Riceviamo e volentieri pubblichiamo:
La pratica dell’Utero in Affitto o Gestazione per Altri, catalizza oggi dibattiti che coinvolgono posizioni ideologiche, politiche, religiose, visione della famiglia, dei costumi e della società, nel solito coacervo di accuse e strumentalizzazioni. Ma il vero nucleo psicologico, etico e ontologico della questione, è il suo intimo e profondo abuso sul neonato.
Il più intimo e profondo abuso
Il più intimo e profondo abuso sta nell’esperienza del neonato. Nel fatto che sottrarre ad un essere umano l’esperienza neonatale dell’accudimento materno pone in essere il più profondo abuso che si possa compiere su un essere umano. I primi anni del legame madre-neonato sono infatti un’esperienza formativa inalienabile. È l’esperienza che definisce l’imprinting, suggella l’attaccamento, fonda l’autostima e quindi la capacità di rapporti umani autentici. Un vissuto abbandonico in un momento così atavico mina l’autostima, la capacità di attaccamento, la sicurezza sociale, l’empatia, perfino le capacità cognitive e linguistiche della persona.
Al momento della nascita il neonato riconosce l’odore del capezzolo (simile a quello dell’utero) della mamma, il timbro della voce, il modo in cui la mamma lo tocca e culla, la quale rappresenta per lui la sua unica possibilità di sopravvivenza. Tra mamma e figlio appena nato si è già creato, e si intensifica, la reciproca produzione di ossitocina che regola l’allattamento, il legame madre e bambino come sistema integrato (Fonte OMS UNICEF).
Nulla nel neonato si percepisce ancora separato dalla madre. In quel calore odoroso unico ripone tutti i suoi bisogni e trovano riposo le sue angosce. Il neonato la riconosce come unica possibilità di restare vivo.
Quello di fare esperienza di quell’odore, del rooming, di quel latte che è unico al mondo (!) significa nutrimento e protezione, rassicurazione tattile, contatto e consolazione che solo la madre oggettifica, è un diritto ontologico, per il fatto stesso che è ciò che lo ha posto all’esistenza. Proprio perché il piccolo non sa ancora verbalizzare che essa è insostituibile.
Il trauma neonatale a cui è sottoposto l’individuo separato dalla mamma è esiziale. La madre non è il “caregiver”, ma per un certo periodo è olfattivamente e chimicamente il completamento identitario da cui il neonato sente dipendere la propria sopravvivenza, serenità e in seguito autonomia. Il trauma di una separazione così precoce è un trauma con il mondo intero.
La “gestazione per altri” è quindi un assurdo in termini e logica: per il neonato non ci sono altri i quali dovrebbero o potrebbero sostituire la mamma, perciò l’utero in affitto si configura come abuso programmato sull’individuo.
Bowlby ebbe modo di osservare gli effetti devastanti dell’esperienza precoce di privazione e separazione del bambino istituzionalizzato dalla figura materna; un evento che predisponeva alla manifestazione di disturbi mentali nella successiva età adulta. Insieme al suo collega James Robertson, inoltre, notò che i bambini sperimentavano un’intensa angoscia nel momento in cui venivano separati dalle loro madri, nonostante fossero nutriti e accuditi da altri (Cassidy, Shaker, 2002). anche Spitz studiò gli effetti dei bambini precocemente separati dalla mamma.
Possono essere illuminanti delle osservazioni contenute in un articolo cdi altro tema, il quale spiega la complessità e la delicatezza del percorso di adozione di un neonato tratto da un articolo della psicanalista Ivana De Bono, sul sito genitorisidiventa.org.
“Quanto emerge dalla ricerca nell’ambito delle neuroscienze ci permette di aprirci al tema (dell’adozione Ndr) con due considerazioni.
La prima è che quanto finora affermato entra inevitabilmente in contrasto con la diffusa convinzione che adottare un bambino molto piccolo, magari neonato, annulli o riduca al minimo la storia antecedente. Questa, al contrario, ha inizio dal momento del concepimento; è una storia che lascia una memoria inscritta nel corpo e che partecipa alla costruzione dell’identità del bambino”.
