Riorganizzare e riunificare il mondo del lavoro

Le brutali aggressioni di squadracce pagate dai padroni per colpire e intimorire i lavoratori in lotta o che cercano di riorganizzarsi e, ancor più – come accaduto a Novara –  l’assassinio di un operaio e sindacalista da parte di un crumiro che ha forzato il picchetto con un camion, avrebbero suscitato nel pieno degli anni ‘70 del secolo scorso una reazione molto dura, diffusa e compatta.

Centinaia di migliaia se non milioni di lavoratori di tutti i comparti – metalmeccanici, edili, chimici, autoferrotranvieri, dei servizi ecc. – sarebbero scesi in piazza in tutto il paese, molto probabilmente sarebbe stato dichiarato uno sciopero generale, la risposta sarebbe stata altrettanto dura e organizzata anche all’interno dei singoli posti di lavoro e la mobilitazione si sarebbe protratta nel tempo. Gli esecutori materiali di queste aggressioni sarebbero stati individuati, isolati e in alcuni casi anche duramente “sanzionati” dagli stessi lavoratori per gli atti criminosi da questi commessi nei loro confronti.

Sto parlando di un’altra epoca. Un’epoca in cui esisteva un soggetto sociale organizzato chiamato Movimento Operaio con il quale tutti dovevano fare i conti. Era una forza sociale e politica in grado di far cadere i governi, di paralizzare l’intero paese con uno sciopero generale, di modificare gli assetti e gli equilibri politici, di spostare l’ago della bilancia, il baricentro politico, di “imporre” diritti sociali e sindacali e di condizionare tutta la politica.

Oggi quel grande soggetto non esiste più. La classe lavoratrice è stata divisa, spezzettata, frammentata in mille rivoli, precarizzata, ed è per questo che il brutale omicidio di Adil ha visto soltanto la risposta, molto limitata per quanto combattiva, di alcuni sindacati di base.

L’offensiva ideologica del capitale (oltre, naturalmente, al gigantesco processo di ristrutturazione dell’organizzazione del lavoro con conseguente trasformazione sociale) è stata negli ultimi quarant’anni potentissima ed è riuscita a distruggere il collante che teneva insieme quell’enorme massa di persone: la coscienza di classe. La consapevolezza di appartenere ad una classe sociale che lottando per difendere i propri diritti e per migliorare la propria condizione di esistenza avrebbe potuto determinare un cambiamento epocale, una trasformazione complessiva e comunque un avanzamento della società.

La distruzione di quella coscienza e del Movimento Operaio ci ha fatto arretrare di decenni, forse addirittura secoli. Un arretramento sia sociale che politico. Un contesto dove è stata annichilita la dialettica fra capitale e lavoro, dove il mondo del lavoro non ha più nessun peso contrattuale ed è di fatto privo di rappresentanza sia politica che sindacale, conduce inevitabilmente ad una crisi e ad un crollo verticale della democrazia. Oggi possiamo ben dire di vivere in una società liberale ma certamente NON democratica, perché la democrazia per essere tale ha necessità del conflitto sociale e che questo venga riconosciuto come motore stesso e cuore pulsante della società. Una società priva di dialettica politica (quella a cui assistiamo da molto tempo fra la destra e l’attuale “sinistra” è soltanto una farsa) e senza conflitto sociale è destinata a incancrenirsi, fino a morire, e con essa anche la democrazia.

La ricostruzione e la riunificazione del movimento organizzato del mondo del lavoro in tutte le sue più disparate declinazioni è oggi un imperativo categorico non solo per difendere i diritti di chi lavora ma per la tenuta stessa della democrazia.

E’ anche per questo che, dopo molti anni di impegno e di militanza “culturale”, soprattutto sulle pagine di questo giornale (L’Interferenza) ho deciso di tornare ad impegnarmi nella politica attiva, candidandomi, come indipendente, alle prossime elezioni amministrative per il rinnovo del Consiglio Comunale di Roma, con il Partito Comunista guidato da Marco Rizzo.

Camion forza blocco, investito e ucciso un sindacalista

Fonte foto: Avvenire (da Google)

 

 

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