte foto: NewSicilia (da Google)