Scriverò nei prossimi giorni un’analisi più articolata sulle elezioni americane.
Per ora solo due parole, tanto per capirci.
Con la vittoria dei dem e l’elezione di Biden il sistema capitalista/imperialista occidentale a dominio USA torna – dopo la parentesi reazionaria trumpista – ad essere egemonizzato dalla fazione neoliberale (in Europa lo era già). Ciò conferma – mi scuserete la presunzione – la tesi che sostengo da tempo e che ho spiegato nel mio libro “Contromano. Critica dell’ideologia politicamente corretta”.
L’attuale “dialettica politica” (sto nobilitando quello che è sostanzialmente un teatrino dove ciascuno è chiamato a recitare la sua parte) è caratterizzata dalla competizione fra la destra reazionaria, cosiddetta populista, nazionalista, sovranista (solo a chiacchiere…) da una parte e lo schieramento neo liberale, più o meno di centro o centrosinistra o di “sinistra”, progressista (sarebbe da chiedersi cosa significa questa concetto oggi…), “cosmopolita”, politicamente corretto e femminista.
Si tratta, come è evidente (ma a tanti fessi ancora non lo è…), di due facce della stessa medaglia. Il sistema capitalista infatti non è né di destra né di “sinistra”, né maschilista né femminista, può essere a guida reazionaria come a guida liberale, razzista o antirazzista, in base alle necessità e alla convenienza. E’ stato razzista quando la divisione mondiale del lavoro richiedeva ancora la manodopera di schiavi, è diventato antirazzista quando quella stessa divisione del lavoro richiedeva il passaggio ad una “superiore” organizzazione del lavoro (appunto, il lavoro salariato tout court). E’ stato “vetero borghese” (Dio, Patria e Famiglia) quando le necessità storiche e sociali lo richiedevano, ed è ora “progressista e politicamente corretto” perché giunto al suo attuale stadio di sviluppo ha bisogno di una ideologia più funzionale ai suoi interessi e al consolidamento del suo dominio. Ha optato per soluzioni autoritarie, reazionarie e molto spesso apertamente fasciste quando le necessità lo imponevano, cioè quando si sentiva minacciato. Torna ad essere liberale quando si sente forte o più forte e non teme per la sua sopravvivenza/riproduzione.
In questa “dialettica” le destre fungono sostanzialmente da spauracchio, proprio al fine di convogliare i consensi sullo schieramento liberale e neoliberale e permettergli di essere egemone politicamente e ideologicamente. I ceti sociali di riferimento delle due fazioni si sono in larga parte sparigliati, come si suol dire. Lo schieramento liberale e neoliberale è chiamato a rappresentare gli interessi del grande capitale multi e transnazionale e il suo elettorato è formato in larga parte da una media borghesia garantita, “progressista e illuminata” e in parte anche da alcuni ceti popolari, molto spesso dipendenti pubblici ma anche privati, comunque lavoratori stabili con contratto a tempo indeterminato. Lo schieramento reazionario rappresenta invece il capitale nazionale, la vecchia borghesia che non è riuscita ad entrare nel salotto del grande capitale internazionale e il suo elettorato è formato da settori popolari, spesso marginali, commercianti, professionisti, piccoli pseudo imprenditori, in realtà lavoratori subordinati o parasubordinati non garantiti e figure sociali variegate e frastagliate, figlie della frammentazione sociale e del lavoro avvenuta negli ultimi trent’anni.
L’attuale dialettica politica è caratterizzata dalla competizione fra questi due schieramenti, ovviamente entrambi egemonizzati dai ceti sociali dominanti, dalle forze borghesi (è il caso di utilizzare questo termine considerato da tempo desueto) differentemente collocate nell’uno o nell’altro in base ai propri interessi (di classe). I lavoratori, le masse popolari, nell’attuale fase storica, in questo “gioco”, sono del tutto a traino, prive di una rappresentanza politica (perché totalmente sprovviste di coscienza di classe e quindi incapaci di costruire una propria autonomia politica in quanto classe) completamente escluse da questa dialettica che le vede del tutto subalterne.
Lo smarrimento e la perdita di coscienza di queste ultime è dovuto proprio alla confusione ingenerata dal sistema e dalla sua falsa dialettica fra la destra e l’attuale “sinistra” che fa sì che molta gente in buona fede scelga di collocarsi nell’uno o nell’altro schieramento pensando che questo o quell’altro possa rappresentare i suoi interessi. E così che molte persone di estrazione popolare finiscono per indirizzare i loro consensi alla destra che millanta di essere antisistema, così come molte altre (il caso americano è emblematico, penso ad esempio alla mobilitazione dei neri) si rivolgono invece alla “sinistra” pensando che questa rappresenti quegli ideali di cambiamento e trasformazione sociale quando in realtà – forse più ancora della destra – è proprio quella individuata dalle classi dominanti come la più adatta mantenere la pace sociale e a garantire la “governance”.
Il compito di ciò che resta dei marxisti, dei socialisti e di chiunque si rifiuti di arrendersi all’idea che la “storia sia finita” e che il capitalismo sia l’approdo finale dell’intera storia del genere umano, è spiegare la truffa ideologica e politica di cui sopra nella quale siamo stati gettati.
Coloro che esultano per la vittoria di Biden e, incredibilmente, coloro che invece (anche a sinistra) si rammaricano per la sconfitta di Trump, non hanno capito nulla di quanto avvenuto negli ultimi trent’anni, per lo meno dalla caduta del muro di Berlino in poi.
Mi scuso per la perentorietà ma è quello che penso e non posso farci nulla. Ho tanti difetti ma non sono un ipocrita.