Assistiamo in queste ore all’assalto agli Apple store, disseminati in Italia, per l’acquisto dei nuovi modelli di iPhone 6.
Fenomeno singolare in presenza della “crisi” che tutti coinvolge. Mi è capitato di guardare il video della folla di “fan” presso il centro commerciale “Roma est” di Lunghezza e sinceramente non mi è parsa oceanica. Era singolare l’asincrono tra l’enfasi del commento –da Istituto Luce del ventennio tipo “oggi la gagliarda gioventù italica è accorsa fremente…”- e la realtà di un centinaio di sfigati che attendevano il Santo Graal.
Cosa intendo?
C’è in atto un’operazione mediatica di “moltiplicazione” della realtà; può avere impulso autonomo ma anche Apple – di cui in questa sede non discuto i valori tecnici – è maestra nell’uso dell’immagine – dal design, al package, allo store – e soprattutto a “indurre bisogni”. Lo smartphone nasce come miniaturizzazione del computer con visori piccolini (2-3 pollici), ora invece si sta percorrendo la via opposta andando verso il grande (da 4,5 a 7 pollici).
Il problema è che in questa oscillazione avviene il nascondimento della “merce”, cioè si distrae il consumatore dal suo bisogno “funzionale”: “mi serve lo smartphone?” se si “ho bisogno del piccolo o del grande?”
Questa situazione di interrogazione, di “critica”, è ancora tipicamente “moderna” con l’illusione di far emergere e dirigere un “valore d’uso” dietro il “valore di scambio”.
La situazione attuale (da alcuni detta “post-moderna”) è dell’oblio dell’uso (perché sto comperando?) del prevalere assoluto della forma “sensuale” (compero perché mi piace) e dunque della scomparsa della ragione al momento dello scambio con il prevalere assoluto del venditore.
So che ragazzi di “destra” hanno contestato l’idiozia di questi “happeninig” ma sbagliano a voler “interferire” con il non-senso, quasi per volergliene ridare di senso, quasi a voler tornare al “moderno”.
A fronte di questa come di altre campagne “mediatiche” per il consumo c’è una risposta silenziosa ma dignitosa, una specie di “diserzione” di massa dai consumi che in Italia sta assumendo la dimensione dell’esodo. Mi pare una precondizione antropologica.
Certamente il Capitale potrebbe – e l’egemonia della linea liberista pare andare in tale direzione – non aver più interesse ai consumi di massa tuttavia non ci si può illudere che la “feticizzazione” delle patacche come gli smartphone o le auto super accessoriate possa nascondere e sostituire un distacco dalla soluzione di bisogni permanenti (il trasporto, la sanità, la scuola).
Quando un fan esce dallo store stringe tra le mani l’oggetto anelato come possedesse il “mondo”. Quest’immagine “super-individualista” dovrebbe confortare le solitudini ma da Lunghezza per arrivare a Roma, poi, ci metti un “mondo” di tempo. Rapidamente le fragilità riaffiorano!