Riceviamo e volentieri pubblichiamo da una nostra giovane lettrice:
Non c’è persona, con tutta probabilità, che non conosca il significato attribuito al 27 gennaio dalla comunità internazionale e della sua storica importanza, specialmente per il mondo occidentale, che sulla sua pelle ha vissuto le atrocità che vengono ricordate in questa occasione. E a prescindere dal titolo, l’intento di questo articolo non potrebbe essere più lontano dal voler gettare fango sulla Giornata della Memoria in sé, né tantomeno è scritto con l’intenzione di mancare di rispetto ai milioni di morti sopra citati. Quel che voglio fare, al contrario, è parlarne e descriverla come meriterebbe: una commemorazione che mai andrebbe sminuita e privata del suo ruolo, come molti, ultimamente, sembra abbiano intenzione di fare.
Il problema, per l’appunto, è che lo sminuimento del ruolo di un simile giorno è proprio quello a cui si assiste da molti, troppi anni, a prescindere dal modo o dal luogo in cui la si celebra.
Per comprendere meglio quest’ultimo punto basterebbe prendere in considerazione l’ambiente in cui chiunque entra in contatto con questa ricorrenza per la prima volta: quello scolastico. Naturalmente, in base all’età dell’alunno sarà diverso anche il modo di presentargli un argomento tanto delicato. Tuttavia, dopo tredici anni di scuola dell’obbligo, ogni studente che abbia conseguito la maturità avrà ricavato, in merito al Giorno della Memoria, le seguenti tre nozioni: si trattò di uno sterminio, ne furono vittime categorie discriminate – il contesto scolastico commette poi l’errore atroce di porre sempre troppa enfasi su una soltanto di esse, col rischio che le altre vengano dimenticate – e avvenne durante la seconda guerra mondiale.
Non c’è alcun errore, ovviamente, in nessuna delle tre affermazioni. Ma sfortunatamente, resta comunque un’amara verità: nonostante lo sforzo compiuto per insegnare alla popolazione tali fatti, una buona parte del senso del Giorno della Memoria viene comunque irrimediabilmente persa senza che nessuno sembri accorgersene.
Se prendessimo la definizione più economica e reperibile di questa ricorrenza, quella che ci viene offerta su Wikipedia, troveremmo questo:
“Il Giorno della Memoria è una ricorrenza internazionale celebrata il 27 gennaio di ogni anno come giornata per commemorare le vittime dell’Olocausto.”
Questo è ciò che chiunque, almeno in Europa, sa perfettamente; la maggior parte della popolazione si ferma qui e ritiene che tenere a mente questo sia il proprio dovere.
Se però si andasse oltre e si scavasse, magari fino al sito ufficiale della Camera o in giornali che riportino questo materiale, si avrebbe quel che cerco io: la definizione completa del Giorno della Memoria, divisa in due articoli della Gazzetta Ufficiale n. 177 del 31 luglio 2000. L’articolo 1 non dice nulla più dell’economico riassunto di Wikipedia, per cui mi limito a riportare il 2:
“In occasione del “Giorno della Memoria” di cui all’articolo 1, sono organizzati cerimonie, iniziative, incontri e momenti comuni di narrazione dei fatti e di riflessione, in modo particolare nelle scuole di ogni ordine e grado, su quanto è accaduto al popolo ebraico e ai deportati militari e politici italiani nei campi nazisti in modo da conservare nel futuro dell’Italia la memoria di un tragico ed oscuro periodo della storia nel nostro Paese e in Europa, e affinché simili eventi non possano mai più accadere.”
Le ultime tre righe, in particolare, riguardano quello a cui mi riferisco.
Ad oggi, a quasi ottant’anni dalla fine del secondo conflitto mondiale, sentir parlare di nazismo non fa certo piacere a molti. I più tendono a considerare la cosa come una grossa macchia su un passato che non gli appartiene o in cui erano appena bambini; lo si tratta come si tratterebbe la foto di un defunto, che si tira fuori ogni tanto ma che in fondo magari è meglio se resta in fondo al cassetto, dove la sua presenza non infesta la casa con la sua aria inquietante.
Se si provasse a far credere a molte di queste persone che il nazismo non è solo una foto nel comodino, probabilmente rifiuterebbero di crederlo o ci accuserebbero di esagerazione. La verità è che il neonazismo o lo si ignora del tutto o si fa finta di non aver sentito che esista, limitandosi a pensare che sia solo un’esagerazione dei giovani per tacciare qualche gruppo di estrema destra, mentre si mettono le tendine alle finestre, si spegne la candela e si va a dormire sonni sereni. Che il neonazismo sia, effettivamente, nazismo vero e proprio, con la svastica che brucia di antisemitismo e odio per il diverso, con la voglia di vedere il fumo tornare a uscire dai campi di un lager, è qualcosa che molti ritengono semplicemente incompatibile con la verità. La popolazione europea, stordita dalla pace duramente conquistata, ormai impreparata a uno stato di cose differente, stato che non affronta all’incirca da settantacinque anni, trova inaccettabile che esso non sia permanente. E se si sa qualcosa, e questo qualcosa non lo si accetta, se si tratta di un elemento con cui si crede di non dover avere a che fare per forza, semplicemente lo si sminuisce o lo si ignora.
