Le elezioni islandesi del 25 settembre 2021 hanno decretato un sostanziale equilibrio nella presenza di genere alle elezioni appena concluse, i seggi sono quasi equamente divisi tra donne e uomini con leggero vantaggio di questi ultimi. La Rai ancor prima del riconteggio delle schede aveva proclamato il sorpasso della componente femminile su quella maschile successivamente smentita. Inutile soffermarsi sulla qualità del giornalismo di Stato, il quale è funzionale all’ideologia imperante e poco propenso alla verità. Inquietante il trionfalismo preconcetto: nessuno dubita dell’uguaglianza tra gli esseri umani, pertanto il problema non è la presenza percentuale per generi, ma la qualità dei rappresentanti e ciò naturalmente prescinde il genere a cui si appartiene. Anche nel caso islandese i trombettieri del trionfo del femminismo di Stato non hanno appurato, né informato gli utenti sulla qualità politica delle rappresentanti islandesi, in modo volutamente preconcetto si sono soffermati solo sul sorpasso numerico svelando la verità del femminismo di Stato a trazione liberista. Se lo scopo è affermare il superamento numerico delle rappresentanti di genere femminile sui rappresentanti maschili si svela la verità celata del liberismo di Stato: il dominio. Se il fine dell’uguaglianza è l’emancipazione della “persona” a prescindere dal genere e dalle preferenze affettive ed erotiche non è la prevalenza numerica di un gruppo su un altro a decretare l’avvenuta realizzazione dell’esodo da pregiudizi e discriminazioni. La pubblica esultanza per il sorpasso è il segno che non è in gioco l’uguaglianza, ma il potere. Si rammenti il film Il sorpasso del 1962, il cui il sorpasso automobilistico era il segno della nuova arroganza sociale decretata dal consumismo, il sorpasso attuale tanto rincorso dai media è molto simile. In nessuna dichiarazione dei diritti del secolo trascorso si proclama ed auspica “il sorpasso” di un genere o di un gruppo umano su un altro, ma si difende la dignità della persona e la giusta difesa delle eguali opportunità. Di altro avviso pare il femminismo televisivo, il quale è mosso dall’intento di rappresentare “le donne come migliori degli uomini”, per cui l’Islanda sarebbe stato il punto di svolta dell’Europa finalmente governata dalle donne. La storia ci insegna che le donne al potere sono state simili agli uomini, talvolta grandi altre volte nefaste. Se ci si muove all’interno del “Speriamo che sia femmina” (film del 1982), mentre si spera solo che sia umano, non si è fuori dal linguaggio del dominio, ma lo si consolida inoculando in un sistema ad alta tensione competitiva, e quindi violento, altra violenza, poiché non esistono uomini o donne in generale, ma ciascun individuo risponde della sua qualità e biografia alla comunità in cui è implicato e di cui è responsabile. L’uguaglianza non è competizione tra i generi, ma complementarietà nel quotidiano e nella vita pubblica ciascun uomo e ciascuna donna devono essere giudicati non per il genere, ma per le loro azioni, per il loro progetto politico e per la coerenza politica. Nulla di questo accade nell’attualità, si criminalizzano gli uomini e si depongono sugli altari le donne. Sappiamo che ogni manicheismo è falso e bugiardo. Con la quotidiana criminalizzazione degli uomini si insegna a guardare gli alberi e non la foresta, come affermava Hegel, per cui da pochi casi deprecabili non è eticamente lecito giudicare l’intero genere. Tale operazione va ormai in onda da anni e rischia di alzare barriere tra uomini e donne che nell’isolamento preconcetto finiscono per costruire stereotipi negativi verso gli uomini e positivi verso le donne. In entrambi i casi è il pregiudizio ideologico a guidare le relazioni. Non sappiamo quanto questa politica dell’informazione incida negativamente nelle relazioni di coppia e lavorative, ma il problema dovremmo porcelo. La voce degli uomini non appare mai, sembra muta, ciò potrebbe dipendere dalla campagna negativa che a tamburo battente non ha mai fine. Al retaggio culturale si aggiunge la vergogna di appartenere ad un genere figlio di un dio minore. I trombettieri del femminismo di Stato sono sempre in azione, spingono le donne ad imitare il modello anglosassone, in modo da usarle in ogni momento della giornata nel mercato del lavoro e del consumo, si fa appello all’intelligenza e alla intuizione delle donne per renderle organiche al sistema mutilandole della vita privata.
La complessità del problema ci deve rendere critici verso l’informazione pubblica, la quale non ha l’intento di informare, ma di stabilire obiettivi funzionali alla struttura economica. Uomini e donne sono chiamati a difendere la persona umana, a viverla e giudicarla nella sua singolarità irripetibile. Non sono i numeri a proclamare progresso ed uguaglianza, ma la consapevolezza che non è il genere a determinare la qualità. La nostra epoca pericolosamente sta curvando verso forme di incultura stile Lombroso. La sinistra di governo tace, e ne è complice, per cui bisogna sostenere le forze che riportano il pensiero critico e la cultura del sospetto al centro dell’agire politico. Vi è il rischio di cadere in una nuova barbarie di genere e di questo non ne abbiamo certo bisogno.
Fonte foto: laRegione (da Google)