Riceviamo e volentieri pubblichiamo:
Scrivo queste righe mentre, rotte, che dico, rifiutate le trattative sul Ddl Zan, siamo arrivati alla vigilia della guerra. E già vedo Qualcuno che, salito sul podio, ci invita ad arruolarci. Ascoltiamo, distrattamente le sue parole (siamo un gruppo di amici, tutti decisi a restarsene a casa). Ma, quando arriva, inevitabilmente, alla “scelta di civiltà”, con gli, altrettanto inevitabili, annessi e connessi, vedo uno di noi alzarsi e interromperlo. E, attenzione, non per discutere con lui nel merito del ddl Zan – sarebbe fiato sprecato – ma per dirgli che sta andando a sbattere e che è suo elementare dovere di cittadino non dico di impedirglielo ma di metterlo sull’avviso.
Ecco, allora, le sue parole; sempre nella speranza che qualcuno sia ancora disposto ad ascoltarle.
“La vostra legge, vedete, è la tipica “legge manifesto”. E cioè una proposta che non punta soltanto a risolvere un problema ma anche a chiarire “urbi et orbi” i propositi e la natura di chi la propone. Con il rischio permanente di disinteressarsi completamente delle sue sorti, leggi della possibilità concreta che la riforma venga svuotata in sede di attuazione.
Ma non è questo il pericolo che ci preoccupa. Perché, nel nostro caso, fare una legge manifesto non era affatto necessario. Se aveste pensato alle persone da proteggere contro i reati di omofobia, avreste dovuto semplicemente tutelarli con una legge, cui nessuno avrebbe potuto dire no. E, invece, consapevolmente o peggio, inconsapevolmente, avete partorito un testo che contiene in sé tutto il messaggio ideologico Lgbt: con il rischio di non farla passare. Ma con la assoluta certezza di porre al centro delle elezioni prossime venture uno scontro da cui rischiamo di uscire con le ossa rotte.
Abbiamo detto “rischiamo”; non “rischiate”. Perché un cosa deve esservi ben chiara: che, in questo caso, continuare a sbagliare non vi è più consentito. Perché la più che probabile sconfitta del Pd porterebbe al disastro l’intera sinistra.
Non stiamo lanciando profezie a casaccio. Vi stiamo avvertendo. Stiamo per raccontarvi, con la speranza di essere ascoltati, quello che è successo alla sinistra francese durante il trascorso decennio. E lo facciamo perché, qui da noi, siamo ancora nelle fase iniziale di un processo che in Francia si è concluso con un totale disastro mentre , in Italia, può ancora essere fermato.
In Francia il dramma inizia nel 2012. E procede, inizialmente, in modo lento; e a tentoni. Ma, a partire da una certa data, accelera in modo incontrollabile, fino a portare la macchina a sbattere, ad altissima velocità, contro un muro.
Il suo protagonista, Hollande è, in tutto e per tutto, compreso il suo aspetto fisico ( come diceva un mio carissimo amico : “ a partire da una certa età, ognuno ha la faccia che si merita” ), la quintessenza della mediocrità. Mentre, come mestierante politico (è stato, per moltissimi anni segretario del partito socialista), è bravissimo. Il che lo porta a capire che, per battere Sarkozy, non c’è nessun bisogno di voli pindarici: basta far capire di essere diversi da lui ( diciamo meno avventurosi e avventurieri ) e garantirsi al ballottaggio il concorso della sinistra radicale e dei comunisti. Voti certi in cambio di impegni simbolici. Contestare l’austerity di Bruxelles; tassare i superricchi, difendere i posti di lavoro, cose così.
Il fatto è che su ognuno di questi fronti viene respinto con perdite; all’insegna, esplicita, del “non se parla proprio”. Per ripiegare immantinenti, sul “matrimonio gay”. Anch’esso una misura fortemente simbolica. Perché il diritto di vivere insieme, con i relativi impegni diritti e doveri, l’avevano avuto, assieme alle coppie eterosessuali, nei patti di solidarietà della fine del secolo scorso. Mentre il matrimonio gay vi aggiungeva soltanto il diritto alla sua esibizione.
Ora, il “combinato diposto” della rinuncia totale sul fronte economico e sociale e dell’esibizione di parata del matrimonio gay innescò un vero e proprio processo autodistruttivo.
Prima, la rottura a sinistra. Poi, il trovare rifugio e consolazione nella braccia degli imprenditori. E, ancora, l’abbandono della zattera da parte prima di Valls poi di Macron. Nel giro di pochi anni, dalle stelle alle stalle. Con il partito socialista ridotto ad una delle tante sette che passano il loro tempo a litigare tra di loro.
In quel periodo Enrico Letta era li’. Alla Sorbona. Ma non si è accorto di nulla. Affetto, evidentemente, da quella tendenza a guardare dall’altra parte, malattia professionale dei dirigenti Pd.
Pure, il Nostro, tornato in Italia per salvare la baracca, era partito più che bene. Sottolineando il fatto che il Pd non era un partito alternativo e che avrebbe dovuto diventarlo rapidamente, pena l’irrilevanza. E, ancora, che a tal fine fosse necessario porre al centro dell’agenda politica temi suscettibili di modificare, a proprio vantaggio, un senso comune e un immaginario collettivo oggi governati dalla destra.
Candidati a questo ruolo, il riconoscimento dello jus soli, il ripristino dell’imposta di successione e, infine, il voto ai sedicenni.
Tre appuntamenti perfetti per ricordare alla gente che il buon senso deve far premio sul senso comune. Mostrando a tutti che nel nostro paese vivono centinaia di migliaia se non milioni di persone che sono e si sentono italiani a tutti gli effetti; e che è assolutamente ignominioso pretendere di sottoporli a qualsivoglia esame di ammissione. E ancora, che, da tempo immemorabile, le tasse di successione sono state strumento essenziale per una fiscalità redistributiva. E, infine, che non è vero affatto che i giovani schifino in linea di principio la politica; mentre spetta a noi il compito di coinvolgerli.
Da allora, sono passate diverse settimane. E su questi temi è calato il silenzio. E non perché siano arrivati veti; più probabile che i vostri dirigenti se li siano posti da soli.
Questo mentre la legge contro l’omofobia che sino ad allora era andata avanti a fari spenti, appariva in una luce accecante. Trasformandosi da strumento di difesa delle persone in manipolazione ideologica; e, appunto, da proposta in legge manifesto.
Una legge manifesto, ve lo diciamo subito, che non possiamo proprio sottoscrivere. Perché trasforma i diritti in valori. E perché propone o suggerisce una visione della società in cui non ci possiamo proprio riconoscere. E ve lo diciamo a nome non solo nostro ma anche di quel popolo che avete il dovere di rappresentare.
Modificare una legge o vedersela bocciare sarebbe uno smacco, ce ne rendiamo conto. Ma solo per voi. Mentre arrivare allo scontro, politico e culturale, con la destra su questo tema o, peggio, solo su questo, sarebbe una catastrofe per tutti. Tenetelo a mente.
Fonte foto: Virgilio Notizie (da Google)