L’inginocchiamento di fatto imposto ai calciatori contro il razzismo e in memoria del brutale assassinio dell’afroamericano George Floyd da parte di un poliziotto è una delle tipiche manifestazioni di ipocrisia della nostra società. Una società – soprattutto (ma non solo) quella nordamericana – dove da sempre la diseguaglianza sociale, le contraddizioni di classe e il razzismo (negli USA i neri sono il 12% circa della popolazione ma costituiscono quasi il 40% dell’intera popolazione carceraria) sono strettamente interrelate e hanno radici profonde nella storia di quel paese.
Il calciatori – divi miliardari assolutamente indifferenti ad ogni problematica sociale – per lo più si adeguano onde evitare problemi ed entrare in attrito con quel “palazzo” e quel sistema che li ha resi, appunto, dei divi.
Il loro inginocchiamento non ha nulla di spontaneo, nulla a che vedere con il nobile gesto dei tre campioni delle Olimpiadi del 1968 in Messico, Smith, Carlos e Norman che pagarono duramente, soprattutto l’ultimo, quel coraggioso e autentico gesto di protesta e di lotta contro il razzismo.
L’inginocchiamento dei calciatori è una ipocrita recita in pieno stile politicamente corretto.