Un’altra guerra fra poveri pensata, voluta e alimentata dal sistema (capitalista) dominante è quella fra generazioni, cioè quella dei giovani contro gli anziani, fra “millennials” e “boomers” come vengono definiti dall’attuale insulso gergo anglofilo postmoderno.
Secondo questa ridicola “narrazione” gli anziani sarebbero responsabili delle problematiche che vivono oggi i giovani perché la loro generazione sarebbe stato più fortunata, privilegiata, comunque garantita rispetto a quella odierna.
Non potrebbe esistere fesseria più grande perché ogni generazione si è trovata a vivere le contraddizioni del proprio tempo e del proprio contesto che in parte è sempre stato lo stesso (cioè il vivere in una società capitalista), per lo meno da un secolo e mezzo a questa parte, e in parte è mutato, anche dal punto di vista ideologico e culturale, con il mutare della struttura economica, del lavoro e delle condizioni materiali di esistenza.
I nonni di quelli della mia generazione erano nella loro grande maggioranza operai, braccianti, ferrovieri, artigiani che, come tutti gli altri lavoratori dell’epoca, nella loro vita conobbero solo lavoro duro, sfruttamento e guerra, quella di Libia e la prima guerra mondiale. E in molti ci lasciarono la pelle, oppure un braccio, una gamba (o entrambe le braccia e le gambe) o la testa che li abbandonò per sempre lasciandoli in un abisso di follia e disperazione senza ritorno.
Poi vennero i loro figli, i genitori di quelli della mia età. Mio padre, come tantissimi altri, ha vissuto la sua giovinezza in piena epoca fascista, ha conosciuto in gioventù la povertà, quella vera (si cenava la sera con pane abbrustolito e caffellatte e il pollo alla domenica), la guerra (spedito in Russia a “giochi” ormai finiti, rientrò in Italia dopo un viaggio rocambolesco e mise in piedi una brigata partigiana con altri soldati sbandati e giovani del luogo), l’occupazione nazista, la resistenza, la guerra partigiana, il dopo guerra, gli anni ’50 durante i quali gli ideali socialisti di quelli come lui si infransero contro la dura realtà dell’Italia della restaurazione reazionaria e capitalista e della repressione violenta delle lotte operaie e sindacali.
E poi gli anni ’70, quelli del sottoscritto, quelli della contestazione, dell’assalto al cielo, come si soleva dire, anche questi infrantisi e più che altro sepolti sotto una montagna di carcerazione, di eroina fatta circolare ad arte come l’acqua dalle fontanelle, di disperato e tragico terrorismo, di reazione violenta da parte dello stato.
Infine gli anni ’80, quelli del riflusso, della “fine della festa”, della necessità di adattarsi, obtorto collo, per sopravvivere, alla realtà di una società capitalista sempre più pervasiva e totalizzante.
Ma – si dice – quegli uomini e quelle donne avevano il posto di lavoro garantito a differenza dei giovani di oggi che quella garanzia di stabilità non l’hanno. Ma quel “lavoro garantito”, ancorchè sfruttato, non fu casuale, perché fu il risultato di un grande scontro politico e sociale epocale e mondiale (costato lacrime e sangue, non metaforicamente parlando) che impose al sistema capitalista, per circa un trentennio, e solamente nel mondo occidentale, una mediazione necessaria. Mutate quelle condizioni, crollato il comunismo e il movimento operaio, quella mediazione non era più necessaria.
Ed eccoci giunti ai nostri tempi. Il precariato è la misura dei tempi “post moderni”, la condizione di una gran parte dei giovani e anche non più giovani lavoratori. E’ la realtà determinata dal sistema capitalista che ha trionfato e quindi sta gradualmente eliminando (e ha già in gran parte eliminato) tutti quei diritti che erano stati conquistati al prezzo di durissime lotte. Ormai il lavoro, diciamocelo chiaramente, non è più un diritto – come sancito dalla Costituzione – ma qualcosa che uno si deve conquistare sgomitando, intrallazzando, “dandosi fare”, facendo pubbliche relazioni (cioè leccando culi…), in competizione con tutti, spesso umiliandosi, accettando qualsiasi condizione di salario e di orario magari facendo le scarpe ad altri nella sua stessa condizione. Tutto ciò, naturalmente, per chi non ha santi in paradiso né beni al sole né una “buona famiglia” alle spalle.
Eppure ci raccontano che la “colpa” di tutto ciò sarebbe delle generazioni precedenti oppure – cosa ancora più sordida – degli anziani che non si farebbero da parte o dei pensionati, troppi, che toglierebbero ricchezza e spazio ai giovani, e meno male (questo il non detto ma pensato da alcuni) che con il covid una buona parte di quei vecchi inutili ce li siamo tolti di mezzo…
Dopo quella degli autoctoni contro gli immigrati, delle donne contro gli uomini, ecco un’altra guerra fra poveri, un’altra narrazione “farlocca”, quella dei giovani contro i vecchi, anzi dei “millennials” contro i “boomers”, visto che tutto ormai deve essere anglicizzato.
E in molti ci cascano. Diciamo pure che se sommiamo tutti i seguaci, o meglio, “followers”, per rimanere nello spirito dei tempi, di queste tre fasulle e depistanti narrazioni, otteniamo la maggioranza della popolazione. Triste, ma vero.
Svelare queste menzogne alimentate ad arte è il compito che hanno oggi i comunisti e i socialisti del XXI secolo.
Fonte foto: Visual Capitalist (da Google)