Non ho mai creduto alla favoletta di una Milano avanzata rispetto al resto d’Italia, anzi. Milano fino a tutti gli anni 70 si manifestava come un grosso agglomerato urbano, sobrio fino al grigiore, invaso da capannoni squadrati. I mega cartelloni della Cinzano, della Ramazzotti o della Muratti illuminavano il vuoto. Nel suo hinterland la durezza dello scontro operaio mutava forma a seconda dei momenti. Alla Magneti Marelli, alla Sit Siemens si formano alcune cellule delle Brigate Rosse e di Prima Linea. Quindi sia del cosiddetto “partito armato” che dello spontaneismo operaista. I giovani di Sesto San Giovanni spostano il terreno della lotta dall’organizzazione sindacale alla contestazione urbana e di sabotaggio nelle fabbriche. Questi ultimi contribuiscono a edificare una sorta di antagonismo individualista.
Sotto il segno di questo soggettivismo Milano è diventata la capitale dell’immateriale. La sua produzione insieme alla sua crescita non segue il percorso del resto del Paese né lo traina. Finanza, moda, marketing, start up. Tutto il suo mondo è slegato dai beni primari. Si esalta il lavoro non essenziale. Oggi appare come una città che si bea della propria vetrina di entusiasmo acritico che lascia in secondo piano la sua povertà, nascosta in ghetti isolati. La sua riproduzione sociale è una bolla. La dimostrazione è che continua a ricalcare il medesimo schema politico. Centrodestra e Centrosinistra in una logica di affidabilità imprenditoriale. Come se si vivesse ancora il 1994. Le contraddizioni sociali non hanno voce.
Il Virus ha disintegrato la città. Ma mentre Roma sarà affondata dal proprio modello di economia legato al turismo e allo sballo, Milano vivrà una crisi d’identità. Ciò che perderà valore è il suo concetto di socialità. Palestre Virgin, meeting, divertimento manageriale. L’aperitivo sui navigli non corrisponde a una rivendicazione di libertà ma alla difesa disperata di un modello. La tenacia nel ribadire che tornerà tutto come prima, esattamente come prima.
Ecco nel resto d’Italia nessuno ha voglia di tornare a vivere esattamente come prima, ma meglio di prima. Nessuno ha nostalgia di quel modello di sviluppo.
Fonte foto: La Repubblica Milano (da Google)