MENTRE LO STUPRATORE – IN DIVISA – DI UNA RAGAZZA CURDA E’ GIA’ TORNATO IN LIBERTA’ ,
EBRU TIMTIK, DONNA CURDA E AVVOCATO, MUORE IN SCIOPERO DELLA FAME
La notizia del suicidio di Ipek Er, giovane donna curda (18 anni) in precedenza violentata da un militare turco, era talmente brutale che sul momento non me la sentivo di scriverne.
Come se fosse una mancanza di rispetto sia per lei, la vittima, sia nei confronti dei suoi famigliari. Quasi un “dare in pasto al pubblico” una tragedia così privata.
Ma a tutto c’è un limite.
La notizia ultima è che lo stupratore in divisa, Musa Orhan, arrestato da una settimana, è già stato rimesso in libertà.
Ricapitoliamo. E’ cosa nota e risaputa che per le forze di occupazione in Bakur (il Kurdistan sottoposto all’amministrazione turca) quella dello stupro è una prassi abituale, una forma di intimidazione nei confronti delle donne curde in particolare e della popolazione in generale. Diciamo pure un crimine di guerra, dato il contesto, oltre che un crimine contro l’Umanità.
Musa Orha, sergente maggiore dell’esercito turco aveva commesso tale reato nella provincia di Batman.
Ipek Er , ricoverata in ospedale per un tentativo di suicidio il 16 luglio, aveva denunciato di essere stata sequestrata e violentata per venti giorni dal militare. Un mese dopo, il 18 agosto, era deceduta in conseguenza del suo estremo atto di disperazione e ribellione.
Ancora prima del decesso, la notizia della violenza inferta a Ipek Er aveva suscitato vasta indignazione.
Dalle reti sociali era partita una precisa richiesta affinché il soldato stupratore venisse incarcerato (vedi l’hashtag#MusaOrhanTutuklansın).
Arrestato il 19 agosto su denuncia della famiglia della giovane curda – e nonostante il rapporto medico-legale avesse confermato lo stupro – il sergente è rimasto in cella soltanto per una settimana. Interrogato, ha negato ogni responsabilità raccontando di essere stato ubriaco al momento del fatto. Il processo a suo carico – con l’accusa di “abuso sessuale” – dovrebbe svolgersi verso la metà di ottobre, salvo rinvii.
Nella sua lettera Ipek Er aveva raccontato dettagliatamente quanto accaduto. Dopo averla sequestrata il militare l’aveva drogata e – violentandola – le diceva che comunque a lui non sarebbe capitato niente. Ossia che le dichiarazioni di una ragazza curda non contano niente rispetto a quelle di “un turco con la divisa dello Stato turco…”.
E’ prevedibile che lo stupratore in divisa riceva al massimo una condanna simbolica.
A ulteriore conferma della sostanziale impunità di cui godono le truppe turche di occupazione in Bakur e dell’utilizzo dello stupro come arma da guerra per costringere la popolazione curda a lasciarsi assimilare rinunciando alla propria identità, alla propria cultura, alla propria lingua.
L’ESTREMA PROTESTA DI EBRU TIMTIK, DONNA CURDA E AVVOCATO
E anche stavolta ingiustizia è fatta!
Ebru Timtik è morta il 27 agosto, dopo 238 giorni di sciopero della fame, all’ospedale di Bakirkoy dove – contro la sua volontà – era stata trasportata direttamente dal carcere.
L’amaro compito di darne l’annuncio è toccato a HHB (Halkin Hukuk Burosu – Ufficio degli avvocati del popolo).
Originaria di Dersim, nel 2017 in febbraio Ebru Timtik veniva arrestata con diversi altri colleghi per presunta “appartenenza a una organizzazione terrorista” (per la precisione veniva accusata di far parte di DHKP-C). Ma la sua unica colpa era quella di aver svolto il lavoro di avvocato con coraggio e dignità. Contro di lei e gli altri avvocati, le dichiarazioni contraddittorie – e presumibilmente pilotate – di un testimone.
Entrata in sciopero della fame in febbraio per un “processo equo”, dal 5 aprile (“Giornata degli avvocati”) la sua protesta si era radicalizzata in death fast (ossia in sciopero della fame fino alla morte).
Due settimane fa, la Corte costituzionale di Turchia aveva rigettato una richiesta di rilascio sia per Ebru Timtik che per Aytac Unsal – un altro avvocato in sciopero della fame – nonostante i due avessero superato la soglia critica e nonostante la loro vita fosse ormai in grave pericolo. Anche per l’Istituto di medicina legale le condizioni dei due legali erano ormai “incompatibili con la detenzione”.
Invece secondo la Corte non vi sarebbero stati elementi tali da far supporre un pericolo imminente per la loro vita o per la loro salute mentale.
Con Timtik quest’anno sono già quattro le persone morte in sciopero della fame dopo che erano state arrestate con l’accusa di far parte di DHKP-C.
Ricordiamo le altre tre: Helin Bolek, cantante curda di Grup Yorum era morta il 3 aprile dopo 288 giorni di sciopero della fame; il bassista turco della stessa band, Ibrahim Gokcek, è deceduto il 7 maggio dopo 323 giorni di digiuno; qualche giorno prima, il 24 aprile, la medesima sorte era toccata al prigioniero politico Mustafa Kocak dopo 296 giorni di sciopero.
Fonte foto: UIKI Onlus (da Google9