E ancora:
“Un bambino che sperimenta, alla nascita o successivamente, la separazione forzata dai propri genitori biologici, qualunque sia la motivazione, certamente vive una situazione traumatica, spesso con carattere cumulativo, che altera una condizione fisiologica di crescita e che determina una dinamica intrapsichica e relazionale che condiziona i futuri possibili attaccamenti a nuove figure genitoriali. Per comprendere come tracce dell’esperienza dell’abbandono possono rimanere nel vissuto intrapsichico e nel processo di maturazione individuale, occorre considerare le prime fasi evolutive della vita affettiva e mentale, non trascurando l’importanza che assume l’esperienza intrauterina.
La storia di un bambino comincia prima della sua nascita e prima ancora del suo concepimento. Il bambino immaginato dai futuri genitori si permea della loro storia individuale, delle loro dinamiche di coppia, della loro personale storia familiare e del loro proprio mondo mentale popolato di figure del passato e del presente, in una miscellanea di speranze, aspettative, timori, mancanze. Un neonato arriva quindi già immerso in una storia, già impregnato di proiezioni dell’adulto, ma anche di un vissuto che ha potuto avvertire all’interno del grembo materno attraverso canali sensoriali, vascolari e umorali. La madre, infatti, non trasmette solo nutrimento ed ossigeno, ma anche elementi attinenti al suo stato mentale ed emotivo che, come abbiamo visto, indirizzano fin dalle prime fasi di vita il comportamento del neonato in una complessa interazione con la sua dotazione genica”.
Purtroppo l’ideologia dominante ha annebbiato il nostro sentire, l’intuito e la memoria pre-verbale del nostro vissuto di neonati e bambini. Nel 1975 Pasolini scriveva che “la società permissiva non ha bisogno che di consumatori”; il timore di essere tacciati di discriminazione o di non essere favorevoli alla società dell’accondiscendenza etica, dove ogni desiderio è un diritto, ha ‘confuso’ anche molti psicologi, la cui professione si fonda ontologicamente e deontologicamente sul rispetto e l’integrità del legame tra madre e bambino, legame che incarna e prepara al rapporto tra l’individuo e la società.
Gli argomenti di coloro che sostengono la pratica dell’Utero in affitto
Alcuni sostenitori dell’UIA obiettano con l’argomento “del genitore migliore” affermando che in certi casi il genitore adottivo potrà essere più attento o sensibile di quello biologico. Anche nei casi in cui dovesse essere così, il bambino riconosce quello adottivo semplicemente come estraneo alla sua esperienza uterina. Chiunque non sia la madre non rappresenta nulla di vitale, nulla di significativo in termini chimici, biologici e affettivi per il piccolo. Dunque ciò che il bambino vive, e a cui non si può mentire in alcun modo, è l’abbandono.
Per legittimare l’utero in affitto alcuni utilizzano invece l’argomento delle “circostanze sfavorevoli” portando come testimonianze situazioni di abbandono e asserendo che “Il bimbo è cresciuto lo stesso”. È un po’ come affermare che dato che alcuni bimbi sono diventati adulti seppur in una famiglia violenta, allora possiamo picchiarli.
Perché un’istituzione o un governo o azienda dovrebbe decidere chi nascerà svantaggiato perché vittima di un trauma precocissimo e chi invece no? Dove sono le pari opportunità di poter intrattenere il rapporto biologico, etologico, psichico e affettivo con la madre?
Se il bimbo viene abbandonato dalla madre o la perde per motivi accidentali, le istituzioni, i servizi sociali e gli psicologi di competenza disporranno il da farsi e il piccolo dovrà attivare tutte le sue risorse per crescere. Ma non vi è governo, associazione o azienda al mondo a cui sia lecito intavolare il suo abbandono.
Conclusioni
Concludiamo che UIA non può che essere considerato reato universale contro il funzionamento etologico e psico-fisico umano.
Dal punto di vista filosofico non vi è peggior crimine contro l’umanità dell’utero in affitto in quanto avanza una concezione mercificabile dell’umano. E da quello psicologico non c’è più abominevole delitto contro il bambino che viene ordinato a terzi senza alcuno scrupolo per la sua esperienza di sentirsi al sicuro nel mondo.