Uno dei mantra più ripetuti dai cantori ufficiali e non dell’ideologia neoliberale dominante è quello che sostiene che il sistema capitalista sarebbe quello che più di altri premierebbe il merito e le capacità individuali. Da qui l’altro mantra ossessivamente ripetuto, da più parti, sul concetto di “meritocrazia”.
Il merito, cioè le capacità individuali, non verrebbero oggi premiate, per lo meno come dovrebbero, proprio perché la società attuale non sarebbe ancora sufficientemente capitalista. Da qui la necessità di una ulteriore “rivoluzione liberale”.
Il tutto si traduce in una richiesta di privatizzazione (e di smantellamento) di tutto ciò che è pubblico: welfare (letto come assistenzialismo), pubblica amministrazione, trasporti, aziende municipalizzate, sanità (abbiamo visto con quali risultati in questa drammatica fase di covid proprio dove il sistema sanitario è stato in larga parte privatizzato…).
Ora, la mia opinione è che non sia affatto vero che il sistema capitalista premi i migliori, cioè i più capaci (i più intelligenti, colti, preparati) ma i più rapaci e i più spregiudicati (definiti i più intraprendenti…). Certo, ogni tanto (il famoso “uno su mille ce la fa”), magari in alcune fasi anche di frequente, alcune persone effettivamente valide, senza beni al sole o famiglie ricche e solide alle spalle, riescono ad ottimizzare le loro qualità. Del resto, guai se così non fosse perché il sistema verrebbe a perdere la sua credibilità che si fonda proprio su quella possibilità teorica e, a volte, concreta. Ma non c’è altrettanto dubbio che per una persona capace di modeste origini che riesce ad affermarsi socialmente ce ne sono tante altre, altrettanto capaci, che non ci riescono, o perché non hanno le condizioni o perché non vengono messe nella condizione di affermarsi. E’ inevitabile che ciò accada, in qualsiasi contesto sociale, economico, storico, politico e culturale? Può darsi, non lo so, non c’è mai limite al meglio. Siccome però si dice che quello attuale sarebbe “il migliore dei contesti possibile” e l’unico in grado di garantire quella possibilità, mi permetto di avanzare il mio “dubbio radicale”.
E allora mi chiedo, sardonicamente: perché i cantori del merito e della “meritocrazia (quasi fosse una categoria filosofica…) prima di invocare a gran voce la privatizzazione anche dell’aria, non chiedono l’abolizione del diritto di eredità? Se ci pensiamo, non c’è nulla di più anti meritocratico del diritto di eredità e di intrinsecamente contraddittorio rispetto ai principi cui in linea teorica si ispira l’ideologia capitalista. Eppure è uno dei capisaldi di questa società e nessuno, mai, lo ha messo in discussione.
Infatti, ammettendo anche che chi si è arricchito originariamente lo abbia fatto in virtù delle sue sole capacità e non sfruttando il lavoro altrui o rubando terra e risorse ad altri, per quale ragione i suoi discendenti dovrebbero possedere le stesse capacità?
Come vediamo, il diritto di eredità è anzi ciò che c’è di più prossimo ad una logica familistica e feudale, quanto di più lontano, almeno in teoria (molto in teoria…) dovrebbe esserci dall’”etica” (è un eufemismo, il capitalismo tutto è tranne che etico…) capitalista del “fai da te” e del “farsi da soli, con le proprie mani”.
Una contraddizione in termini sulla quale però non si riflette mai o quasi mai e che più di altre polverizza quell’idea di “merito” di cui sopra. Si dice – lo sostengono anche i liberali – che tutti debbano avere le stesse opportunità. E allora si traducesse questo principio nella realtà. Che i discendenti, mogli, figli, nipoti e quant’altro dei tanti Paperoni e “Paperini” che ci sono al mondo partissero da zero, come hanno fatto i loro padri o nonni, dimostrassero di essere in grado di raggiungere la posizione economica e sociale “conquistata” (bisogna vedere come, ma insomma, ci siamo capiti…) dai loro padri e nonni solo in virtù delle loro capacità.
Mi pare un discorso coerentemente liberale (fatto da un marxista… :- ), o no?