Mentre il dibattito dei salotti buoni o meglio della società civile, nella quale si allietano artisti, intellettuali prêt-à-porter, vedette dell’ultima ora, giornalisti d’assalto, capitani d’industria e i politici dei buoni sentimenti, irradia corrucciate invettive per un caso di sessismo occorso durante la partita del cuore, il Governo dei competenti, della razionalità d’impresa, del buon senso comune, del sogno europeo che nel giro di poche ore ha ricompattato il glorioso Partito Unico Liberale, ha annunciato il tanto atteso sblocco del licenziamenti.
Insomma la Civiltà Progressista appare chiara nei suoi proponimenti etici. Le crisi le pagano i lavoratori. Questi lavoratori così poco cool in quanto categoria non assimilabile a una minoranza da salvaguardare e con cui addolcirsi la coscienza, saranno sacrificati sull’altare dell’efficienza. I Competenti così potranno continuare nello sviluppare le classiche politiche di inserimento sociale: incentivi alle imprese, all’imprenditoria giovanile, femminile, corsi di creatività per sfruttare il coraggio non manifestato adeguatamente, lezioni sulla cura nel reinventarsi perché gli eventi ingiusti non esistono, si chiamano “nuove sfide”.
D’altronde gli avvertimenti ideologici erano chiarissimi. Il Recovery Plan serviva a consolidare la Governance dei mercati. Renderla incontrovertibile, ancor più di quanto non lo fosse già.
Ma mica sarai tanto ingenuo da pensare che si potesse continuare nel vivere a sbafo con ammortizzatori sociali che aiutano solo a incentivare una cultura parassitaria? La via verso la mediocrità non è Giustizia, è assistenzialismo. Questo è l’armamentario argomentativo con cui da decenni si giustifica l’eliminazione dei diritti sociali universali, che vuol dire validi per tutti. Il diritto al lavoro è uno di questi.
Anche uno scolaro alle prime letture avrebbe compreso ormai che “i vincoli europei”, “le coperture finanziarie”, “il debito pubblico, “il giudizio dei mercati” appartengono a istituzioni politiche o a figure retoriche messe in piedi per annientare il diritto al lavoro e i diritti dei lavoratori. Che la disoccupazione deve essere strutturale, chi i salari devono essere competitivi, che la flessibilità aiuta i soggetti fantasiosi che si adeguano placidamente alle capacità taumaturgiche della pedagogia di mercato.
E pensare che al contrario, per noi obsoleti nostalgici, ogni disoccupato dovrebbe essere considerato un dipendente pubblico, perché questo la nostra Costituzione afferma con chiarezza e che la piena occupazione è uno dei compiti essenziali di politiche pubbliche ispirate alla giustizia sociale. Non sottopone infatti la stessa piena occupazione alla formazione di un “mercato fortemente competitivo”, locuzione utilizzata dai Trattati Europei che in questo modo ispirano il “sogno” del progressismo/reazionario. Quello che vuole dormire sempre con la coscienza pulita.
Quel mondo che oggi ha pensieri indignati per la partita di pallone o per un neonazista giustamente arrestato per atti di terrorismo che con la bacchetta magica diventa un altro giornalista/scrittore. Blogger, meglio. Dissidente, ovvio.
Fonte foto: Il Fatto Quotidiano (da Google)