Digitare la parola “neonazismo” su Google prenderà a chiunque meno di cinque secondi. Per vedere i risultati e farsi un’idea chiara della cosa, invece, potrebbero volerrci dalle due alle tre ore, anche di più se si vogliono fare le cose per bene. I dati non sono pochi, e a disposizione di chiunque vi sono decine di articoli, molti recentissimi, che gridano tutti la stessa identica cosa. Il pericolo, purtroppo, è reale e ben più vicino di quanto si pensi.
Un esempio aiuterà di certo a spiegarmi meglio, soprattutto se si tratta di un episodio di cronaca che due settimane fa ha scosso la popolazione mondiale: l’assalto a Capitol Hill da parte dei seguaci di Donald Trump. Dai media più seguiti, quelli da cui il 99% degli ascoltatori avrà sicuramente preso l’informazione, quegli assalitori sono stati definiti semplicemente come “sostenitori accaniti ed estremisti del presidente uscente Trump”. Nulla di sbagliato, in effetti, se si esclude la piccola omissione che oltre ai “semplici” uomini di estrema destra, l’edificio sia stato preso di mira anche da gruppi dichiaratamente neonazisti, con tanto di esibizione in bella vista di svastiche in fiamme.
Gruppi di questo genere, ovviamente, hanno messo le loro radici anche in Europa, e questo seme ha attecchito proprio nel continente dove già una volta lo si era sradicato promettendosi di rendere sterile un simile terreno. D’altronde, cospargerlo di sale una volta non basta, e se persino sul suolo di Carthago delenda è tornata vita dopo la sconfitta, non c’era alcuna garanzia che il nazismo sparisse definitivamente dopo il crollo della Germania hitleriana.
Gli assalitori di Capitol Hill potranno ancora sembrare lontani, troppo lontani per ritenerli un pericolo, ma anche spostandosi sul Vecchio Continente non si troveranno notizie molto rassicuranti. Francia, Spagna, Italia e, immancabilmente, Germania: notizie di arresti di sostenitori del nazismo, di sequestri di lotti di armi e ritrovamenti di divise delle SS sono reperibili su qualsiasi quotidiano e in qualsiasi lingua. Come detto, non si tratta di contenuti di difficile reperimento e chiunque abbia accesso a un computer riuscirebbe a visionarli. La verità, semplicemente, è che non li si cerca. Perlomeno, non abbastanza.
Il neonazismo non viene cercato perché è un argomento scomodo, di cui sappiamo poco e vogliamo sapere poco perché la prospettiva di scoprire di aver mentito a noi stessi, in tutta sincerità, non abbiamo voglia di affrontarla, e nemmeno sapremmo come fare. Da figli e nipoti di una società costruita sulle sue macerie, crediamo il nazismo come una sorta di Bastiglia di cui possiamo limitarci a calpestare le pietre; ascoltando quelle store orribili sulle ginocchia dei nonni, come bambini sempre protetti dalla propria famiglia, non sapremmo cosa fare se il mostro delle favole si rivelasse reale e decidiamo che nasconderci sotto le coperte risolverà il problema.
Il 27 gennaio è la data di una commemorazione riconosciuta e rispettata da innumerevoli governi europei. La settimana intera, in genere, è costellata di manifestazioni, discorsi, film ed eventi che la accompagnano e che aiutano a trasmettere il messaggio. Il problema, però, è il come lo si trasmette. Tutta l’enfasi del giorno della memoria è posto sulla riga e mezzo di definizione semplicistica reperibile su Wikipedia: il ricordo.
Ciò che quasi nessuno fa, invece, è onorare la seconda parte di una simile ricorrenza, o almeno farlo in modo corretto. Si tratta, a conti fatti, di un problema di comunicazione estremamente complesso, una lama a doppio taglio: l’eccessiva enfasi posta sul solo ricordo, responsabilità di chi comunica, si somma all’indifferenza dell’ascoltatore anche laddove, invece, si cerca di tenere fede all’impegno preso dalle istituzioni ad evitare il ripetersi del passato.
La verità è che molta gente, certe cose, non ama ascoltarle e ancor meno pensa di poterle vivere. E così si guardano film sulla vita nei lager, si ascoltano storie di anziani sopravvissuti, si osservano minuti di silenzio e si fanno ricerche sulle guerre e le armi, si legge “Il diario di Anne Frank”; nella Giornata della Memoria si ci si limita a mandare, spinti da uno scrupolo di coscienza, un pensiero veloce allo sterminio degli ebrei. Alle altre vittime non sempre, solo se chi si prende quel momento di riflessione ha cura di ricordarsene. Ma quelli di cui nessuno può o decide di non ricordare sono coloro che nel 2021 sono nel mirino di organizzazioni che al nazifascismo si ispirano con devozione, si ignorano con leggerezza le armi che vengono sequestrate sempre più spesso a questi ultimi. La verità è che molta gente, semplicemente, trova molto più conveniente, come si faceva alle medie, al momento di svolgere i compiti per casa, limitarsi a fare la ricerca su Wikipedia.