L’inizio del nuovo ed incerto anno scolastico non è esente da polemiche, apparentemente minori, ma che, in realtà, sono dettagli che svelano “la totalità”, in cui siamo immersi. I fatti del liceo Socrate di Roma con la vicepreside che invita le trasgressive alunne a vestirsi con maggiore morigeratezza, altrimenti “cade l’occhio del professore” sono esplicativi del capitalismo della seduzione. La violenza (Gewalt) non è solo “il bombardamento etico” e la “precarizzazione atomistica, violenza è, anche la seduzione narcisistica, fenomeno che alligna negli uomini come nelle donne, ma è diventato per le donne il trofeo trasgressivo ed irriflesso della loro emancipazione. In primis, le studentesse del liceo Socrate, come qualsiasi studente e studentessa, dovrebbero aver imparato che ci sono una pluralità di registri linguistici, la lingua è funzionale al contesto, esattamente come l’abbigliamento. Non aver imparato questo in un liceo classico è inquietante. Forse, anche il “no” della vicepreside è fuori contesto, in quanto il “no” improvviso, in un contesto di “sì” generalizzato è vissuto in modo inadeguato. La reazione delle studentesse, il loro affermare che si vestono come vogliono, fa di loro non certo delle trasgressive o rivoluzionarie, ma delle conservatrice organiche al capitale che si connota per l’individualismo estremo e violento. La parola individuo che regna ovunque, è la nostra verità, è speculare alla parola atomo in greco, significa, dunque, l’ultima parte scissa da tutto.
Il diritto a vestirsi secondo il proprio desiderio ed identità dev’essere mediato dalla razionalità e dalla relazione con l’altro. Non si può pretendere di affermare i propri gusti, anche in abbigliamento, senza considerare gli effetti ed i contesti. L’abbigliamento non è un elemento neutro, comunica qualcosa di noi all’altro, per cui l’altro non può essere ridotto a semplice spettatore di un’ostentazione, di un ammiccare e ritrarsi, l’altro esiste, e bisogna consideralo, pensarlo. Se l’effetto che si vuole ottenere è di sedurre in modo indiscriminato, bisogna porsi il problema se tale narcisismo infantile vada incentivato e sostenuto in nome del diritto a tutto, in cui l’altro è niente, è solo lo spettatore di una corporeità da palcoscenico. A scuola inoltre si va per imparare, non per una darwiniana lotta estetica alla più bella o al più bello. Vi è, in tale individualismo estremo, una deriva razzista che le donne non colgono più, poiché si inaugura il principio che la più bella prende tutto, e che quindi le qualità interiori e la preparazione sono valori secondari. Non si tratta di colpevolizzare, in quanto sono soltanto il veicolo imitativo di ciò a cui assistono quotidianamente in Tv, sui giornali, sui social, ovunque è il diritto a tutto a campeggiare, il mito della seduzione narcisistica a primeggiare. La seduzione, per tradizione, esige spazi e tempi specifici, e specialmente era finalizzata alla creazione di relazioni, ora, invece è dominio narcisistico, sussunzione/imposizione di un corpo sull’altro. Il capitalismo totale prescrive la competizione in ogni gesto della propria vita. La seduzione dalle parole al corpo esposto senza limiti è parte della logica del mercato, in cui ognuno mette sul mercato ciò che può. Il problema è che manca la mediazione razionale, e dinanzi a tali tematiche, le famiglie come la scuola tace. E’ in gioco la libertà, ma vi sono molti modelli di libertà, il modello scelto dal capitalismo è l’affermazione atomistica dei propri desideri a prescindere dall’altro e dal contesto, ma vi è anche la libertà nella relazione, in cui si fa un viaggio in se stessi mediante la conoscenza dell’alterità. La libertà che il sistema ha scelto è la solitudine narcisistica.
Bisognerebbe riaprire “la catena dei perché”, per decodificare il presente e comprenderlo senza slogan ribelli che assomigliano sempre più agli slogan irriflessi della pubblicità[1]:
“È necessario dunque “riaprire la catena dei perché”. Prendo a prestito questa espressione del defunto Franco Fortini, che mi onorava della sua stima e della sua amicizia (e che non avrebbe quasi sicuramente condiviso né la lettera né lo spirito di questo saggio). Quando nel 1956 il sinedrio dei gran sacerdoti del comunismo, capitanati dal mediocre contadino ucraino Nikita Krusciov, decise di detronizzare il papa georgiano defunto Giuseppe Stalin, Franco Fortini scrisse che bisognava “riaprire la catena dei perché”, a cominciare ovviamente dai perché fondamentali rimossi, ed aprire un dibattito liberatore fra tutti coloro che praticavano il marxismo, sostenevano il socialismo e credevano nel comunismo”.
Libertà è comprendere la genealogia dei fatti e responsabilizzarsi di fronte ad essi, tale è il fine della formazione. Si dovrebbe andare a scuola con questo obiettivo, naturalmente, affinché ciò avvenga bisogna riaprire la catena dei perché, anche in relazione a questi fatti minori. La catena dei “perché” è ora sotto le macerie dell’individualismo e del didatticismo acefalo. Esso è fondamentale per il vivere civile, per creare un clima di comunità, quale luogo di accoglienza e non di seduzione generalizzata dietro la quale si celano immensi apparati economici, che sostengono la valorizzazione della merce e la svalorizzazione della persona. La mente a più dimensioni e critica è capace di capire le differenze delle varie contingenze, mentre il pensiero unidirezionale livella ed omologa per impedire ogni processo razionale ed etico.
[1] Costanzo Preve, Marx e Nietzsche, Petite Plaisance, Pistoia 2004, p. 5
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