Concluse le elezioni, concluso l’antifascismo plastificato, buono per raggruppare ingenui e sprovveduti in crociate funzionali al nuovo totalitarismo, i giornaloni liberali tornano a esercitare la loro missione pedagogica. Screditare, ridicolizzare, denigrare chi ha ancora l’ardire di porre in essere critiche al discorso capitalista. Di metterne in luce irrazionalità e contraddizioni.
Il professor Barbero lo fa con argomentazioni poco accomodanti, non molto care all’impianto del buon senso comune individualista. Dopo essere stato crocifisso per un giudizio storico sulle Foibe che non si accodava all’antifascismo di facciata, dopo le sue critiche ragionate al Green Pass, ecco che il nostro tocca ciò che nella nostra era appare indiscutibile. La questione di genere.
Rifiutando, come è giusto per un marxista, l’idea immaginifica che vede un capitalismo maschilista e un femminismo anticapitalista, affronta l’argomento da un lato centrando il punto ma dall’altro cadendo in un consueto luogo comune. Ciò che contraddistingue difatti il femminismo contemporaneo non consiste in una critica ai dispositivi di funzionamento della razionalità neoliberale, incentrati sulla concorrenza e sulla competizione darwinista. Semmai si concentra su un ipotetico sbarramento di genere a questa impostazione esistenziale.
In sostanza alle donne sarebbe negata la possibilità di mettere in atto compiutamente quelle medesime pratiche di prevaricazione sociale e di classe che il management maschile applica in ambito professionale. Il mondo femminile insomma sarebbe escluso dal gioco al massacro delineato dalla società di prestazione individuale. Poca femminilità al timone dei posti che contano. Poca disponibilità nel poter dimostrare che anche le donne si confanno ermeticamente al progetto dell’impresa di sé.
Questa visione non ha fatto altro che spostare la critica femminista su tematiche che permettono agli individui di introiettare in maniera sempre più invasiva le varie disposizioni d’animo o le sfaccettature della personalità compatibili con la supremazia del modello d’impresa. L’eticità del capitale umano è aprioristicamente data per scontata e le donne si porrebbero con eguale efficienza degli uomini all’interno di quel circuito relazionale ed emotivo.
Le considerazioni di Barbero quindi partono da un presupposto corretto, non esiste alcuna condizione di subordinazione di donne oppresse rispetto a uomini privilegiati in quanto tali. Ma persiste una dominazione di classe. Del capitale che non fa tante sottigliezze sul sesso dei dominanti.
Ma arrivano a una conclusione errata, tutta interna alla logica interpretativa corrente. Quando Barbero parla di differenze strutturali vuole dire che esisterebbe una sensibilità femminile non combaciante con le doti di necessario cinismo richieste nella giungla della selezione naturale contemporanea. Per questo le donne sarebbero ipoteticamente escluse dalle stanze dei bottoni.
L’affermazione però si scontra con l’apparire dell’evidenza. A meno che non si considerino la Lagarde, Angela Merkel, la Clinton, la von der Leyen e in passato Condoleezza Rice o Margareth Tatcher personalità portatrici di una mentalità rivoluzionaria. O che le donne in generale siano scevre dai condizionamenti della propaganda antropologica sull’uomo/impresa, sempre obbligato ad assoggettarsi alla prestazione e a considerare l’altro uno strumento per realizzarla.
Quindi il professor Barbero non ha detto nulla di così eretico o di osceno, anzi ha ricalcato le tracce di un pensiero ormai divenuto quasi salottiero. Ma la scure dell’infamia lo ha colpito egualmente. Inarrestabile. Questo appunto perché Barbero con la sua popolarità non convenzionale, che si richiama culturalmente al socialismo e alla storia del movimento comunista, deve essere escluso d’imperio dal consesso dei soggetti parlanti.
I neoliberali combattono la tradizione socialista e comunista, hanno il terrore di una ritrovata compattezza politica del mondo del lavoro, considerano la storia del movimento operaio conservatorismo. Ma vengono a patti con i fascisti, come hanno sempre fatto. Per mantenere l’ordine, per sdoganare il revisionismo storico e per governare insieme. Così ai tempi di Pinochet e dei Chicago Boys, quanto oggi nel Regime dei banchieri capitanatati da Sua Maestà Mario Draghi.
Barbero deve sparire, con Vittorio Feltri ci si può ragionare.