La mattina del 9 ottobre, accompagno mia moglie Germana a fare un esame rognoso e invasivo: la famigerata “gastroscopia”. Poverina, soffre da ormai più di 25 anni di una stenosi grave dell’esofago nota come “Acalasia”, della quale pare fosse malato pure Charles Darwin.
Per scherzare le dico che è una malattia professionale visto che anche lei è biologa; ogni tanto dopo l’intervento chirurgico di 15 anni fa deve controllare la situazione del “tubo” e deve fare il controllo proprio con uno specialista che la curò al 4° padiglione chirurgico del “Policlinico Umberto I”.
Li ci presentiamo dopo esserci districati nel labirinto “moderno-feudale” di questo monumento della “complessità clinica”. Al piano terra, in una polverosa stanza-archivio con cataste di fascicoli un distinto-coatto ci dice con rudezza la verità:“L’ambulatorio endoscopico sta de sopra ma la Direzione Sanitaria l’ha chiuso stanotte”.
Poveraccia: Germana sbianca, sono due giorni che non mangia e non ce la fa neanche a fare la rampa di scale visto che il primo ascensore disponibile sta a 200 mt. Comunque riusciamo ad arrivare di sopra: “Chiuso”. Un’infermiera gentile mossa a compassione ma anche un po’ impaurita dalla folla di gastro-sofferenti che si va formando contatta la “Direzione Sanitaria”, e poi l’intero corteo, attraversando centinaia di metri nei celebri corridoi neoclassici dissestati arriva nell’ufficio della mitica “Direzione” nell’edificio centrale, quello pieno di “capoccioni di luminari” e di timori, bellissimo, e che mi fornisce le immagini dei luoghi de “La nascita della clinica” di Foucault. Insomma, forse c’è possibilità alla I clinica chirurgica, la celeberrima “Valdoni”, forse nel pomeriggio quando i digiunanti comincerano a sbranarsi tra loro, e poi non c’è il medico di mia moglie. “Altrimenti lasciate il nome e verrete richiamati.” Bene, la rabbia sbiadisce in rassegnazione e andiamo a casa! E’ un piccolo “tocchetto”.
Nottetempo
Forse bastava un SMS ma certo la “Direzione” ha dovuto agire nottetempo, come i “Soliti ignoti”. Comunque abbiamo visto le macchine pronte e pure accese e ci siamo chiesti: la spending review? O magari qualche norma europea sul trattamento dati, su altre scartoffie da riempire e liberatorie da approntare e firmare per evitare quelle scartoffie (tipo la liberatoria prima dell’anestesia che “strigni-strigni” significa: “Se mori, in finale, mori te”, giustissimo ma perché devo firmà una cosa che già sapevo)? Oppure nuovi standard di sondini –sempre ‘mpicci europei- cioè li dovete comprà novi, quindi il contrario della “review”? Mo però su du piedi non li abbiamo! Insomma il caos canonico della sanità e la promessa della fine della sua funzione pubblica .
Ridare prezzo alla medicina
Ora, la medicina ha il privilegio unico di agire sui corpi, cioè di ri-abbassare il fare umano dalla società alla natura; in qualche misura deve sempre tenere a sua misura e limite non problemi di crescita quantitativa (economia) o di organizzazione sociale (politica) o ancora di elaborazione di simboli (cultura\religione) ma la morte, cioè il limite vero. Perciò la sanità –la somministrazione sociale della medicina- è luogo di mediazione tra quel limite e i limiti “indeterminati” della prassi umana. Questo imporsi del ruolo mediativo è successo, come appunto descrive Foucault all’inizio della modernità, poi nel “secolo breve” (1949-1989) c’è stato l’impetuoso allargamento alle masse della medicina, quel processo che Ivan Illich chiama “medicalizzazione monopolistica della società”, e si può anche vedere strettamente connessa alla fortuna “quantitativa” del keinesismo che sotto il profilo medico è il servizio pubblico capillare per aumentare la quantità di vita. Con “la società che non esiste” annunciata da Mrs. Thatcher, dopo “l’age d’or” del secolo breve” (1945-1972), si avvia l’oggi. La medicina di massa ha creato inflazione abbassando il suo “prezzo”, occorre in epoca post-moderna, dove cioè i beni materiali sono stati saturati, renderla un buon affare “capitalistico” ovvero occorre creare le premesse “tipiche” dell’accumulazione, la penuria di un bene per riottenere uno “scambio prezioso”. E’ il meccanismo perverso sul quale ragionano i “beni comuni” solo che qui c’è la complicazione di una “prassi alta” e non solo l’accesso ad un bene naturale come l’acqua.
Indicibili “tocchetti”
C’è questa direzione degli avvenimenti, che prospetta un “Capitale” orchestratore, ma a mio avviso c’è un livello inferiore “indicibile” che solo gli autori della “decrescita” affrontano. Riemerge lo spettro di Malthus della sovrappopolazione –in via di contenimento nella quantità della popolazione ma elevatasi esponenzialmente nei consumi- che può risolversi solo o con la redistribuzione o con la “decimazione”. Ovviamente l’approccio profittevole descritto deve lasciare lo status quo e prospettare una salute per pochi, un bene di lusso. In parte questo è il modello “americano”, che infatti nel suo prosaico cinismo e nella ferina selezione sociale ha sempre ben avuto presente il “darwinismo sociale” del reverendo demografo. D’altra parte occorre rilevare anche qui, come in altri ambiti, il rischio per il “capitale” di deprimere troppo velocemente i consumi, in questo caso di far uscire troppo in fretta il gregge dalla “disciplinarietà medica”, cioè di farlo disabituare al medico o di tornare a rivolgersi alla “magia”, rompendo una relazione di scambio che invece come “forma” va mantenuta rendendola commerciale nella “sostanza” . Perciò non c’è un dire, una chiara esplicitazione di una prospettiva “triste” ma un imbocco, un tocco qua e là come il bastone leggero del pastore quando riporta nell’ovile le pecore che continuano a brucare e si rendono conto di star dentro solo dopo, senza consapevolezza del transito. Tocchetti qua e là, oggi niente analisi, poi domani magari un po’ meglio, ogni tanto una proposta di assicurazione magari sempre più accogliente –ad es. l’UNIPOL ha fatto una proposta anche a me, ex-oncologico, per loro un tempo appestato-. Tocchetti, cenni, poi il gregge capirà il destino ma sarà già domenica di Pasqua.