Arrestato nel 2014, il professor G.N. Saibaba veniva condannato all’ergastolo nel 2017 (in base alla legge antiterrorista UAPA) per presunti legami con il Partito comunista dell’India (maoista). O più esattamente per legami con la guerriglia maoista.
Con lui vennero processate altre cinque persone: il giornalista Prashant Rahi, Hem Mishra (studente alla Jawaharlal Nehru University) e i tribali Pandu Pora Narote, Mahesh Kareman Tirki, Vijay Tirki.
Tutti (tranne Vijay Tirki a dieci anni) condannati all’ergastolo.
Ex insegnante d’inglese presso la Delhi Universitty, quello che forse è il prigioniero politico più conosciuto dell’India sta ora scostando la pena nel carcere di Nagpur (Stato di Maharashtra).
Di salute alquanto fragile, già l’anno scorso i medici avevano diagnosticato una ventina di patologie (tra cui problemi cardiaci tali da metterne a repentaglio la vita, calcoli ai reni, una ciste nel cervello, infezioni urinarie…). Inoltre i nervi della sua mano sinistra, molto danneggiati, sono causa di continua sofferenza e avrebbe assoluta necessità di una costante fisioterapia.
La sua pena viene poi ulteriormente appesantita dall’handicap (al 90%) di cui soffre. Per cui la sua mobilità autonoma è ridotta ai minimi termini e vive praticamente segregato nella sedia a rotelle.
Con malcelata crudeltà, per lungo tempo la sua cella è stata mantenuta esposta al freddo (non è dato di sapere come sia attualmente) con rischi di congelamento.
Dal 21 ottobre Saibaba è entrato in sciopero della fame. Una risposta, la sua, all’ostinato rifiuto della direzione carceraria di consentirgli l’accesso a cure mediche basilari e assolutamente non procrastinabili. Non solamente per impedire ulteriori peggioramenti della sua già precaria salute, ma perché la sua stessa vita è in serio pericolo.
Con tale protesta intende opporsi anche alle assurde restrizioni adottate nei suoi confronti. Non può – tra l’altro – far uso di libri e nemmeno leggere le lettere inviate dai amici e familiari.
A questo, così come per ogni altro detenuto, è venuta ad aggiungersi l’epidemia di Covid-19 con il conseguente isolamento e l’impossibilità di ricevere visite sia dai parenti che dagli avvocati.
Prima dell’arresto Saibaba si era esposto pubblicamente nel condannare la milizia Salwa Judum (una sorta di squadra della morte contro tribali e naxaliti) e le molteplici violazioni dei diritti umani avvenute nall’ambito dell’Operazione Green Hunt.
All’epoca la sua avvocata, Rebecca John, dichiarando la sua intenzione di fare appello contro la sentenza, aveva spiegato che “non esiste assolutamente alcuna prova contro di lui. Nè di un suo ruolo in azioni violente, né di incitamento alla violenza, né di partecipazione alle attività dei maoisti. Se lo Stato vuole penetrare nell’anima stessa di una persona, interpretarne l’ideologia, si arriva – grazie al Unlawful Activities Prevention Act – a queste genere di sentenze”.
Questo non è il primo sciopero della fame intrapreso da Saibaba. Nel 2015 ne aveva iniziato un altro, sempre per protestare contro la mancanza di cure e di una alimentazione adeguata alla sua situazione sanitaria.
Anche a causa delle azioni di protesta, le sue condizioni di salute si erano ulteriormente aggravate, in particolare verso la fine del 2018.