La geopolitica può fare miracoli, già lo sapevamo e ora ne abbiamo l’ennesima conferma. E proprio grazie alla geopolitica Biden può vantare di essere il primo presidente degli Stati Uniti ad aver riconosciuto il genocidio armeno a distanza di ben 106 anni. Se non ce l’avesse detto lui non ne avremmo saputo mai nulla…
E’ ovvio che il presidente degli USA è interessato al genocidio armeno almeno quanto il sottoscritto alla numismatica, ma i media mainstream esistono appunto per convincere la gente che Cristo è morto di freddo e che la Von der Leyen è stata fatta sedere sul divano per ragioni di discriminazione sessuale…
La sua dichiarazione vuole essere un messaggio chiaro ad Erdogan che più o meno suona così: “Devi rinunciare all’ambizione di diventare una sorta di nuovo sultano di un resuscitato impero ottomano in grado di dominare su tutta l’area del Vicino e del Medio Oriente (diciamo pure dal Mediterraneo orientale al Caucaso) e devi rassegnarti ad essere una potenza regionale nostra alleata come le altre (Israele, Arabia Saudita)”.
Questo è l’ordine che viene dal capo dell’Impero (in realtà Biden, come altri presidenti nella storia americana, è solo una testa di legno; chi tira le fila sono i gruppi di potere che gli stanno alle spalle) al quale il caudillo turco deve fare buon viso. La strizzatina d’occhio agli armeni ha questo significato e non solo.
Gli USA vogliono riprendere il pieno controllo dell’area mediorientale – messa seriamente in crisi dagli esiti della guerra in Siria e dal ruolo crescente dell’Iran e soprattutto della Russia (senza il cui appoggio il governo siriano sarebbe crollato sotto i colpi dell’ISIS sostenuto dall’Arabia Saudita e dalla stessa Turchia) – senza che ciascuno dei suoi alleati in loco acquisti un peso eccessivo rispetto agli altri e, ovviamente, rispetto agli USA stessi. Saranno pure alleati – e indubbiamente lo sono – ma sempre meglio tenerli separati. In questo modo si ha buon gioco nel (provare a) tenere i riottosi turchi lontani dalle sirene russe e soprattutto cinesi che da tempo lavorano a nuovi canali e sbocchi commerciali nel Mediterraneo. Non è detto che ci si riesca, naturalmente, ma ci si prova. La Turchia, come noto, gioca su più tavoli, ha buoni rapporti economici con la Cina ma ancora migliori con la Gran Bretagna con la quale ha di recente siglato un accordo commerciale che abbatte i dazi doganali e che porterà ad un incremento enorme degli scambi già cospicui tra i due paesi; dopo la Germania, infatti, la Turchia è al secondo posto per quanto riguarda le esportazioni della GB.
La Turchia, del resto, è quella che ha una maggiore vis espansionistica rispetto agli altri stati alleati e forse superiore anche a quella di Israele e per questo deve essere tenuta a freno. Se gli concedi troppo margine di azione e di autonomia, Erdogan ne approfitta. Dopo quello della Von der Leyen ecco, dunque, un altro avvertimento. Ankara deve rinunciare all’idea di ricongiungere il proprio territorio con quello azero – cosa che potrebbe accadere solo annichilendo di fatto l’Armenia – per potersi proiettare fino al Mar Caspio. Un progetto visto di buon occhio dall’Azerbaijan non a caso rifornito di armi e droni proprio dai turchi (ma anche dagli israeliani) durante il conflitto aperto con l’Armenia. La posta in gioco sono ovviamente le vie di comunicazione e commerciali, di vitale importanza per il controllo e l’egemonia economica e politica nel e sul quadrante centro-asiatico.
Una partita estremamente difficile e complicata, come vediamo, che si gioca in uno scacchiere da sempre ancor più complesso come quello mediorientale. Una complessità che non poteva che accentuarsi in modo esponenziale in seguito al dissolvimento dell’URSS e alla comparsa di altri attori sulla scena, in un gioco di alleanze, vere o fasulle, più o meno solide o fittizie, spesso contradditorio e a volte apparentemente incomprensibile.
Insomma, Erdogan è avvertito. Vedremo i successivi sviluppi.
Fonte foto: Il Messaggero (da Google)