L’8 marzo nasce come una giornata di lotta internazionale delle donne. Poco conta per me, devo essere sincero, che quella ricorrenza sia fondata su una bufala perché – come spiegano in questo articolo due femministe militanti, Tilde Capomazza e Marisa Ombra (onore alla loro onestà intellettuale) https://www.linterferenza.info/editoriali/3409/ – quell’incendio non ebbe mai luogo e quella data fu inventata di sana pianta. Perché per me quello che conta è che ha rappresentato per lungo tempo un momento di lotta autentica di tante donne proletarie che lottavano per i loro diritti e per la loro liberazione insieme a tanti uomini, ai loro uomini, che lottavano per quegli stessi diritti e per quella stessa liberazione. Dallo sfruttamento, dall’oppressione di classe, dalla miseria, dalla brutalità dei loro sfruttatori.
Ma la festa dell’8 marzo, da molto tempo ormai, non ha più nulla a che vedere con tutto ciò, essendo stata ridotta ad una kermesse di regime, anzi di “sistema”, in linea con un femminismo del tutto declinato secondo le logiche dell’ordine sociale capitalista attualmente dominante. Un ordine sociale che si è disfatto del vecchio apparato valoriale-ideologico “vetero-borghese”, ormai del tutto inservibile e soprattutto inadeguato alla sua funzione, quello cioè di “falsa coscienza necessaria” per coprire, camuffare e giustificare quello stesso ordine sociale. Un ordine, o meglio, un dominio sociale che da almeno un trentennio a questa parte – diciamo dal crollo del muro di Berlino in poi (anche se il processo era iniziato già negli anni ’60 del secolo scorso) – ha scelto l’ideologia neoliberale e politicamente corretta, di cui il femminismo è uno dei mattoni fondamentali, come sua ideologia/falsa coscienza necessaria.
Chi non ha capito questo metaforico passaggio di consegne fra un apparato valoriale-ideologico ed un altro e insiste nel sovrapporre e nell’identificare l’attuale dominio sociale con la vecchia ideologia vetero borghese (il famoso “Dio, Patria e Famiglia”) non ha capito nulla, ma veramente nulla, dei processi avvenuti negli ultimi quarant’anni, per lo meno nel mondo (capitalista) occidentale. E mi scuso per il carattere perentorio di questa mia affermazione, ma è ciò che penso. Insistere con quella sovrapposizione/identificazione equivale a combattere l’attuale sistema capitalista con gli stessi strumenti interpretativi con cui avremmo combattuto il sistema feudale e contro il quale combatteremmo, se esistesse ancora. Peggio che andare a fare la guerra contro i mulini a vento, scambiandoli per mostri.
Parlare di “festa della donna”, non ha nessun senso, dal mio punto di vista, perché io non ho nulla da festeggiare con una Angela Merkel, una Ursula von der Leyen, una Christine Lagarde, una Kamala Harris, una Hillary Clinton e tante altre come loro. Non ho nulla da festeggiare con una capitalista, con una ricca borghese che sfrutta altre donne e uomini, con una diva di Hollywood o del “circo” mediatico e con tutte quelle donne che sono parte integrante, attiva e molto spesso dirigente dell’ordine sociale dominante. Per me parlare genericamente di donne, così come di uomini, non ha nessun senso.
E’ assolutamente necessario contrastare e superare questa guerra sessista e interclassista che è stata scatenata contro il genere maschile, contro tutti gli uomini, indistintamente, accusandoli di godere di una condizione di privilegio e di dominio per il solo fatto di appartenere al genere maschile. Questo non ha nulla a che vedere con la liberazione, delle donne e degli uomini. Questa è una palese deformazione della realtà del tutto funzionale e organica al sistema dominante. Contro quest’ultimo è necessario lottare e contro tutti e tutte coloro che lo rappresentano, a prescindere, ovviamente, dalla loro appartenenza sessuale.
Per queste ragioni, io oggi non ho nessuna ragione per festeggiare alcunchè.