Pochi giorni fa abbiamo pubblicato sull’Interferenza un articolo su Rossana Rossanda in occasione della sua scomparsa. Io stesso avevo dato indicazione ad un nostro redattore di scrivere il pezzo. Ma non ero al corrente di alcune sue posizioni che considero molto gravi. Se le avessi conosciute – e mi scuso per l’ignoranza – è probabile che avrei scelto di non pubblicarlo.
Sia chiaro, si è trattato di un atto dovuto, come si suol dire, nei confronti di quella che è stata comunque una autorevole dirigente e intellettuale comunista del secolo scorso, nell’immaginario comune considerata una eretica.
Lo era senz’altro ai tempi in cui ruppe (fu espulsa) con il PCI e diede vita al gruppo e al giornale del Manifesto. La rottura si verificò in seguito all’intervento militare dell’URSS e del Patto di Varsavia nella ex Cecoslovacchia e sul giudizio critico che la Rossanda e il gruppo che diede vita al manifesto esprimevano sull’Unione Sovietica e l’intera esperienza del socialismo reale. Ma al di là di questo era tutta la linea e la strategia politica del PCI che veniva messa in discussione, non senza valide ragioni peraltro, nelle quali ora non entro perché l’oggetto dell’articolo è un altro.
Trascorsa quella fase che durò fino alla fine degli anni ’70, mi pare che tutto si possa dire della Rossanda tranne che fosse un’eretica. Infatti, anche se tardivamente (e tutto sommato, non in modo estremista come altre sue compagne) aderì formalmente e di fatto al femminismo. E tutto si può dire di quest’ultimo tranne che sia un fenomeno eretico dal momento che è diventato un mattone fondamentale dell’ideologia neoliberale attualmente (da almeno una trentina d’anni, cioè dal crollo del muro di Berlino in poi) dominante. E l’adesione al femminismo della Rossanda coincide proprio –e non casualmente – con la crisi e lo sgretolamento del blocco sovietico e del movimento comunista internazionale.
Fu un errore teoretico, analitico, interpretativo e politico molto grave, dal mio punto di vista, per una intellettuale comunista della sua levatura non capire quale fosse la natura reale del femminismo, destinato a diventare un tassello fondamentale dell’ideologia neoliberale attualmente dominante. Tuttavia, a sua discolpa, diciamo così, è anche vero che non è esistito in tutti questi anni un solo intellettuale della Sinistra, di qualsiasi corrente, filosofica e/o ideologica, pubblicamente riconosciuto, uomo o donna che sia, che abbia osato avanzare una critica al femminismo, con la sola eccezione di Costanzo Preve che però è rimasto in superficie, sotto questo profilo, e non ha affondato il bisturi come a mio parere avrebbe dovuto. Solo oggi, anche se ancora sotto traccia, qualche intellettuale di formazione marxista, socialista e comunista (oltre al sottoscritto che ha cominciato da tempo), sta cominciando ad elaborare una critica articolata e compiuta al femminismo. C’è inoltre da dire che per una donna dell’epoca, militante e dirigente di una sinistra post comunista e post sessantottina, l’adesione al femminismo avveniva quasi per default. Per lo meno in una primissima fase era giustificabile. Non dopo…
Non sapevo però – e mi scuso con tutti/e per la mia ignoranza – delle sue posizioni in appoggio alle guerre imperialiste contro la Libia e la Siria. Del resto erano molti anni che non la seguivo più. Il mio ricordo della Rossanda, come dicevo era legato alla sua frattura con il PCI e alla fase degli anni ’70 e primi ’80. Poi, per la verità, l’ho persa di vista (e a giudicare dalle sue scelte successive e da quanto ho appreso non mi sono perso molto…).
Ora, se può essere comprensibile da un certo punto di vista (si fa per dire…), per le ragioni di cui sopra, l’adesione al femminismo, non è giustificabile in alcun modo l’appoggio, diretto o indiretto (ma anche un atteggiamento ambiguo…) alle guerre imperialiste della NATO e degli USA. Questo è assolutamente ingiustificabile e intollerabile. La guerra (imperialista) è uno spartiacque: o di qua o di là. Non possono esserci mediazioni.
Questo conferma – come del resto già sapevamo – la relazione simbiotica tra l’ideologia femminista e politicamente corretta e quella neoliberale e neoliberista di cui la prima è parte organica.
Non dovrei quindi stupirmi delle posizioni assunte (anche) dalla Rossanda, e infatti non me ne stupisco, semplicemente non ne ero al corrente. Pensavo che la tradizione e la formazione comunista ricevuta fosse una garanzia per non arrivare a tanto, ma non è stato così.
E’, dunque, evidente che in quella frattura che vide la cosiddetta “nuova sinistra” rompere con il PCI e con il movimento comunista c’erano già i germi di ciò che quella “nuova sinistra” sarebbe diventata. La Rossanda non ha fatto eccezione e questo mi dispiace da un punto di vista umano ma non posso fare a meno di sottolinearlo dal punto di vista politico.